giovedì 20 novembre 2014

No good at goodbyes

Quelle strane situazioni in cui tu dici: vorrei, ma non posso. Vorrei tornare lí. Ma non posso. Vorrei tornare in un momento preciso. In una situazione di mente e cervello, cuore e stomaco liberi. Di spensieratezza (ma quando mai sono stata spensierata io? mi chiedo icnredula). 
Ho sofferto. Per poco meno di 48 ore. Ho sofferto perché ho capito che quella vita che io avevo non esiste piú. Non c'é. Siamo cresciuti. Siamo invecchiati. Ho visto le prime rughe intorno alla bocca della mia amica. Vedo anche le mie.
Ho visto il viso stanco dell'amico che sta salutando il padre. Ho visto la disperazione celata di chi ha visto una vita partire, senza poterla chiamare propriamente vita. Ho snetito il silenzio imbarazzante fra me e te. Sí, me e te. Noi. Quel silenzio che non c'é mai stato, neanche quando tu soffrivi perché io ti avevo lasciato via. Ho sentito il silenzio scelto per non ferire l'altro e per non dire troppo. 
If I could turn back time. Non sarei mai andata via. Ma le cose sarebbero cambiate comunque. Ne sono sicura. E io non sarei stata brava a dire arrivederci a quella parte di vita. Alla finta spensieratezza. Alle domenica nella casa soffitta a cucinare torte. Alle domeniche all'Union a fare gli aperitivi con i thé alla menta. 
A me stessa. Che non sono la stessa. Sono cambiata anche io. E non solo per le rughe. Le consapevolezze. La tristezza per quanto ho perso. Per la vita. 
Salut Bruxelles. Au revoir Bruxelles. Je ne sais pas si je serai à nouveau là. Parce que de temps en temps il faut savoir dire au revoir.
 

lunedì 17 novembre 2014

3 cose

Ho tonnellate di lavoro. Spalmate nella testa e sulla scrivania (tralasciando la mail). Ma stamani mi sono messa a bighellonare per tre minuti au un profilo instagram e poi da lí su un blog. Carino. E ho letto di questi posti intitolati "3 cose". 3 pensieri insomma. Ho pensato: ne scrivo uno anche io, visto che ho i pensieri sparsi male, incasinati, non meno dei miei capelli sulla testa in un giorno di novembre con l'umidità 300%.
Ed eccoli:
1. domani vado nella mia amata patria spirituale. E per la prima volta da quando me ne sono andata, ho un'agenda fitta di impegni. Di lavoro. Cosí tanti, che per trovare posto per vedere gli amici, c'é rimasto solo lo slot 21.30 - 24.00. Sigh. Non avrei mai pensato che sarebbe successo a me. Che il lavoro si prendesse la mia vita. Prima ero io che mi lamentavo con Lui perché lavorava troppo. Ora é Lui che al mattino mi dice: "ma torni tardi anche stasera?". Con tutte le considerazioni che ne vengono annesse (dobbiamo andare via da qui, devi essere piú assertive, noi una famiglia non ce la potremo mai fare, etc.) 
2. ieri ho sentito il maestro. Non sapevo neanche che lo chimassero cosí, ma mi sono trovata davanti De Gregori. Ero in prima fila senza neanche farlo apposta. Io ho comprato quello che ho trovato. E cosí ci siamo trovati io e Lui e De Gregori. E ho pianto di commozione. Ho pianto su Viva l'Italia, per il mio paese lontano, bistrattato, a pezzi. E ho pianto su quella famosa frase. "E ora le tue labbra puó spedirle ad un indirizzo nuovo, e la mia faccia sovrapporla a quella di chissá che altro. E guarda ho ancora quei 4 assi guarda bene di un colore solo...". Ho pianto per la commozione. Per quella frase che mi sono cantata dentro tante volte. Per tutte le delusioni. E non solo quelle di amore. E quella frase l'ho cantata girandomi e guardando Lui in faccia. Glielo avevo preannunciato. Paese mio, dove vai? Francesca mia, tieni duro, aggiungerei. 
3. sono giorni che penso di essere contornata da dolori. Dolori legati alla nascita e non solo. Alcuni legati al mettere al mondo un nuovo essere. Nello stesso giorno qualcuno perdeva una vita dentro di sé, che se ne andava in sordina, e qualcun'altro si faceva impiantare degli embrioni nel proprio utero. Due donne impaurite. Due donne distrutte in un certo senso. Lasciare andare una vita é la cosa piú difficile che ci sia. Forse peggio quando non l'hai conosciuta quella vita. Farsene impiantare una, nella speranza che resti con te, non é diverso. Ho solo detto "io non lo faró mai". Ma é facile dirlo. Si dicono tante cose, poi nel momento se ne fanno altre. Dolore. Puro dolore che ci circonda, che si nasconde dietro le pieghe dei nostri maglioni. Che qualcuno ci aiuti.  

martedì 14 ottobre 2014

15 minuti

15 minuti per scrivere. Per incapsulare le tonnellate di pensieri. La stanchezza. Gli occhi gonfi per il troppo fare. Un lavoro che ormai prende tutto. A momenti anche me e te, se non mi difendo bene. 15 minuti per mettere insieme tanti pensieri. 
Eravamo a casa. Seduti intorno al tavolo. Tu hai capito che ero nervosa. Mi hai chiesto cosa mi stesse succedendo, cosí di botto. Ti ho spiegato. Ho visto due mani che conosco. Una faccia da schiaffi che conosco, ho aggiunto. Non l'avrei voluta vedere. Tu mi hai detto "lascia andare. il faut laisser aller, Francesca". 
Io ho detto si, vero, verissimo. Ma mi da' cosí fastidio. Vedere che c'é gente che ha ancora quelle mani, gente che non vorrei ci fosse piú sulla faccia della terra, gente che abbraccia amici miei in una foto. Gente che si sente figa, quando é pura merda. 
Poi ti ho chiesto di non farmi mai niente del genere. E ho dormito la solita pace dei giusti attaccata a te. Come tutte le notti. 
Broken. Broken into two. But I still call it magic when I am next to you. Respira, Francesca, respira. La vita ti ha dato modo di vedere che due mani non contano. Neanche i sorrisi finti. Neanche i sentimenti falsi. Come chi c'é stato e non c'é piú.
E' altro che conta. Tu lo sai. Perché lo hai perso.Lo hai dovuto lasciare andare. Scivolare via. 

lunedì 29 settembre 2014

Me la voglio ricordare cosí

"Per questo nulla così pieno che ha diviso un prima e un dopo in cui ci sei sempre tu".
Non so se é stata scritta per me questa frase. So solo che me la sono sentita mia.
La cito. Non dico la fonte. Per mantenere, salvaguardare la privacy.
C'é un nulla che é pieno. C'é un nulla che é vuoto. C'é la vita. Ci sono io. Con questo nulla accanto.
Per sempre.
C'est la vie.
E poi puó anche cadere il mondo, sai? l'ufficio puó andare a fuoco. Ma non conta. No, quello non conta.
Io guardo in alto e cerco il blu. Quello mi fa andare avanti. 

mercoledì 27 agosto 2014

Completamente e furiosamente magico

Cosa vogliamo tutti é semplice. Vogliamo un pezzo di pelle in cui affondare il nostro naso. Un braccio da stringere e da cui farsi stringere. Un abbraccio che arriva da dietro mentre lavi i piatti o ti lavi i denti. Un piede che ti tocca (e ti sveglia pure, eh) nel pieno della notte. Vogliamo qualcuno che sia a casa ad aspettarci o che arrivi poco dopo di noi, col suo carico di vita giornaliera da raccontare. Vogliamo qualcuno che nel mezzo della giornata ci mandi un messaggio, anche di quelli che suonano "compri tu il latte?". Non deve essere per forza un messaggio di amore struggente, no.
Vogliamo una persona su cui addormentarci davanti alla tv (il mio must), su cui magari anche sbavare (eh, capita), su cui addormentarci anche senza tv. Con cui condividere una vita. La vita. Dalla spesa al supermercato ai voli che ci portano in paesi lontani e/o vicini al cuore e alla mente. 
Questa persona prima o poi arriva. Quando meno te lo aspetti. Quando ormai non ci speri piú. Quando vai ad una festa controvoglia, con i piedi che invece di andare verso la direzione della festa, vanno all'indietro. Mentre sussurri fra le tue labbra "ma perché te ne sei andato?" o come avresti dovuto sussurrare "ma perché non ci sei mai stato"?. Quando ti presenti due volte alla stessa persona, perché hai già bevuto troppo e sono solo le 21.30. Quando devi picconare lentamente nel suo cuore e nel tuo cuore per fare spazio. 
Ecco, questo é quello che vogliamo. E che io continuo a chiamare magico. Sí, completamente e furiosamente magico. 

martedì 26 agosto 2014

Mi sdraio ancora

Ci sono tornata. Si. Sono tornata a sdraiarmi. Di nuovo. Con la musica che pervade tutto. L'anno scorso era quasi un'ossessione. Andare lí e sdraiarmi. Ed ascoltare. E pensare. E sentire il cuore battere. All'impazzata. Per te, che eri quello sbagliato. 
Ho perso tempo. Me lo sono detta tante volte. Sono stata cieca. Ma l'ho fatto per amore. O quasi amore. 
Anche quest'anno il cuore batte. Ora, sí, all'impazzata. Ma con una certezza in piú. Quella di sapere che io in quelle braccia ci voglio stare a lungo. E anche loro forse mi vogliono stringere non solo per un battere di ali. 
Grazie vita che mi sorprendi sempre.
Il cuore batte e batterà sempre. E bisogna capirlo, perdonarlo, accetterlo, se ha battuto ogni tanto "a vuoto". Ma poi, quello era proprio vuoto?

Svegliarsi


Pare che io dorma col cavaliere mascherato. 
Stamattina, mi sono svegliata cosí. Con te, che come sempre, mi stavi addosso. Non si capisce cosa succeda la notte. Io mi avvinghio a te prima di addormentarmi. Poi ti abbandono. E al mattino, mi sveglio sempre cosí. Con te che col naso mi annusi la fronte. E teneramente emergi dal sonno. 
Niente di meglio. Non posso volere rien de mieux. 

venerdì 22 agosto 2014

Grande piccola Anna

Sai cosa mi piace di te? La tua purezza.  La tua infinita dolcezza. I tuoi gesti che ci lasciano senza parole.  Il tuo portare la pace dove la pace non c'è mai stata. Il tuo voler vedere solo il bene, mai il male. Voglio credere che non sia solo l'età a farti essere così.  Questa sei tu. Con questo nome  tanto semplice come te. Anna. 
Io in te vedo il mondo che vorrei.  Lo leggo nei tuoi occhi persi nella contemplazione delle piccole cose.  Lo sento nei bisbigli che fai fare alle tue principesse.  Lo intravedo nelle tue domande a volte spiazzanti, ma che vanno sempre dritte al cuore.
Tu non cambierai. Lo so. Tu sarai sempre così, cara Anna. Da donna in fieri diventerai giovane adulta,  ma non perderai la tua dolcezza, la tua sensibilità,  la tua costante capacità di mettere i fiori nei cannoni. 
Quanta gioia che mi hai dato. Quanta me ne darai. Con te ho capito fin dal primo momento che la distanza conta fin lì. Da quando hai aperto un occhio solo su due quando ci siamo incontrate la prima volta. Con te ho capito che potevo avere un patto segreto di puro amore e fiducia. Con te sono riuscita a dire 'anche se non avrò un figlio mio, ho Anna, che esperienza unica'. Con te e solo con te, mi metto a letto e ti racconto il mio cuore. E tu, incantata, mi tempesti di domande. 
Grazie piccola grande Anna. Per tutto questo. Per farmi continuare a sperare in un mondo diverso.  Migliore. Come quello che tu condividi con noi. Anche a distanza. 


martedì 19 agosto 2014

I miei vicini


Ce lo siamo trovati davanti questo building sabato mattina, mentre vagavamo affamati da petit déjeuner, tu dolce, io salato.
Come donna di sinistra, non potevo non vivere vicino a questo. Anche se la mia sinistra non so piú dov'é andata.
E tutto questo é East London. Senza essere Shoreditch, eh, che proprio non mi va giú. 
Perché o sei shabby o sei chic. Due cose insieme, non si puó.
E io non sono nessuna delle due.

lunedì 18 agosto 2014

I'd leave it all

Passare il weekend a tossire. Con un peso sul petto, a lamentarsi e farsi prendere dalle paure ("Oh Signore, se continuo cosí finiró mai nel polmone da acciaio?"). 
Un weekend con un invitato che a pranzo domenica é rimasto con noi dalle 13 alle 19. Mentre io boccheggiavo e invocavo tutti i dei del mondo per vederlo andare via. E lui, architetto, commentava la nostra casa, che guarda caso non é nostra. Quindi tutti i consigli di modifica servono a poco, caro mio. 
Un weekend a canticchiare quella canzone, quella che mi piace tanto. Quella che dice Oh to you, I'd leave it all. E ancora: Give me one good reason/Why I should never make a change/And baby if you hold me/Then all of this will go away. 
E io aggiungo la mia nota personale: Baby, if you hold me like this, I will leave it all. Da notare il cambio del periodo ipotetico: dal secondo al primo. E non é un caso, darling. 
 

giovedì 14 agosto 2014

Tutti vogliamo il pene

Oggi, sono andata a pranzo col diavolo. Per lavoro, si intenda.
E mentre parlavamo di energia, il diavolo mi dice "beh, tutti vogliamo il pene in questo mondo. Ma poi bisogna pagarne le conseguenze".
Sul momento, non ho dato importanza. Tornando al lavoro, ho riflettutto e pensato: eh, certo! aveva proprio ragione. Bisogna saperne pagare le conseguenza.
And this is not so easy.  

martedì 12 agosto 2014

Lacrime di rabbia

Il titolo della mail diceva tutto. Gelava il sangue nelle vene. Parlava di un dolore. Cosi' come la prima frase, che recitava "Il 27 luglio é morta nostra figlia". Ieri il calendario segnava 11 agosto. Quindici giorni di silenzio. Di sofferenza, acuta ed estrema, per annunciare una morte.  Poche parole nell'email. Scarna, la definirei. Come se la morte di chi tu hai messo al mondo potesse essere definita diversamente. 
Mi sono chiesta perché avesse mandato quell'email. Mi sono chiesta perché annunciare quel dolore. Mi sono risposta che in quei momenti c'é bisogno di condivisione. Di far sapere al mondo cosa stai vivendo. Perché parlarne leggittima il dolore. Lo consacra. E alla fine, lo modera. Lo rende accettabile. Per quanto lo possa essere.
Poi sono tornata a casa. Non stavo bene. Il genitore buono ha telefonato. E mentre parlavamo, il genitore assente ha borbottato. "Non pago mica un euro a chiamata io". Non ha chiesto neanche come stessi. Non ha chiesto neanche se andasse tutto bene. E allora ho pensato a quel padre che ha perso sua figlia bambina. Che ha impiegato quindici giorni per gridare silenziosamente il suo dolore.
Ho provato rabbia. Una rabbia nera. Ho invocato il giorno del giudizio. Cosa dirai davanti al Signore? Cosa gli farai vedere? Sei fiero di quello che sei?
E ho pianto lacrime di rabbia. Lacrime di disgusto. Lacrime di ingiustizia. Ridate quella figlia a suo padre, vorrei dire, e toglietemi il mio. Perché non é giusto.
Ma forse non sta a me giudicare tutto questo. Io, per ora, mi tengo le mie lacrime di rabbia.

venerdì 8 agosto 2014

Due imperfetti ballerini quasi perfetti

Due sere fa sei tornato a casa con un aggeggino in mano, tutto felice. Mi hai spiegato cosa fosse e come funzionasse, ma io, ignorante come pochi in tecnologichese, ho alzato le spalle ed ho proposto di andare a mangiare, perché lo stomaco urlava e la mente era stanca. 
Stanotte non mi hai fatto dormire. Ti lamentavi come un bimbo per i dolori muscolari. Ho aperto gli occhi alle 6.43 con te che mi guardavi con una faccia implorante. Mi hai chiesto un massaggio, a me che delle mie mani non so mai cosa farmene. Ho eseguito goffamente, poi ti ho consigliato una doccia calda, lunga, mentre io mi sono trascinata in cucina con gli occhi di nuovo chiusi.
Ho ripensato a quell'aggeggino. E visto che sono ossessionata da una canzone, l'ho fatto partire. 
Mentre mettevo a tavola sei arrivato tu, di soppiatto, mi hai preso fra le braccia e mi hai fatto ballare. Dolcemente. Neanche tanto goffamente. Perché sai, tu sei l'unico con cui io sia riuscita in vita mia a ballare, senza pestare i piedi, senza perdere l'equilibrio, lasciandomi guidare. Due imperfetti ballerini quasi perfetti. 
E mentre ballavamo, io ho sossurrato a te e piú a me stessa "Call it magic, call it true, when I am with you. Still believe in magic, yes, I do". 
Per concludere in bellezza questo momento perfetto, abbiamo guardato fuori dalla finestra e abbiamo visto il nostro vicino che ci sorrideva mentre mangiava i suoi cereali in piedi alla finestra della sua cucina. E queste cose succedono anche quando vivi al quinto piano. E pensi che puoi andare in giro per casa nudo, tanto nessuno ti vedrà mai. E invece...

giovedì 7 agosto 2014

C'era una volta una casetta in Canada'

Un po' di sogno pour bien s'envoyer à l'air!
 Il faut redevenir enfant pour apprecier les petites choses de la vie

 Beautiful Ottawa
San Lorenzo: un fiume, un mare
Quebec City o Arendelle?
And beautiful Quebec City
 Quando uno dice la casetta in Canadá
Just to make it clear where we were
A pinch of my beloved Belgium in Quebec
Ancora, beautiful Ontario
Cappuccetto Rosso spunta da un momento all'altro


Noi We Nous


Tu. Ed io. Direi noi. Anche se ho paura a dirlo. In una foto sfocata. Sulla linea che ci riporta a casa. Finally la nostra.
Ho avuto paura all'idea di andare a vivere insieme. Mi dicevo che sarebbe stato troppo presto. Mi dicevo "ricorda cosa é successo l'altra volta". E poi c'é stato il fatto che viviamo a Londra. Che tutto é complicato qui. Che io vivevo a sud ovest, tu a nord est. Le ore nel tubo erano troppe. E soprattutto avevo voglia di stare sempre con te. Di completarmi con te. Sempre.
Quanti "tu" ho detto, pensato, sospirato in questi anni. Tanti, forse troppi. Alcuni tu sono andati via di soppiatto. Altri li ho mandati via io. Alcuni hanno lasciato voragini, che il tempo, altri tu, io stesso abbiamo colmato. Altri non hanno lasciato niente.
Io ora spero che questa foto sfocata resti tale. Resti stuck in the moment. Resti cosí. Io e te. Io che appoggio la testa sulla tua spalla, dove c'é un incavo naturale per me. Io spero che questa foto sia un inizio di un noi che non abbia fine. O il piú tardi possibile, please.  Per questo chiedo di lasciarla sfocata. Per farla durare di piú.
Call it magic. Call it true. 
https://www.youtube.com/watch?v=Qtb11P1FWnc 

mercoledì 6 agosto 2014

E' estate e ti vorrei dimenticare

E' estate. 
La prima vera estate che ho da quando ho lasciato l'Italia 9 anni fa. Una vera estate, in cui mi metto i sandali e le magliette corte. In cui lascio il maglione a casa ed esco senza giacca (ma sempre con l'ombrello in borsa, perché non si sa mai qua).
E ieri la collega mi dice "dai, domani andiamo a questo concerto sull'erba a pausa pranzo". Io dico: questa é Londra. Concerto sull'erba a Westminster a pausa pranzo, che dura un'ora esatta, cosí non sfori nel tuo flexitime giornaliero. Magie della vita londinese, penso.
Andiamo. Lei rifornitissima, panini, limonata, copertina da picnic. Io con uno pseudoscialle da mettere a terra, senza panino, ma con lo stomaco che boata (cioé produce boati). Non c'é bisogno di dire che é stato a momenti divino. 
Ma poi torniamo. E sulla via del ritorno, decidiamo di cambiare strada, di imboccare un'altra delle mille stradine che ci portano in ufficio. E lí ci troviamo davanti una chiesa. Intitolata a un santo. Io sospiro. Lei continua a parlare, ignara. 
E penso: mi é successo lo stesso a Quebec City. Una chiesa intitolata ad un santo con il tuo nome. E io che ho detto subito "andiamo via, andiamo". Perché mi da' ancora molto fastidio. Anche dopo tutto questo tempo. Anche dopo tutto questo amore che ho ricevuto dopo di te. Anche dopo che ho ottenuto un nid douillet. Due braccia fra le quali dormire. Due orecchie che ascoltano le mie parole. 
Che fare? Niente. Aspettare. E' passato forse troppo poco. Cercare di non pensare. Andrà via anche questo. Cosí mi dico. E ci credo.
E mi cito. Cito quello che ho scritto un anno fa oggi: "La vita vale altro. Con i mocassini o senza ai piedi". Si, vale anche senza i mocassini. Capperina.    
https://www.youtube.com/watch?v=Qtb11P1FWnc 

lunedì 4 agosto 2014

La rentrée

I francesi la chiamano cosí. La rentrée. Il rientro. 
Diciamo che non é mai facile. Soprattutto quando uno ha un bel jet lag sulle spalle. Soprattutto quando uno sa che il giorno dopo tremila e-mail lo aspettano. Soprattutto quando uno saluta in una stazione desolata e desolante una nipotina d'oro, pezzo di cuore, tutta guance e dolcezza. 
Ma bisogna vedere cosa ci aspetta al rientro. O chi ci aspetta. 
Io ho trovato questo. 
Due stanze che avevo lasciato nello stato di magazzino, ammasso informe di mobili e cartoni, diventate casa pulita, ordinata, direi graziosa. 
Un coinquilino morbido e amoroso da abbracciare. 
La cena a tavola. 
Il sole, che in una città come Londra é una rarità.
Il tuo respiro che mi fa dimenticare il jet lag. Mi fa dormire serena. Mi fa fare un sospiro di sollievo quando apro gli occhi e ti vedo lí, nella tua metà del letto. Addormentato. Mentre io penso che forse dovremmo affittare l'altra metà di quel letto. Perché vuota. Tanto io, mi aggrappo a te per dormire.
Ecco, sono fortunata. Ho paura a dirlo. Allo stesso tempo, sento che me la sono sudata un po' questa felicità. A suona di botte in faccia. Cazzottoni, direbbero a Roma. 
E prendiamola cosí questa rentrée. Cosí. Con questa notte di sonno, questo risveglio di sole, queste benedette tremila mail da leggere. 
E vive la vie pour ce qu'elle nous donne. Le bien, le mal. Mais enfin, la vie.  

mercoledì 30 luglio 2014

Il faut savoir dire au revoir

Bisogna saper dire arrivederci. Sapendo che in Europa c'è la nostra vita. Ho scoperto un paese unico. Breathtaking,  dicono gli inglesi.  Con persone civili. Una natura incontaminata.  Ma col pensiero sempre oltre l'Atlantico.  È ora di tornare. A casa.

giovedì 10 luglio 2014

Je suis amoureuse et j'emmènage samedi

Ho scritto a te. Ho scritto quello che avevo nel cuore. Dopo tanto tempo. Ho riletto e ho riso. Ho scritto questo: "Ma vie va bien. Je me sens mieux dans mon boulot, je rigole plus de moi et des anglais. Je suis amoureuse et j'emmènage samedi".
Insomma, ho fatto il riassunto di un anno di vita in una frase.E quando l'ho riletta ho sorriso. Di bonheur.

mercoledì 9 luglio 2014

L'amore a tutti i costi

Avevo il mare davanti agli occhi. Il tramonto stava arrivando. Tu avevi in braccio un bébé di pochi mesi. Gli amici tutti intorno a noi. Si rideva e si scherzava. Mi dicevano "ah tu, tu sei quella che crede nell'amore ad occhi chiusi". Ho guardato i piedi coperti dalla sabbia e ho capito. 
Tu non ci sei mai stato. Tu non hai mai voluto niente da me. Tu volevi un giochino di qualche mese. Tu come gli altri. E mi avevi dato segnali. Che io non ho visto, cosi come non ho visto quelli degli altri. 
Ho detto: "si, io vedo l'amore ovunque. Anche dove non c'é. E me ne convinco cosí bene, che poi ho problemi a lasciare andare". 
L'importante forse é averlo capito.

martedì 8 luglio 2014

Un nid douillet

Cartoni. Mi sento male solo a pronunciarla quella parola. Per tre anni, non mi sono mossa. Non potevo neanche immaginarlo. Non potevo neanche pensarlo. L'envisager, dicono loro, i francesi. Sono rimasta in 9 metri quadri di camera. Ad accumulare cose, polveri, pensieri, qualche sorriso, qualche lacrima (poche, io piango poco), gioie e dispiaceri. 
Poi, non ce l'ho fatta piú. Il nano peloso. La casa sporca. Le ore passate nella metro per venire da te. Ti ho detto "provo ad avvicinarmi". E poi finiamo per cercare casa insieme. Perché Londra costa tanto. Perché tanto saremmo comunque e sempre stati insieme most of the time.
E cosí, dopo la querelle del cercare, ecco arriva la casa. E i cartoni. Ne ho preparato uno quasi tre settimane fa. Mi faceva sentire bene. Non avevamo casa a quell'epoca. No. Ma lo dovevo fare per togliere cose di torno. Per fare pulizia. Dentro e fuori. Per iniziare a schiarirmi le idee. Ieri sera, complice dell'assenza del nano peloso e del coinquilino, sono tornata ai cartoni.
Non ho potuto non pensare. Non ho potuto non pensare a tre anni fa. Quando ero in mezzo ai cartoni. E alle lacrime stratificate. Secche. Che non uscivano piú. Il buco nello stomaco. Non posso non pensare a quella ultima nostra settimana di silenzio. Di muro mio contro te. Quando capisci che ormai non c'é niente da fare. Solo accettare che la vita ti ha tolto anche questo. 
Il mio nuovo coinquilino tutto questo non lo sa. Non ce la faccio per ora. Magari un giorno. Ho completamente cancellato questo passato dalla mia vita per il mio nuovo co-équipier. Cosa gli andrei a dire? Senti, io ho già vissuto con qualcuno. Senti, é stato un disastro. Senti, j'ai enduré tout ça. 
Meglio tacere. Meglio ripetere solo questo: je voudrais un nid douillet pour nous. J'en ai besoin. Ogni volta che glielo dico, lui sorride. E mi abbraccia. E anche i cartoni fanno meno paura. Merci, encore une fois.

venerdì 27 giugno 2014

Le tue braccia mi portano altrove

Bientôt je ne devrais plus marcher ici.  Dans la rue où les souvenirs deviennent cauchemars. Tes bras m'amènent ailleurs.  Merci.

martedì 3 giugno 2014

Paris. Encore.

Paris. Encore. Encore une fois. Forse la quindicesima. Non so, ho perso il conto. Avevo qualcosa da esorcizzare. Avevo qualcosa da dimenticare. E ho detto sí. Ho detto vengo con te. 
Ho avuto paura prima di partire. Troppi ricordi. Di epoche diverse. Troppe emozioni sempre lí, presenti. 
Ho preso l'Eurostar con un sospiro bloccato in gola. Ho preso l'Eurostar con la paura nascosta sotto la pelle. Ho percorso il binario della Gare du Nord come se fosse stato un remake. Col cuore intrappolato in una morsa. Ho cercato il punto dove mi aspettavi. Con i fiori e la t-shirt rossa. Non l'ho trovato. Mi sono detta: E un segno. 
Poi ho dimenticato. Ho esplorato un nuovo quartiere. Ho cercato le tracce della tua vita lí. Le tracce di chi é venuto dopo di te e mi ha preso il cuore. O almeno ci sta provando. A volte a colpi di martellate. Che mi dó io al cuore, per dimenticare e fare la pace col passato. Perché poi io mi debba sempre mettere in croce, questo non si capisce. 
La seconda sera, lei mi ha proposto di andare a Notre Dame. Ho tremato. Ma ho annuito. Troppi ricordi ancora. Su Pont Neuf mi sono seduta. Ho ripensato al tuo abbraccio. Perché mai tutto é cosí vicino? Tutto cosí ancora vivo nei miei ricordi? Eppure a Parigi ci sono stata tante volte. Non solo con te. Anche con chi ti ha preceduto e mi ha dato molto piú di te. Anche con chi mi ha tolto un pezzo di vita. 
Notre Dame era splendida. Come quella sera di inizio agosto. E ho ripensato al tuo viso di quella sera. Su quella scalinata. Quando mi hai detto "vas-y, on rentre à l'hotel". Avevi un viso triste. Avevi la tristezza negli occhi e non solo. Lí avrei dovuto capire. Lí, mi ricordo, ho pensato che tu non fossi lí con me. Che forse mi ero ancora una volta sbagliata. E che ti avrei perso. Come poi é stato. Che poi, lo dico sempre, non é stato un male. 
Ho passato tre giorni a pensare di scriverti un messaggio. Un messaggio di recriminazioni. No. Un messaggio d'amore. No. Un messaggio per dire "caro, hai fatto tanto danno. Chiedi venia". Ma a cosa sarebbe servito? A niente. L'ultimo giorno ho comprato una bottiglia di champagne. Per me e il mio lui. Il picconatore di cuori affranti, lo chiamerei. L'ho comprata per festeggiare il mio compleanno. Il nostro rapporto. Le mie paure. La paura che tu mi hai lasciato addosso. Quella che il picconatore un giorno mi dica basta. Basta mi sono stufato. Basta, non sono innamorato e chiudo. 
Ieri il mio picconatore mi ha trovato stancante. Facevo troppe domande. Eh, gli avrei detto, devo. Devo per esorcizzare i ricordi. I ricordi della tristezza. Lui mi ha detto "magari ad ottobre facciamo un weekend dai miei a Parigi". Io ho annuito. Si, ti prego, vieni con me a Paris. Encore une fois. Allora su quel binario, ci saremo io e te. A Notre Dame ci saremo io e te. E il passato non fará piú paura. 
E tu, s'il te plait. Demande pardon. Un vrai pardon. 

mercoledì 21 maggio 2014

giovedì 15 maggio 2014

Une question pour toi

Je tombe par hazard sur un profil Twitter. Et en lisant, je comprends. C'est toi. Il a meme une photo de la célebre bière Carling. La date me fait comprendre que c'était notre deuxième rdv. Je regarde vite fait. Je remonte à la date 20 septembre. Rien. Par contre le 21 septembre, tu as du bien t'amuser. Pendant que moi, je recollais les pièces de mon coeur. 
Héuresement, c'est fini. Héuresement, je vais bien maintenant. Héuresement, il n'y a pas eu de future entre nous. 
Mais j'ai une question pour toi: as-tu aussi twitté tous les mensonges que tu m'as dit? As-tu twitté "Je suis fier de moi", après ce samedi matin, quand tu es venu chez moi en rentrant des Etats-Unis, en cachant tes vrais sentiments? 
Le silence s'impose. Je suis d'accord avec toi. Pour une fois.  

lunedì 12 maggio 2014

La testa sotto la coperta

Non ho capito molto questo weekend. Ho passato il tempo ad osservare il tempo passare. Faceva freddo poi. Mi sono rifugiata sotto una coperta, accanto a te. Un plaid blu. Tutti e due sul divano. Io sotto il plaid a gelare, tu a cercare film da guardare. Ogni tanto sentivo la tua voce che mi chiedeva se dormissi. Io, in trans, rispondevo con un mugolio che voleva dire no.
Ieri sera mi hai detto non andare. Ed io sono rimasta. Prima sotto la coperta blu. Poi sotto il piumone bianco. Ho immaginato l'innominato morire di fame, ma mi sono detta che un gatto trova comunque qualcosa da mangiare. In un modo o nell'altro.  
Hai cucinato la cena per me. Per la prima volta. Niente di speciale. I soliti ingredienti. Le carote. Le patate. Bollite. La carne. L'insalata. La vinaigrette à la française. Ho mangiato perché volevo tornare sotto la coperta. 
E ci sono tornata. Ero a pezzi. Ero stanchissima. Mi hai chiesto il perché. Ti ho detto che non sapevo. Mi facevano male le ossa, la testa, il cuore. Un momento no, ho pensato, ma l'ho tenuto per me. Ho detto solo che mi spendo troppo per cose non importanti. Che devo mettere me prima degli altri. Tu hai pronunciato la parole "juste". Io l'ho incapsulata e salvata nella mia memoria. 
E intendo farlo. Intendo pensare a me. Per non finire con la testa di nuovo sotto la coperta. Blu o di altro colore.

venerdì 9 maggio 2014

Un delirio

La mia vita é un delirio. Un puro delirio iniziato ieri mattina, con un messaggio spedito e mai ricambiato. 
La mia vita ha smesso di essere vita per questo attimo, perché mi é mancato il respiro. Non voglio essere melodrammatica, ma é come vivere in una casa a tre piani con giardino con un cane e due gatti e svegliarsi e trovarsi in un monolocale senza finestre con un elefante come animale di compagnia. Piano seminterrato o interrato, aggiungerei, anche per giustificare l'assenza di finestre. 
Se c'é un giorno in cui io ho contato i minuti, é stato oggi. Non ho mai smesso di guardare l'orologio. Ho sentito il peso di ogni istante. Rimbombava nello stomaco bucato, forse da un gastrite nervosa improvvisa. Improvvisata, come queste ultime 48 ore. 
Sono in delirio. Sono senza parole. Continuo a guardare il cellulare. Continuo a sentire il delirio nella mia testa. E provo a respirare. A fatica. Tanta. 

giovedì 8 maggio 2014

Tornare alla scrittura

Ieri ero a Brixton ad ascoltare un concerto jazz. E mentre guardavo i musicisti suonare pensavo. Riflettevo sulla vita. Sulla mia. Vedevo la loro passione. Vedevo il loro entusiasmo. E pensavo che anche se erano tristi, loro, avevano una passione. Quando tornavano a casa non sentivano la tristezza, perché potevano occuparsi della loro passione. 
La mia passione é sempre stata la lettura. Poi, é arrivata la scrittura. La scrittura mi ha salvato nei momenti piú bui, piú scuri. L'ho scritto tante volte. Ho scritto tanto quando non stavo bene. Quando ero la sonnanbula di Pimlico. Quando sono stata scaricata come un pacco alla stazione. Quando ho mandato giú rospi grandi come una casa. 
Ieri sera mi sono imposta di tornare a scrivere. Ancora una volta. E oggi sono tornata. Con una zavorra di pensieri da snocciolare, uno dopo uno, su queste schermate bianche. 
E aggiungo: De temps en temps, j'ai cette sensation, très claire, en moi: fais ta valise et pars.
Il faudrait que je l'écoute cette sensation, de temps en temps.

lunedì 7 aprile 2014

Avec un peu du bonheur de temps en temps


Questo é stato il nostro weekend. 
Un piatto di pasta cucinato in casa. Una corsa nel parco al mattino. Con un uomo che finalmente mi aspetta, che si gira per vedere dove sono. Che mi fa fare stretching con una dolcezza che io non ho mai conosciuto. Un uomo che mi fa strada nel parco e non solo. 
Una spalla su cui addormentarmi mentre guardiamo un film. Io che non riesco mai a vederne la fine dei film.
Una paura matta di perdere tutto questo, questo momento di dolcezza, di pure bonheur, mentre mi sussurro leggero nelle orecchie che non mi pare vero, non mi pare possibile, che finalmente sia successo. Dopo anni. Si, anni di negazione.Anni di incertezze. Anni di paure. Che tuttora ci sono, lí, sedute accanto a me, sul divano della mia esistenza. 
Ma forse la vita é anche proprio solo questo attimo di bonheur. Mentre tu fai i piatti, mentre tu servi la pasta che noi abbiamo cucinato insieme nella tua cucina. Sporca, ma bella. Ho chiuso il naso, ho fatto finta di non sentire il commento della coinquiline (Ah, l'ultimo topo l'ho visto piú d un mese fa) e ho affisso un sorriso sul mio cuore e sul mio viso. 
C'est la vie. Avec un peu du bonheur de temps en temps.

lunedì 31 marzo 2014

Correndo per le Cotswolds

Ti porto in un posto bellissimo, credimi. Io mi fido. Domenica partiamo. In treno per due ore e mezza. E lí divento un po' scettica, ma mi mantengo positiva. Riesco addirittura a dormire, nonostante le urla delle spagnole sedute accanto a noi, ché la cena di venerdi sera a casa mia e la festa di addio di sabato sera mi hanno un po' provato.
Arriviamo in questo posto che sembra un paradiso: Cotswolds. Seguiamo i suoi coinquilini (mai partire con gente che non conosci, me lo dovevo ricordare) e iniziamo a camminare in campagna. I primi trenta minuti io mi guardo intorno estasiata: sole, verde, natura, animali, fiori. Tutto perfetto, tutto da film. Il profumo mi pervadeva le narici, sento gli uccellini cantare, lui mi tiene dolcemente per mano, mi da' qualche bacino ogni tanto dolce dolce. 
E poi qualcosa é successo. E improvvisamente, abbiamo iniziato a correre. Correre fra il fango. Correre per stare dietro a chi contava le calorie che perdeva (questo l'ho scoperto quando ci siamo seduti per dieci minuti in un minuscolo pub trovato sulla strada). Quando ci siamo fermati dopo tre ore, io ero a pezzi. Scarpe irriconoscibili, pantaloni sporchi di fango, viso stanco. E meno male che doveva essere una passeggiata in campagna. E' stata una corsa. 15 chilometri in 5 ore. Un record per me. Ma con i nervi a fior di pelle, i dubbi su me stessa e la mia capacità di sopportare gli altri, l'isterismo molto poco latente contro quel poverino che ogni tanto si avvicinava per darmi un gesto di affetto. Al pub ho trangugiato giú uno chiccosissimo burger mentre lei imboccava il futuro marito dicendogli "muoviti, dobbiamo prendere il taxi". Sul treno, un po' per la stanchezza, un po' per il nervosismo, un po' per gli ormoni in circolo, sono crollata fra le braccia calde di lui. Lo stesso appena arrivata a casa. 
Cotswolds é un posto speciale. Questo é chiaro. Ma io continuo a chiedermi come possa la gente vivere cosí male. And it happens. More often than I could believe it.

giovedì 27 marzo 2014

Scusami, vorrei tanto fare un salto ad Istanbul





Quando ho aperto gli occhi il primo giorno ho sentito delle urla strane. Ho visto la sua schiena respirare serenamente, mentre io ho pensato "Ecco, é scoppiata la guerra. Ora qualcuno entra dalla finestra con un kalasnicov, ci grida infedeli, non siete neanche sposati e ci ammazza". Poi ho capito che era il muezzin che richiamava alla preghiera, non la jihad. Il primo giorno abbiamo camminato come zombie. Stanchi, col jet lag sulle spalle e lo straniamento. Si, quando non capisci dove sei, cosa stai facendo, dove vai. Camminavamo e ci meravigliavamo. Io insistevo che sembrava tutto cosí vicino a noi, sembrava un po' di stare a Roma, dicevo. Lui scuoteva la testa e mi dava dell'ottusa. Devi accettare l'altro, non puoi ridurre tutto a Roma. Roma non é caput mundi. Poi c'é stata la scoperta. Il sapore unico di quel thé, preso sul Bosforo. La sera, la cena su una terrazza come se fosse estate. E i sapori unici. L'agnello che si fondeva in bocca, anche nella mia, che normalmente si rifiuta di mangiarlo. I sapori veri delle verdure, che sapevano di verdure e non di acqua. 
Poi l'emozione di Santa Sofia. Dei mosaici cristiani in una moschea. Lo sfarzo dei palazzi del sultano. I diversi Harem. Il sole sulla pelle, leggero, ma caldo. La basilica cisterna col suo odore di umido e le carpe, pesci immesni, che nuotano con i loro baffoni. Le vetrine di dolci, ripieni di mile e di mandorle. Un traghetto per andare in un altro continente, sciuscià che ti pregano di lucidarti le scarpe, domande imbarazzanti (ma voi siete sposati?) e il bonheur di scoprire insieme un nuovo mondo. 
Tout ça est Istanbul.

Sparita

Si, lo so. Sono sparita. Eh, non potevo fare altro. Ho avuto da fare. Da fare? Da fare che?
Eh, aggiungo, tante cose.
Tipo?
Tipo viaggiare, tipo organizzare uscite, tipo vedere gli amici, tipo conoscere nuovi amici, tipo iniziare ad amare l'odore della persona che ti sta accanto. 
Tutto questo?
Si, tutto questo. Col cuore pieno. E io che mi dico: "Oh, mais j'ai été benie cette fois"!
Dici?
Lo dico e lo confermo. Non ho mai avuto niente del genere in tutta la mia vita. Mai cosí tanta dolcezza. Mai cosí tanta attenzione. A me. Ai miei desideri. Ai miei bisogni. Ho detto vorrei tanto andare a Istanbul, mi sono trovata un biglietto in mano. Ho detto vorrei tanta dolcezza, mi sono svegliata ricoperta da dolci baci. Ho detto vorrei fare un pezzo di strada con te, ha iniziato a camminarmi accanto e non solo, mi ha preso la mano.
E' troppo per te?
No, l'amore non é mai troppo. Ma fa paura. Fa paura l'idea di perdere tutto questo, questo state of mind. Per una volta, ho il bonheur. Quello vero. Non quello temporaneo.
  

lunedì 10 marzo 2014

lunedì 3 marzo 2014

I wonder

Non sei perfetto. Neanche io lo sono. Insieme neanche lo siamo. 
Ma ci sono delle cose che mi piacciono. Dei momenti di pur bonheur. 
Ci sono le tue lentiggini. Che io vorrei mordere, perché fanno tenerezza e a me la tenerezza genera voglia di mordere. 
Ci sono le tue mani grandi, bianche, che ogni tanto sfreghi, come per toglierti di dosso la paura o l'indecisione.
Ci sono i tuoi occhi nascosti dietro palpebre che sanno essere cinesi quando vogliono, cosi sottili da non riuscire a vederne il colore, tanto da immaginare per un po' di tempo che avessi gli occhi verdi. 
C'é il sorriso che ti scoppia in faccia e che fa rumore, un rumore strano, tutto tuo, ma riconoscibile dopo la prima volta che ti ho conosciuto, un rumore fra lo stupito e il divertito. 
C'é la tua camminata calma, lenta, la tua mano che prende la mia (perché sono una lumaca e vado sempre troppo lenta, ma anche per avere compagnia, per starti vicina), il cielo inglese diviso fra sole e nuvole.
Ci sono io, con tanta paura, troppa, a causa di tutte quelle volte che sono caduta e mi sono sbucciata le ginocchia, i gomiti e non solo. 
Ma poi, I wonder e passa tutto. 
http://www.youtube.com/watch?v=t6bjqdll7DI

martedì 25 febbraio 2014

Si ça ce n'est pas la vie.

Mi sono svegliata all'alba. Avevo un lavoro da fare. Ci sono rimasta 12 ore con questo lavoro, che quando ho visto la scritta City Airport mi sono sentita leggera. Ma c'era questo cielo a farmi andare avanti.
Poi é arrivato l'amico universitario. Una serata a parlare, a ridere. Noi prima si parlava di esami, ora si parla del nostro datore di lavoro, lo stesso. Un po' di pettegolezzi, un po' di lamentele. Molto vino.
Per una volta ho bevuto non per dimenticare, ma per festeggiare. Si, festeggiare le bonheur, il momento presente. Il cielo blu. E il sole fisso, perenne, sulla testa. Si ça ce n'est pas la vie.

venerdì 21 febbraio 2014

Mi ha traumatizzato, questo stronzo

Mi ha traumatizzato, questo stronzo. L'ho pensato mentre chiudevo la porta del bagno al lavoro. L'ho pensato mentre mi rendevo conto di come a volte vivo male, malissimo. Anche la mia gioia attuale. Anche i momenti di bonheur che sto vivendo con questa persona che é ora nella mia vita. Ho sempre paura che arrivi il giorno in cui lo sentiro' distante, freddo. Come é stato quello stronzo quando io gli sono corsa incontro a Victoria Station e lui si é quasi scansato. Fingendo di non sentirsi bene. Quello stronzo che non mi ha dato un segnale in una settimana di quello che era ormai storia finita. Eh no, sai, tu eri a Glasgow. Sembrava brutto. Ah, si? brutto stronzo? Ecco, tutto questo rimane con me. Non lo posso condividere. Non posso picchiare nessuno. Non posso sputare questa verità in faccia a nessuno. E tutto questo blocca la mia vita, l'empeche. 
Allora io questo weekend, proveró a parlare. Cercheró, vedró se la situazione si presenta per raccontare. Per dire, ascolta, mon chéri, non é per te, ma io sono traumatizzata. Io ho il cuore avvolto in rotoli di carta da pacco, ho il cuore come l'uomo dalle mani di cristallo, con le ossa che si rompono per un nonnulla. Ecco questo é il mio cuore. 
Prendilo e straumatizzalo. Cosí lo stronzo sparisce, non solo dai ricordi (che ormai sono andati), ma anche dalle paure. Fallo per me. Fallo per noi.

La primavera alle porte


Anche se era notte...

giovedì 20 febbraio 2014

London Skies

 
C'é una cosa di cui non mi stancheró mai. E' il cielo di Londra. Di un blu che non esiste da nessuna parte. Un cielo grande, immenso, in cui perdersi. Un cielo di pur bonheur. Nel cielo di Londra puoi trovare la pace, puoi trovare la gioia, puoi trovare risposte, basta sollevare la testa. Ho passato il mio primo anno in questa città a sollevare la testa. Una volta chi camminava con me verso casa me l'ha detto: ma cosa guardi con la testa all'insú? E io ho risposto: il cielo. In realtà, avrei voluto rispondere l'infinito, ma anche me stessa, la mia anima, la mia ricerca di serenità. 
Ieri esco dal lavoro di corsa per andare a ritrovarmi fra due braccia a me care e vedo questo cielo terso, blu, senza una nuvola. E vedo soprattutto i giochi di luce sugli edifici. Il respiro si ferma per rilasciarsi in un sospiro. Di serenità, bien sur, di bonheur. 
Se penso a quante volte questo cielo mi ha sollevato, mi ha dato la forza di andare avanti, di lottare, di affrontare una nuova giornata, con tutte le sue sfide. Nei miei momenti bui, guardavo in alto e mi sentivo meglio. E sentivo lentamente scomparire l'incertezza. Le paure. I dubbi. 
London skies. Niente di piú.    

Will you let me romanticize,
The beauty in our London Skies,
You know the sunlight always shines,
Behind the clouds of London Skies. 

mercoledì 19 febbraio 2014

Io e il mio nuovo amichetto

Per sei anni ho avuto un amore. Ever lasting love, direi. Un cellulare Nokia, piccolo piccolo. Di quelli da mettersi in tasca, da quanto era piccolo. 
Poi sono venuta a vivere a Londra. E tutti lí a dirmi: ma ce l'hai whatsapp? e io: c'ho che?
Il piccolo Nokia si é perso due volte. Due volte é tornato a me. Insomma, un segno del destino. Un amore grande. E io mi sono persa in piena notte, da sola, a Shoreditch. Non proprio a pleasant experience. Per le strade buie e tenebrose di questo quartiere molto shabby e poco chic, invocavo google maps, quello che ormai hai disponibile in ogni smart phone. 
Cosí, alla fine l'ho comprato. E che piacere. Che sogno. E ho anche installato questo celebre whatsapp. Tutto piú facile ora. Sempre in contatto con tutti, vicini e lontani. Mappe a gogo (altroché perdersi ora). Foto stupide da scattare sempre e comunque. Da postare sui social network, della serie sto mangiando le noodles, sto guardando il cielo grigio, mi sono appena svegliata guarda che faccia, etc etc. 
E cosí, dato il nuovo amore, whatsapp é molto attivo in questi giorni (soprattutto dopo che io, col tono un po' acido, ho detto: insomma, io non so mai come contattarti). E stamani smessaggiamo. Lui mi dice "vado a casa da questo a questo giorno". Io dico: perfetto, ti vengo a prendere in stazione quando torni. E sbaglio a mettere lo smilino cretinino. Cosa inserisco, io, la furbona? il simbolo di un anello di fidanzamento.
Dunque, riassumiamo: ci frequentiamo da due mesi. Abbiamo deciso di andare pianissimo (troppe batoste già prese). Non abbiamo nessuna etichetta su di noi, della serie fidanzato/a, petit ami/e, petit copain/copine. Lui é anche piú giovane di me (di poco, eh?). E io gli spedisco l'immagine di un anello. Sono scoppiata a ridere, in preda all'imbarazzo (e forse al lapsus molto freudiano). Lui risponde al secondo: mi vuoi per caso chiedere di sposarti? Io sdrammatizzo. E tutto torna nell'ordine. 
Ecco, questo mio nuovo amichetto, che mi salva dal perdermi nei quartieracci di Londra, che mi fa restare in contatto con tutto e tutti, che mi fa scoprire la gioia di prendere foto ovunque e dovunque, mi combina anche questo. 
Fortunatamente, con una bella risata, la vita va avanti. Col mio amichetto smartphone. E non solo.

martedì 18 febbraio 2014

Serenità e sole: il menu del weekend away


Non posso guardare piú di tanto le foto, altrimenti mi torna quel sorriso. Quello a 48 denti. Quello della spensieratezza, della dolcezza. Del non preoccuparsi, del vivere il momento presente. 
Avevo paura prima di partire. Due giorni insieme e tre notti mi spaventavano. E se non avessi abbastanza parole e pensieri da comunicare? pensavo. E poi invece non mi sono neanche posta il pensiero. Il problema non c'é stato. Ma c'é stato il sole (e anche la pioggia, bien sur), il mio ombrello che é volato nel fiume per il vento, i baci dolci, le camminate stancanti ma da mozzare il fiato, un letto in cui appoggiare un attimo la testa per sprofondare in un sonno dei giusti, la curiosità di vedere nuovi posti, una mano da stringere. 
Le foto non sono belle. Io non sono bella e non sono fotogenica. Ma sorrido sempre. Ed é un sorriso vero. Puro. Un sorriso di serenità.

 

Un tramonto per emozionarsi


Un banc au soleil pour s'enlasser et se rélaxer

 

Un sorriso

 

Case colorate per ricordare un po' Copenhaghen


Chiudere gli occhi senza neanche accorgersene


lunedì 17 febbraio 2014

La pazzia citata

Io sto male da cani, ho la bambina a casa e nostro padre cuce stuole da preti.

lunedì 10 febbraio 2014

Una foto sfocata

E' una foto sfocata. Fatta col cellulare. Di qualità bassa. Le nostre teste non entravano neanche nello schermo. On a de grosses tetes, come dicono i francesi. Non siamo venuti bene, su quella foto. Non siamo per niente bellini. Ma quello che mi ha colpito é il mio sguardo. E' uno sguardo stanco, ma dolce. Forse anche un po' disperato. Lo sguardo di chi vuole credere a tutti i costi in qualcosa. 
Il problema é che quel qualcosa non dipende solo da me. No. Dipende da una serie di dati, di fatti. Di sentimenti. Ogni mattina, ogni sera, mi ripeto "ti prego, fai che non soffra". Non posso farcela un'altra volta. Vivo col cuore incelofanato, impacchettato in quella carta da pacchi con le bolle che a tutti piace far scoppiare. Non ne posso piú di vivere cosí. Io vorrei solo un braccio. Io vorrei una spalla, su cui appoggiare la mia testa e i miei pensieri. Io vorrei la pace nel cuore. Me la puoi dare? almeno per un po'. Ma evitiamo per favore le illusioni. Quelle non mi vanno.

martedì 4 febbraio 2014

Buon compleanno, stronzo

Ecco, io ieri camminavo bella bella per le strade nere di Pimlico. Stanca, tanto per cambiare, dopo le mie due ore di sao sao bao. E ho pensato che presto sarà il tuo compleanno. Noi non ci sentiamo piú. Io non ho nessuna intenzione di sentirti. Né di parlarti. Penso tu l'abbia fatta veramente grossa. Fortunatamente, la vita ci fa fare vite diverse. Ci fa vivere in una città in cui non ci si incontra. E poi nessuno dei due esce nei posti dell'altro. Figuriamoci. Tu devi giocare al riccone. Tu devi metterti la maschera. Tu devi fare il super figo, col corpo palestrato. Meglio non dire altro. E ieri, per le strade buie di Pimlico, ho pensato che ti avrei voluto spedire un messaggio. Di questo tipo: Buon compleanno, stronzo. Poi mi sono detta: aspetta, quanti messaggi dovresti mandare allora? sai quanti stronzi conosco? Troppi. Dovrei fare spam. Non te lo manderó, stai sereno. Perché sarebbe stabilire un contatto. Quello che io non voglio piú avere con te e con la gente come te. 
Oui, je sais, ça va aller. Il faut que ça aille, ma fille!

lunedì 3 febbraio 2014

Il tempo futuro

Quella frase pendeva nel nostro rapporto da un po'. Era lí, nell'aria. Ci volava sulla teste, ci circuiva delicatamente. Io me la sentivo sulla pelle. Io lo sapevo ogni volta che ti ho sfiorato la pelle chiara piena di lentiggini. Ogni volta che ho sentito il tuo odore. Ogni volta che ho intravisto il colore dei tuoi occhi, nascosti per bene fra le fessure delle palpebre. 
Ho avuto paura. Ma la tenerezza ha preso il sopravvento. La tenerezza per quella frase appena accennata, un po' scaricata come una bomba che tanto prima o poi sarebbe dovuta esplodere. Ho gradito che tu l'abbia fatto in quel momento, con quella tenerezza tutta tua. 
Vedremo. Ho passato un giorno intero a dire, a dirmi vedremo. A usare il tempo futuro. Faremo. Vedremo. Diciamo che l'intento c'é. Ora vediamo o vedremo cosa la vita ci riserva. 

venerdì 31 gennaio 2014

Right to move

Non ne posso piú. Non mi sento piú a mio agio in quella casa. Mi sento come un topo che deve scappare dal gatto, dai gatti della casa. E sono tutti matti quei gatti. C'é il coinquilino che parla da solo. E da quando non ci parliamo piú, parla da solo sempre piú spesso. C'é il nano scatarrante, che mi urta solo a intravederlo. Stamani ero una larva appena sveglia. Mi sono trascinata in cucina strisciando. Mal di pancia lí, bello bello. Di quelli che non stai in piedi dritta. Mi rilasso e si placa, anche grazie all'utilizzo di sostanze chimiche stupende. Vado in doccia e sento suonare il campanello. E capisco. Lo scorso weekend mi avevo fatto parte delle sue manie schizzo. Mi ha detto: rischiamo di saltare in aria in bagno. Io: ah, si? e da quando? Mi spiega la sua teoria sulla luce del bagno che incendia tutta la casa a causa del vapore della doccia. E io, tra lo scettico e l'arrabbiato: scusa, vivo qui da quasi tre anni e solo ora perché tu, figlio della padrona di casa, sei venuto a vivere abusivamente da noi, facciamo i lavori in bagno, cosi non saltiamo in aria? Lui non gradisce, ma non fiata. 
E stamattina sono iniziati i lavori. Naturalmente senza nessun preavviso, naturalmente proprio la mattina in cui io ho impiegato 45 minuti per passare dallo stato di larva strisciante a quello di semidonna sofferente, in cui sono entrata in bagno alle 8.35 invece delle 7.30. Faccio in fretta nella doccia per non dare fastidio. Mi preparo e scendo in cucina. E lí, il nano scatarrante mi aspetta (mezzo nudo, cosi incrementiamo la produzione catarrosa). Eh, abbiamo dovuto aspettare te per far partire i lavori. Apro la bocca e scopro di essere Grisú. Sputo fuoco. Dico, ma mandare un'e-mail, no? hai troppo catarro in testa per pensarci? E lui si allontana. Ma quando io agguanto la maniglia della porta per uscire, lui mi striscia vicino "How is life treating you, Francesca?". La mia risposta naturale sarebbe: "mi vuoi lasciare in pace?", ma capisco che non si puó fare. Cosí rispondo: "anche se tu probabilmente non l'hai notato (sempre causa troppo catarro in testa), stamani sono in ritardo. Non sono stata bene per tua informazione. Scusami, devo andare". E faccio un sorriso finto come quelli del nano scatarrante. Ho imparato. Mi é forse scappata una fiammella da Grisú, ma non ho fatto danni.
La prima cosa che ho fatto appena arrivata al lavoro é stato aprire la pagina web di Right Move. Sorry, non ne posso veramente piú.

giovedì 30 gennaio 2014

Se mi sposo

Se mi sposo, mi metto la coroncina di fiori in testa (dovevo dire una scemata per sopravvivere a queste giornate convulse in cui ti chiedi se ha senso essere al mondo, venire al mondo e mettere al mondo). 
Tranquilli, io non mi sposero' mai. Chi é talmente pazzo da scegliermi per la vita (o quasi)? Forse devo recrutare una giovane recluta a scuola di mia nipote. E crescermelo. A mio modo. 

lunedì 27 gennaio 2014

Central Line Eastbound

Ho passato venti minuti in camera, sul letto, a sentire il rumore dei pensieri. Poi mi sono vestita ben calda, fuori faceva freddo, freddissimo. Ho controllato ancora una volta la strada, per essere sicura delle tempistiche. Ho controllato la Oyster e sono uscita per strada. Il freddo mi ha colpita, ma ho guardato i miei piedi andare. Camminare. Veloci, nella pioggia. Ho visto le immagini davanti ai miei occhi: il pub all'angolo, la casa delle suore, la creperie, il mio albero preferito, le ambulanze del veterinaio e poi Victoria Station, lí dove piace a me. E poi nel Tubo. C'era pochissima gente, dato il tempo da lupi. Ad Oxford Circus ho lasciato la linea blu per andare verso la rossa. Ho controllato la direzione e ho aspettato la mia. E mi sono detta che in mezzo anno sono passata da un estremo di quella linea all'altro. Prima andavo a Ovest. Ora a Est. Due persone diverse. Con in comune solo la lingua materna. Io sempre la stessa. Forse molto piú disillusa. Forse molto meno sognatrice. Anche se questo lui sogna, secondo me. Si si, di nascosto sogna. E io freno la mia testa e mi dico "aspetta, vedi come va. Magari ti scarica anche questo senza preavviso". Ma allo stesso tempo, la vita va vissuta, va goduta secondo per secondo, attimo per attimo. Sfioramento di mano dopo sfioramento. Abbraccio dopo abbraccio. Carezza dopo carezza.  Passettino dopo passettino. Perché di questo si tratta. 
La Central Line Westbound mi ha segnata. Mi ha un po' rovinata. In tre mesi ha fatto piú danni che in 30 anni. Eppure a Chancery Lane, sulla via del ritorno ho stretto un braccio, dato un bacio e detto "Courage". Forse era piú per me quel Courage. Courage abbandona i fantasmi, le paure. Il faut se laisser aller. Il faut y croire à nouveau, ça vaut la peine. Toujours. Da un estremo all'altro della stessa linea, rossa, come il sangue che ho perso. Come la passione che ho vissuto. Come l'amore che non ho trovato in te e che spero di trovare ora. Sulla Eastbound. 

giovedì 23 gennaio 2014

L'amour qui se donne à corps perdu

Lei mi ha detto: quel tipo é strano. E' sempre triste. 
Io ho annuito in silenzio. 
E ho tristemente pensato di sapere il perché di tutta quella tristezza. C'é un vuoto nella sua vita che non si puó riempire. Lui mi diceva "non me lo dimenticheró mai".
Io ho provato a riempire quel vuoto. Lui mi ha detto "no, grazie". Forse l'ha fatto anche perché sapeva che non si sarebbe riempito.
In ogni caso, io lo volevo riempire sempre in nome della stessa cosa. De l'amour qui se donne à corps perdu. 

mercoledì 15 gennaio 2014

La migliore frase del weekend

Lei vuole avere uno zio. Me lo ha detto tante volte. Lo zio si sposa con la zia e genera cugini. Questa é la sua idea. 
Ci siamo trovate in macchina da sole. Lei seduta dietro, legata sul suo siège enfant. Io davanti. 
Lei mi chiede: allora, zia, hai trovato un uomo da sposare?
Io: ma sai, sto frequentando qualcuno, ma é piú giovane di me. Quindi penso che il matrimonio sia lontano dai suoi pensieri. 
Lei si protende in avanti dal suo siège enfant e sgancia la bomba: zia, non ti sarai mica messa con un bambino? 
Inutile dirvi che ho riso per ore. Inutile dirvi che ci rido ancora.
Inutile, i bambini sono avanti. E non poco. E io no, non mi sono messa con un bambino. Quello ancora no. 

giovedì 9 gennaio 2014

Fai buon viaggio sereno

Ero già nervosa appena sveglia. Poi trovarmi il coinquilino fuori dal bagno ad aspettarmi, non ha aiutato. Ho reagito subito. Sempre per la storia che io non voglio che nessuno mi metta i piedi in testa. Specialmente questo qui, mi sono detta. Il nano scatarrante. Che mi si é imposto in casa, senza il mio volere.
Ero nervosa e sono nervosa. Ho trasmesso la mia so called mononucleosi al povero baby, che mi ha tenuto dolcemente fra le sue braccia. E poi il peggio é stata l'e-mail notturna. Quella mail. E va bene che sono stata io a chiederti di uscire, ma sei stato tu a menzionare la parola date. Non si trattava di un date, mio caro, per niente. No, solo di un incontro fra due persone che vogliono parlare. Sottolineo parlare. 
Non é bastato quanto hai combinato? Non é bastato farmi entrare in un castello dorato e poi cacciarmi via a pedate? Non é bastato scaricarmi a momenti per strada o in stazione, perché la tua freddezza parlava di piú delle parole che alla fine hai pronunciato? 
Era finita fra di noi mesi fa. Ieri sera, é finita per sempre. Anche la porta dell'amicizia o proviamo a essere amici. Il famoso salotto, quello mio, quello delle relazioni umane, le mie, ha chiuso la porta. E non sono stata io a chiuderla. L'hai chiusa tu. 
Vorrei solo sapere cosa ti aspettavi che facessi al pub o altrove. Pensavi ti sarei saltata addosso? che sarei scoppiata in lacrime supplicandoti di tornare? O hai solo pensato che fossi ancora innamorata di te e che mi avrebbe fatto male rivederti? In ogni caso, ce n'était pas nécessaire. Tu hai scelto, io mi adeguo. E cancello la tua faccia dai miei ricordi. Tengo quelli belli, per raccontarli un giorno sotto le coperte ad una giovane donna in fieri. I ricordi del cuore che batte, dei baci dolci, delle mani che si incrociano. Della gioia del vedersi, delle palpitazioni quando siamo stati distanti. I ricordi che ho con te, ma anche con altri. Insomma, i ricordi dell'innamoramento.
Fai buon viaggio sereno.

mercoledì 8 gennaio 2014

Là dove il mio cuore smette di battere

C'é un posto a Londra in cui il mio cuore smette di battere. Il respiro é spezzato. E' Southbank, specialmente di sera, specialmente sul ponte di Embankment. A Southbank c'é l'odore salmastro del mare. Ci sono gli artisti di strada che producono bolle di sapone enormi, spettacoli improvvisati, canzoni che ti rapiscono. Ci sono migliaia di persone che ad un certo punto spariscono e ti lasciano da sola a camminare per questa bellezza di posto. Ci sono i ragazzi con gli skate, che sembrano voler cambiare il mondo rotolando sulle due ruote. Ci sono le voci delle persone, che sanno tacere all'impovviso, per farti sentire il rumore delicato dello scorrere dell'acqua e quello rumoroso dei pensieri. Ci sono gli innamorati che si stringono, quasi fosse per la vita, cosi' come hai fatto tu con i tuoi uomini di passaggio. Ci sono le luci, che si specchiano nelle pozzanghere, ci sono gli edifici monumentali, vestiti di notte con luci colorate, ci sono i rumori lontani di una città che non smette mai di vivere, che non conosce calma. E c'é il mio cuore, che smette di battere, estasiato. 

Non dimenticare mai di respirare, mia cara

Lui ha risposto al mio invito. Come mi aspettavo. Forse piú per educazione che per altro, ma ha risposto. In ritardo, come sempre. Segno che il vedermi, non é proprio una priorità. Ma questo lo sapevo, lo sapevamo entrambi. Cosí rivedró le mani pelose, la ruga sotto l'occhio, le orecchie che si piegano, il sorriso perfetto. Il naso chiuso mi impedirà di risentire il suo odore. 
Non so se avró il coraggio di fare quelle domande scomode che mi porto dietro da mesi. Non sono appropriate, direbbero gli inglesi. O forse é meglio lasciare andare cosí, dimenticare le incertezze e costruire un nuovo rapporto, da zero. Vediamo. Per ora mi concentro su di me. Sul respiro. Sul fatto di non dimenticare di respirare. Neanche davanti alle mani pelose.

martedì 7 gennaio 2014

I propositi del nuovo anno

Va bene. Ho una tosse da non stare in piedi. Va bene. Ho due occhiaie che fanno paura, perché queste notti, alla fine ho dormito poco. Tornata tardi dal lavoro, il catch-up con qualche amico, le passeggiate nei parchi di Londra con chi ama la natura, le mozzarelle da mangiare alle 11 di sera col coinquilino napoletano, le mail a cui rispondere che giacciono nella casella postale come sassi sotto il Tamigi. E poi svegliarsi alle 5 del mattino e pensare ancora al lavoro, dicendosi "no no, questo non va bene!".E poi il principio di congiuntivite che arriva, con gli occhi che pizzicano e le mani che non riescono a stare ferme.
Nonostante tutto questo, ho il sorriso sulla bocca. Ho iniziato l'anno imponendomi di essere felice. E ho trovato la felicità nelle piccole cose. Nel cielo blu dopo la tempesta. Nelle nuvole so British (belle cicciotte). In alcuni passaggi del libro che sto leggendo. Nel nuovo disegno fatto da manine di infante a me caro da attaccare sulla parete bianco sporco della mia camera. Nel contare le lentiggini sul tuo viso. Nello sguardo corrugato del coinquilino al mattino, che dovrebbe suonare come buongiorno, che poi ti dice "dai, dammi un bacio che mi tiro su". Nell'idea di un viaggio con l'amica o in quella di andare a trovare qualcuno che combacia con te come una gemella. 
Ecco, questi sono i miei propositi del nuovo anno. E allora, Buon Anno!Perché il grigio va via se guardi bene...sotto le nuvole c'é sempre il sole!

sabato 4 gennaio 2014

Dingue

Je venais tout juste de rentrer à Londres. J'avais dormi qu'une nuit, si passer 4 heures dans le lit s'appelle dormir. A 5 heures du mat, j'ai ouvert les yeux. Même dans le noir, je me réveille, moi. J'ai ouvert les yeux et une phrase est monté à mes lèvres. Il faut que je lui propose d'aller marcher dans un parc. Que moi et lui et la vérité. Et alors, la première chose que j'ai fait c'était d'écrire. Un mail. Forget about love. Ce n'est pas de l'amour. Mais j'ai besoin de cette foutue vérité. Je ne veux pas poser des questions directes. Je vais seulement observer. Les petits mains. Le ride sous l'œil droit. La plie de la lèvre quand il boit. Observer pour avoir cette vérité, qu'il me doit. Même si je suis partie d'où j'étais. J'ai trouvé d'autres bisous. J'ai trouvé d'autres bras qui m'enlacent au petit matin.
C'est dingue. Face à tout ça, moi, je t'ai écrit. Et je t'ai demandé d'aller marcher dans un parc. Moi et toi. Et la vérité entrevue, perçue. Peut-être pas réelle. 

giovedì 2 gennaio 2014

Ce foutu d'Ealing

Le parcours de la Piccadilly depuis Heathrow je le connais par cœur, moi. Je peux fermer les yeux et le réciter. Arrêt après arrêt, comme une prière. Ce soir, j'ai attendu. J'ai attendu d'entendre ce nom. Ce nom d'endroit que je connais assez bien. J'ai attendu de reconnaître cette station, où je me suis retrouvée une nuit de fin août, en rentrant d'Oslo, avec une seule envie dans ma tête: ta peau. Je ressentais la fin, à ce moment précis. Mais je n'étais pas bien, j'étais perdue. 
La voix enregistrée a prononcé ce nom, ce foutu nom. Mon cœur s'est arrêté. Oui, encore. Oui, même s'il y a eu d'autre après. Même si j'ai trouvé d'autres peaux. Et alors, j'ai supplié je ne sais pas qui. J'ai demandé de me faire oublier, de ne plus arrêter mon cœur.
Enfin, Ealing n'est qu'un quartier de Londres. N'est ce pas?