giovedì 27 marzo 2014

Scusami, vorrei tanto fare un salto ad Istanbul





Quando ho aperto gli occhi il primo giorno ho sentito delle urla strane. Ho visto la sua schiena respirare serenamente, mentre io ho pensato "Ecco, é scoppiata la guerra. Ora qualcuno entra dalla finestra con un kalasnicov, ci grida infedeli, non siete neanche sposati e ci ammazza". Poi ho capito che era il muezzin che richiamava alla preghiera, non la jihad. Il primo giorno abbiamo camminato come zombie. Stanchi, col jet lag sulle spalle e lo straniamento. Si, quando non capisci dove sei, cosa stai facendo, dove vai. Camminavamo e ci meravigliavamo. Io insistevo che sembrava tutto cosí vicino a noi, sembrava un po' di stare a Roma, dicevo. Lui scuoteva la testa e mi dava dell'ottusa. Devi accettare l'altro, non puoi ridurre tutto a Roma. Roma non é caput mundi. Poi c'é stata la scoperta. Il sapore unico di quel thé, preso sul Bosforo. La sera, la cena su una terrazza come se fosse estate. E i sapori unici. L'agnello che si fondeva in bocca, anche nella mia, che normalmente si rifiuta di mangiarlo. I sapori veri delle verdure, che sapevano di verdure e non di acqua. 
Poi l'emozione di Santa Sofia. Dei mosaici cristiani in una moschea. Lo sfarzo dei palazzi del sultano. I diversi Harem. Il sole sulla pelle, leggero, ma caldo. La basilica cisterna col suo odore di umido e le carpe, pesci immesni, che nuotano con i loro baffoni. Le vetrine di dolci, ripieni di mile e di mandorle. Un traghetto per andare in un altro continente, sciuscià che ti pregano di lucidarti le scarpe, domande imbarazzanti (ma voi siete sposati?) e il bonheur di scoprire insieme un nuovo mondo. 
Tout ça est Istanbul.

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