sabato 25 maggio 2013

Quest'anno ha vinto il Bayern

Quest'anno la Champions League l'ha vinta il Bayern. E guarda caso, dopo un po' che non ti capitava, tu stasera hai avuto un date. Si, un'uscita con qualcuno, che conosci comunque bene, ma in una veste diversa. Ti sei detta che ti avrebbe fatto bene, visto che sei giù per la partenza di quel qualcuno, che ti ha fatto tanto bene negli ultimi mesi londinesi. Ti sei anche chiesta se questo date poteva far dimenticare un po' la sfortuna del ricordo di quanto é successo l'anno scorso in questa occasione. E tutto é andato molto bene. Tutto é stato divertente, leggero, spensierato. Usciti dal locale, tu e il tuo date di vecchia conoscenza iniziate a camminare per le strade del centro. E lui ti annuncia la vittoria del Bayern, mentre noti che ti porta verso una stradina poco illuminata. Tu inizi a pensare al segno del destino, al cambio di rotta del vento della tristezza, mentre lui si avvicina sempre di più. Senti il suo profumo nel tuo naso, mentre ti dici e ti convinci che "un bacio, male non farà". E proprio quando ormai lui ha preso il coraggio a due mani e ti sei convinta del cambio di rotta del destino, senti una voce che conosci bene esclamare "Ma non vi stareste mica baciando?". E vedi la tua amica, che proprio amica stasera non é stata, venirvi incontro, mentre lui assume una distanza di sicurezza di tre metri da te. Sospiri, guardi il cielo stellato (che sarebbe stato un complice perfetto di quel bacio tanto agognato) e con naturalezza forzata esclami "oh, ma guarda che sorpresa! E cosa ci fai tu qui, in una strada buia di Soho, a mezzanotte passata?". E lei neanche ti risponde, ma sorridente sentenzia "Ma lo sapete che quest'anno ha vinto il Bayern?". Tu sospiri ancora una volta e pensi, si, é vero ha vinto il Bayern quest'anno, ma niente cambia. Anzi, il vento del Nord soffia sempre dalla direzione sbagliata. E non é quella in cui io vorrei che soffiasse.  

mercoledì 22 maggio 2013

Ça fait longtemps que je t'aime

Un film. Due sorelle e la loro storia. Una donna da rifare. Da ricostruire. Un'altra che capisce poco, ma non per sua scelta. Forse perché la vita é stata piú clemente con lei. Un film che mi fa sempre venire i brividi. Un film, niente di piú. Un titolo, tutto mio. Si, un titolo che la dice lunga. Ça fait longtemps que je t'aime. Si, perché l'amore é sacro. Si, perché io o chi altro per me, finiamo sempre per calpestarlo questo amore sacro. Si, perché il cuore non dimentica. Il cuore si chiude, fa finta di dimenticare, ma tiene tutto al caldo nei suoi alveoli. E tutto questo amore che resta in te, poi marcisce e punge. Punge il cuore, punge il cervello. Perché si, ça fait longtemps que je t'iame.

martedì 21 maggio 2013

Veloce pensierino politico del giorno

Nelle stanze del potere i passi sono sempre felpati. Ma io certi passi, me li sento sempre dietro. Mi seguono sempre. Anche se sono silenziosissimi. Ma quelli non sono i passi del potere. Quelli sono i passi dell'amore. Perso. Archiviato. Dimenticato.

lunedì 20 maggio 2013

Dovere e pance bucate

Apro gli occhi. Sono esausta. Eppure ho dormito. Mi alzo a malincuore e eccomi lí davanti allo specchio. Brutta faccia, lo dice anche il coinquilino bello, scuotendo la testa. Lo stomaco mi é partito di nuovo. Ho un buco nella pancia. Perché? Non lo so, é successo di botto. E' successo senza che io me ne sia neanche accorta. Forse troppo stress, forse troppo da fare al lavoro, forse troppe cose accumulate, frustrazioni, partenze, distacchi, addii. E accanto a me, il vuoto. Piú di 100 numeri in agenda, nessuno che conti da chiamare. Alla gente non piace sentirti triste. Alla gente non piace sentirti giú. Loro, si vogliono divertire. Loro non vogliono la tua tristezza. Hai provato a parlare con l'amica. Lei ha sentenziato "non hai una vita facile". Sei tornata a mangiucchiare l'hamburger. Aveva piú sapore di quelle parole. Non hai versato una lacrima. Ma le senti lí, in attesa di uscire. Pesano, sotto gli occhi. Ma stanno ferme. 
Oggi hai pensato che sei una donna forte. Ti sei sempre risollevata. Sei sempre andata avanti. Hai pensato, sono solo stanca. Sono troppo stanca. Ma ce la posso fare. Si, devo. Non ho altra scusa. Non ho altra opzione. Io non posso crollare. Io ho solo me stessa e le mie gambe. Io devo stare in piedi. Anche con questa faccia qui. Anche con la pancia bucata. Devo.  

domenica 19 maggio 2013

Le casette colorate di Leyton

"Sai, vivevano insieme e si sono lasciati". Primo brivido. "E ora dove vivono?". "Ancora insieme, lei sta cercando un nuovo appartamento". Secondo brivido. "Ma ti rendi conto? Deve essere terribile. Condividere lo stesso tetto dopo essersi lasciati". Terzo brivido. Mi sono alzata e ho detto alla mia amica che volevo andare a vedere quelli che giocavano a beach volley. Una scusa, banalissima. Lei ha annuito, ignara di tutto. Sono uscita e ho respirato. Mi sono detta "stai tranquilla, Francesca". Ho camminato verso i campi di beach volley e ho rimuginato. Sono tornata indietro, mi sono inventata un mal di testa e sono andata via. Ho camminato per tornare a casa. Ho guardato le casette colorate di Leyton. Mi hanno ricordato Rue du Viaduc e le sue casette colorate. Mi ha ricordato che delle volte passavo di li' per distrarmi. Per non tornare a casa e trovare quella realtà che non mi piaceva per niente. Per pensare che il mondo potesse essere come una strada piena di colori. Senza il nero. Senza il grigio. E mi sono chiesta quando finirà tutto questo. Quando te ne andrai da me, dal mio cervello, dalle mie cicatrici nascoste sotto la pelle? Sono io che ti tengo stretto, vero? e perché? La risposta non mi é pervenuta. So solo che non mi sono ancora ripresa.
E a chi mi ha fatto male in questi giorni, vorrei dire questo: "Abbi almeno la delicatezza di essere gentile con me, perché mi hai già graffiato troppe volte l'anima". 

Il buco nella pancia

Ho tremato tutto il tempo. E non era per il freddo. Ho tremato perché ho capito che sto fuggendo, ancora una volta. Il problema é che non so da cosa. Stavolta non c'é un uomo nero, cattivo, stavolta non c'é niente di questo. Ma io fuggo. Fuggo per le strade di Londra, per quelle di Bruxelles, per quelle del mio paese. Fuggo, prendo treni, aerei, metropolitane e autobus notturni. Fuggo con un buco nero nella pancia. Si, la mia pancia é perforata. Ci puoi vedere attraverso. Una figata, vero? Fuggo e non piango. Sono mesi che non mi scende una lacrima. Forse da quella ultima sera che ho passato con te. Quando abbiamo finta di poter essere amici. Ed é finita per sempre. A South Kensigton. Da li', io non ho pianto più. Non ho pianto neanche davanti alla valigia di chi ha preso il tuo posto, anche se sentivo gli occhi pesanti. Si, perché io mi sono sempre ripetuta che nessuno prende il posto di nessuno, ma io non ho fatto altro in questi anni che sovrapporre facce. Ecco perché tremo. Ecco perché la signora davanti a me nella metro mi guarda e con dolcezza mi chiede: are you ok, luv? E io non rispondo nemmeno, le parole non le ho. Faccio un cenno con la testa, le sorrido e scendo. E torno a fuggire, a correre, senza piangere, mentre mi ripeto questa frase: ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro. Lo farai o l'hai già fatto tu, io ci impieghero' ancora di meno. Triste, si, tristissimo. Come questo buco nella pancia. Enorme e triste.    

giovedì 16 maggio 2013

Move the fuck on

La discussione, se cosi' si puo' definire, é durata 5 minuti. 5 minuti in piedi sulle scale, ma la testa presa per tutto il giorno. Presa, catturata, persa. Mi succede sempre cosi' con te. Mi sento stremata, a terra, per un giorno intero. Io e te siamo capaci di una violenza inaudita. Violenza a parole, ma pur sempre violenza. Io ho detto quello che pensavo, tu hai reagito. Poi hai sentenziato che mischio personale e altro. E invece no, proprio per niente. No, perché proprio ultimamente le cose sono cambiate: ho accettato cose che prima non accettavo. Ho accettato di aver passato momenti felici con te, ho accettato di essere stata bene. Ho accettato di chiudere un occhio e non ricordare il brutto. E tu hai distrutto tutto in 5 minuti sulle scale. Quando sono tornata al mio posto, ho capito che non ci resta che il silenzio. Non é possibile neanche ricostruire un presente di ricordi passati e conservati, da costudire in solitaria nei nostri cuori. No, vanno cancellati anche quelli, annullati. Erano pochi, sai, ma almeno mi restava qualcosa di me e te. Almeno potevo pensare che avessimo avuto qualche good old day. Quelli delle chiacchere che non finivano mai, quelli del sapere che c'é una mano che ti prende e ti guida perché tu non riesci a capire dove andare, qualcuno da andare a trovare di notte. Tutto distrutto, tutto andato. Gli inglesi direbbero "move the fuck on".
Se ti potessi dire un'ultima frase, ti direi che quello che ho fatto per te quando tu eri a terra, l'ho fatto per amore. Si, non c'era tornaconto, c'era solo il tentativo, forse stupido, immaturo, di sollevarti un po' dal tuo dolore. C'era quello che io chiamo amour à corps perdu. Da dare, tanto per dare. Senza aspettare niente in cambio. Che tu ci creda o no.

Fuck you, my dear.

Forse ci hai impiegato al massimo 5 minuti ad ottenere il mio numero. Te l'ho fatto scivolare cosí, fra una frase e l'altra, al supermercato. Mi sono vergognata un po' per la mia facilità. Mi sono detta che un numero non é poi niente di grave. Tu pero' poi hai chiamato, diversamente dalle mie previsioni. E io non ho risposto. E lí mi sono detta "brava, fai il leone e poi appena bisogna passare all'azione, diventi coniglio". E poi hai fatto una scommessa, studiata, col coinquilino bello e dannato. Sapevi che avresti perso e hai accettato, perché sapevi cosa avresti vinto. Una cena fuori, voi due, soli. Hai perso, lui ha sorriso, tu sei diventata rossa. "Arrossisci sempre", ha aggiunto, "e ricorda che non saremo piú coinquilini durante questa cena, con tutto quello che comporta". Hai respirato, hai girato i tacchi e sei sparita. Non hai dormito. Non potevi. Pensavi alle conseguenze. Hai passato la notte ad ossessionarti con le possibili conseguenze di quella cena. C'mon, é un gioco, ti sei ripetuta. Stiamo solo giocando. E invece no. O comunque é troppo pericoloso. Per me, non per te. Anche per qualcun'altro, lo sappiamo entrambi. 
Ci sono mondi mentali con muri che toccano il cielo. Ci sono presenti pesanti, passati insopportabili, futuri che fanno rabbrividire. C'é chi se n'é andato e ha lasciato il segno, c'é chi é rimasto e avrebbe fatto meglio ad andarsene. Ci sono cuori che sussultano, che aspettano, che vorrebbero altro. C'é una frase, sempre e solo una, che si adatta e recita "Fuck you, my dear". Si, fatelo tutti quanti. Persone, pensieri, frustrazioni e finte gioie. Vedrete che vi piacerà. E io finalmente mi riposeró.

martedì 14 maggio 2013

Le strade dei ricordi

Ho realizzato che io a Bruxelles ho un ricordo in ogni strada. Belli e brutti, tutti insieme. Il cuore smette di battermi in ogni angolo. Inizio ad avere questa sensazione anche a Londra. Il ponte di Chelsea illuminato, con chi mi abbraccia alle spalle e mi spiega le maree, King's Cross e la tua mano che mi saluta e io che mi chiedo se ti rivedró mai, le strade studentesche di Bloomsbuty, dove ci siamo nascosti dagli sguardi curiosi, London Bridge e la speranza di un cambiamento e di un nuovo inizio, Clapham e io che scuoto la testa e dico "no, non si puó fare". Addirittura a Londra ho i ricordi anche al Sainsbury's. Si, quando ci siamo trovati in fila insieme per caso e tu ridendo mi hai detto "con quel cappello in testa, sarebbe meglio fare finta di non vederti!". Questo é il bello, questa é la vita. Tante strade, tanti ricordi. Tutti impressi in me, nel mio cuore, nella mia testa. Sempre con me.  

L'altalena

Il mio sport preferito a Londra é finire al supermercato dieci minuti prima che chiuda, mentre torno verso casa, e correre fra le corsie vuote, alla ricerca di quello che mi manca e che mi scordo sempre di comprare. Negli ultimi mesi ho applicato una vita di sussistenza. Compro giorno per giorno, tanto non so cosa faró il giorno dopo. E quindi il mio sport londinese preferito l'ho praticato spesso. Alcune volte lo pratico un po' bevuta e allora le corsie del supermercato si fondono, si muovono davanti ai miei occhi. Ondulano, ma forse sono io che non riesco tanto a stare in piedi. Ieri sera mi sono bastati due bicchieri di vino per ritrovarmi ad ondulare in un supermercato ormai vuoto, con la voce pakistana o indiana che ripeteva "chiudiamo chiudiamo, muovetevi", mentre cercavo di accaparrare cosa mi sarebbe potuto servire. Faticavo a mantenere l'equilibrio, ma ero lucida. E pensavo "meno male che tu sei andato via, altrimenti mi avresti sgridato". Si, mi avresti detto "non ti voglio piú vedere cosi, capito?". Ah, mi é mancato quel rimprovero. Ah, mi si é un po' stretto il cuore. E ho pensato che siamo sempre su questa benedetta altalena. Andiamo un po' su, andiamo un po' giú. Ma se ci fossi tu, sarebbe bello anche andare giú. O forse questo significa solo innamorarsi. E accettarlo.

lunedì 13 maggio 2013

Never say sorry

Mi sono seduta accanto a te. Tu mi hai raccontato la tua storia. Lentamente, parola per parola. Una storia lontana nel tempo, che risale a tanti anni fa. Una storia che ha le rughe, un po' per il tempo che é passato, un po' per la tristezza che ti ha lasciato. Una storia di delusione, di un amore deluso, forse anche calpestato. Una storia di desideri, di sogni, di un futuro insieme, che poi non si é realizzato. 
Ho ascoltato, ho guardato i tuoi occhi e le tue mani. Ho visto che il dolore é passato, ma ha lasciato cicatrici a momenti impercettibili, ma sempre presenti. Ho pensato che tu abbia condito il tutto con un po' di melodramma, come ti piace fare. Ma ho anche capito che quello che dicevi era vero. Era sentito. Era vita. 
Mentre parlavi mi hai detto questa frase "it's pointless to say I'm sorry in this situation. This is just for you, because you don't want to feel that you're guilty". E' la seconda volta che qualcuno mi dice che é inutile chiedere scusa. Inutile quando sai che hai calpestato e devastato i sogni dell'altro. I suoi sentimenti. In un certo senso, la sua vita. Lo hai fatto, forse non con coscienza, ma l'hai fatto. Io stessa mi chiedo se si possa agire cosí, senza coscienza. Si, si puó. Ma sarebbe il segno di una grande svista, sarebbe il segno di un grande gesto di egoismo, forse troppo grande per essere dimenticato con un semplice "I'm sorry".

venerdì 10 maggio 2013

Lacrime e sorrisi

C'é quella canzone, che mi hai fatto conoscere tu una sera, cosí, su una panchina. Mi ricordo ancora che avevo appoggiato la mia testa alla tua spalla e mi ero sentita cosí bene, cosí serena, mentre nell'orecchio mi risuonava la voce del cantante. Da quel momento, quella canzone me la porto sempre con me. Tu mi hai anche scritto una frase di quella canzone su una cartolina che mi hai spedito e che io ho conservato nell'angolo dei ricordi materiali. Ora l'ascolto quasi tutte le mattine, mentre vado a lavorare, mentre guardo il cielo londinese, le case tutte un po' uguali, mentre mi perdo fra i miei pensieri, mentre sento le mie mancanze e mi felicito di quanto invece ho tra le mie mani. 
Ecco, quella canzone che mi canto nella mia testa, che mi fa sempre scendere le lacrime di gioia e di sconforto, recita questo:
Did they get you to trade your heroes for ghosts? Hot ashes for trees? Hot air for a cool breeze? Cold comfort for change?

giovedì 9 maggio 2013

Un libro per un giorno futuro

E' un libro. Niente di speciale. Me l'hai regalato tu. E io per protesta contro di te, non l'ho mai letto. L'ho addirittura nascosto dietro gli altri libri, pur di non vederlo. Sai com'é, mi ricordava te. Mi ricordava noi. Mi ricordava quando sono stata felice con te. Poi il coinquilino bello e dannato un giorno mi ha chiesto un libro da leggere e gliel'ho dato, ancora una volta per non vederlo. Gli ho addirittura detto "tienilo pure, non ho fretta di leggerlo". L'ho fatto per dimenticare, per fare in modo che non mi capitasse fra le mani insieme ai ricordi. Ieri ho aperto il ripostiglio e l'ho visto lí quel libro, fra gli stracci per pulire per terra. Ho maledetto un po' il coinquilino bello che l'aveva buttato lí e anche me stessa. L'ho ripreso fra le mani, ho cercato un segno di te, ma non c'era. "Figurati", ho borbottato. Mi sono chiesta se lo dovessi leggere, se dovessi finalmente seguire il tuo consiglio. Ho scosso la testa e l'ho appoggiato fra gli altri libri, stavolta visibile. Il tempo rimargina le ferite. Il tempo fa capire gli sbagli. I miei. Il tempo fa tanto. Ma io resto cosí, in silenzio, bloccata. Se potessi parlerei, forse dovrei, ma per ora non posso. Non riesco. Per ora guardo quel libro dal letto appena sveglia e dico "un giorno, ci riusciró". Si, un giorno.   

mercoledì 8 maggio 2013

Cosa non mi é piaciuto

Non mi é piaciuta la tua valigia. La prima cosa che ho visto dopo una lunga giornata di lavoro. Non mi sono piaciuti i tuoi occhi che sembravano quasi chiedere scusa. Non mi é piaciuto svegliarmi e pensare che tu non ci sei piú in questo paese. Non mi é neanche piaciuto quell'aereo mattutino che ti porta verso un'altra vita. Ieri mi hai detto "torneró per festeggiare, é solo un primo distacco". Si, festeggiare la tua partenza e il mio compleanno. E quella frase mi é rimasta in gola, lí piantata di traverso. Ieri non sapevo dove guardare pur di non guardare i tuoi occhi. Non li potevo guardare. Mi sentivo troppo fragile per guardarli. Troppo vulnerabile. Stanotte non ti ho sentito andare via. E stamattina ho pensato che non é stato un caso. No, il cuore ha deciso di farmi dormire per non farmi soffrire. Buon cielo sereno anche a te. Quello di Londra oggi é pieno di nuvole. Il mio anche.

martedì 7 maggio 2013

Fine settimane di certezze

E' stato il fine settimana della crescita. Si, del vederci tutti insieme grandi, adulti, seduti in una tavolata al sole, con i neonati che discutevano fra di loro e l'odore buono di bimbo nel naso. E' stato il fine settimana del ritrovarsi a Place des Palais, mentre io continuavo a chiedermi dove fosse. La mente dimentica, si, il cuore, no. E' stato il fine settimana in cui in una piazza con 500.000 persone io, con la solita fortuna, mi sono trovata proprio davanti a te, che indossavi proprio quel maglione che ti avevo regalato io con tanto amore. Si, con tanto amore, mio caro distruttore di sentimenti. Te lo avrei strappato di dosso quel maglione, come tu hai fatto con me, con la mia vita brussellese. Me l'hai tolta, insieme anche a quel briciolo di autostima che avevo costruito in anni e anni di lavoro su me stessa. L'autostima l'ho recuperata a picconate contro me stessa, della vita brussellese mi sono rimaste le briciole. E' stato il weekend della Brasserie de l'Union, con i suoi vetri unti, un po' disgustosi, con le battute sui miei presunti problemi digestivi e la zuppa di lenticchie, su nos hommes che diventano pesanti quand ils sont bourrés. E' stato il weekend del nostro amore mai nato, né dichiarato, ma sempre celato fra gli sguardi, le risate, i rossori del viso, le mani che si sfiorano, incorniciato dalla frase " a che punto siete voi due? chi va dietro a chi ora?". Con questo sono tornata nella mia Londra, sotto il sole. Sotto il cuore che batte. Con la convinzione che tornero', si tornero' a riprendermi quello che mi spetta. Che tu me l'abbia tolto o no.

giovedì 2 maggio 2013

Insonnia coinquilina

Ci siamo svegliati alle 5. Ci siamo trovati in cucina. Tutti e due con gli occhi rossi e gonfi. Tu con le proteine, io con il thé. Abbiamo detto all'unisono "c'é troppa luce, non si puo' dormire". Ma entrambi sappiamo che non é per quello che non dormiamo. Io so perché tu non dormi e lo capisco anche. Tu non sai perché io non dormo. E forse non lo capiresti nemmeno. O forse si', se ti spiegassi l'incertezza in cui vivo, la valigia sempre aperta, i figuranti (perché solo figuranti possono essere) che giocano ad entrare ed uscire dalla mia vita, il disordine mentale e fisico che é tornato. Tra il panino al salmone, il thé, le proteine al cioccolato e i toast al burro di arachidi, ho pensato che non voglio che te ne vada, anche se a volte mi fai arrabbiare, mi sento un po' giudicata quando mi guardi e mi dici "ancora lui, no", quando mi sgridi perché torno sempre troppo tardi. Non sono riuscita a dirtelo. Siamo rimasti in silenzio, con gli occhi gonfi, i pensieri pesanti, io e te. Nella solita cucina. Per ora la nostra.

mercoledì 1 maggio 2013

Sotto il sole, col cuore pesante


Me lo ricordo questo momento. Mi ricordo i pensieri che stavo facendo. Mi appesantivano l'anima, nonostante il sole, nonostante l'amicizia, nonostante l'ascolto. Ora sono andati, scivolati via in una notte. Le paure, la sensazione di aver sbagliato, di aver mirato male. Ecco com'ero: in gabbia davanti a uno spettacolo da togliere il fiato. Davanti a rovine che parlano di storie antiche, di vite passate, del mio passato. Ecco, ero sotto il sole, col cuore pesante. Ma al di fuori della gabbia, c'era la primavera, c'era i fiori, c'era la vita. Il punto é uscire di lí.