lunedì 31 marzo 2014

Correndo per le Cotswolds

Ti porto in un posto bellissimo, credimi. Io mi fido. Domenica partiamo. In treno per due ore e mezza. E lí divento un po' scettica, ma mi mantengo positiva. Riesco addirittura a dormire, nonostante le urla delle spagnole sedute accanto a noi, ché la cena di venerdi sera a casa mia e la festa di addio di sabato sera mi hanno un po' provato.
Arriviamo in questo posto che sembra un paradiso: Cotswolds. Seguiamo i suoi coinquilini (mai partire con gente che non conosci, me lo dovevo ricordare) e iniziamo a camminare in campagna. I primi trenta minuti io mi guardo intorno estasiata: sole, verde, natura, animali, fiori. Tutto perfetto, tutto da film. Il profumo mi pervadeva le narici, sento gli uccellini cantare, lui mi tiene dolcemente per mano, mi da' qualche bacino ogni tanto dolce dolce. 
E poi qualcosa é successo. E improvvisamente, abbiamo iniziato a correre. Correre fra il fango. Correre per stare dietro a chi contava le calorie che perdeva (questo l'ho scoperto quando ci siamo seduti per dieci minuti in un minuscolo pub trovato sulla strada). Quando ci siamo fermati dopo tre ore, io ero a pezzi. Scarpe irriconoscibili, pantaloni sporchi di fango, viso stanco. E meno male che doveva essere una passeggiata in campagna. E' stata una corsa. 15 chilometri in 5 ore. Un record per me. Ma con i nervi a fior di pelle, i dubbi su me stessa e la mia capacità di sopportare gli altri, l'isterismo molto poco latente contro quel poverino che ogni tanto si avvicinava per darmi un gesto di affetto. Al pub ho trangugiato giú uno chiccosissimo burger mentre lei imboccava il futuro marito dicendogli "muoviti, dobbiamo prendere il taxi". Sul treno, un po' per la stanchezza, un po' per il nervosismo, un po' per gli ormoni in circolo, sono crollata fra le braccia calde di lui. Lo stesso appena arrivata a casa. 
Cotswolds é un posto speciale. Questo é chiaro. Ma io continuo a chiedermi come possa la gente vivere cosí male. And it happens. More often than I could believe it.

giovedì 27 marzo 2014

Scusami, vorrei tanto fare un salto ad Istanbul





Quando ho aperto gli occhi il primo giorno ho sentito delle urla strane. Ho visto la sua schiena respirare serenamente, mentre io ho pensato "Ecco, é scoppiata la guerra. Ora qualcuno entra dalla finestra con un kalasnicov, ci grida infedeli, non siete neanche sposati e ci ammazza". Poi ho capito che era il muezzin che richiamava alla preghiera, non la jihad. Il primo giorno abbiamo camminato come zombie. Stanchi, col jet lag sulle spalle e lo straniamento. Si, quando non capisci dove sei, cosa stai facendo, dove vai. Camminavamo e ci meravigliavamo. Io insistevo che sembrava tutto cosí vicino a noi, sembrava un po' di stare a Roma, dicevo. Lui scuoteva la testa e mi dava dell'ottusa. Devi accettare l'altro, non puoi ridurre tutto a Roma. Roma non é caput mundi. Poi c'é stata la scoperta. Il sapore unico di quel thé, preso sul Bosforo. La sera, la cena su una terrazza come se fosse estate. E i sapori unici. L'agnello che si fondeva in bocca, anche nella mia, che normalmente si rifiuta di mangiarlo. I sapori veri delle verdure, che sapevano di verdure e non di acqua. 
Poi l'emozione di Santa Sofia. Dei mosaici cristiani in una moschea. Lo sfarzo dei palazzi del sultano. I diversi Harem. Il sole sulla pelle, leggero, ma caldo. La basilica cisterna col suo odore di umido e le carpe, pesci immesni, che nuotano con i loro baffoni. Le vetrine di dolci, ripieni di mile e di mandorle. Un traghetto per andare in un altro continente, sciuscià che ti pregano di lucidarti le scarpe, domande imbarazzanti (ma voi siete sposati?) e il bonheur di scoprire insieme un nuovo mondo. 
Tout ça est Istanbul.

Sparita

Si, lo so. Sono sparita. Eh, non potevo fare altro. Ho avuto da fare. Da fare? Da fare che?
Eh, aggiungo, tante cose.
Tipo?
Tipo viaggiare, tipo organizzare uscite, tipo vedere gli amici, tipo conoscere nuovi amici, tipo iniziare ad amare l'odore della persona che ti sta accanto. 
Tutto questo?
Si, tutto questo. Col cuore pieno. E io che mi dico: "Oh, mais j'ai été benie cette fois"!
Dici?
Lo dico e lo confermo. Non ho mai avuto niente del genere in tutta la mia vita. Mai cosí tanta dolcezza. Mai cosí tanta attenzione. A me. Ai miei desideri. Ai miei bisogni. Ho detto vorrei tanto andare a Istanbul, mi sono trovata un biglietto in mano. Ho detto vorrei tanta dolcezza, mi sono svegliata ricoperta da dolci baci. Ho detto vorrei fare un pezzo di strada con te, ha iniziato a camminarmi accanto e non solo, mi ha preso la mano.
E' troppo per te?
No, l'amore non é mai troppo. Ma fa paura. Fa paura l'idea di perdere tutto questo, questo state of mind. Per una volta, ho il bonheur. Quello vero. Non quello temporaneo.
  

lunedì 10 marzo 2014

lunedì 3 marzo 2014

I wonder

Non sei perfetto. Neanche io lo sono. Insieme neanche lo siamo. 
Ma ci sono delle cose che mi piacciono. Dei momenti di pur bonheur. 
Ci sono le tue lentiggini. Che io vorrei mordere, perché fanno tenerezza e a me la tenerezza genera voglia di mordere. 
Ci sono le tue mani grandi, bianche, che ogni tanto sfreghi, come per toglierti di dosso la paura o l'indecisione.
Ci sono i tuoi occhi nascosti dietro palpebre che sanno essere cinesi quando vogliono, cosi sottili da non riuscire a vederne il colore, tanto da immaginare per un po' di tempo che avessi gli occhi verdi. 
C'é il sorriso che ti scoppia in faccia e che fa rumore, un rumore strano, tutto tuo, ma riconoscibile dopo la prima volta che ti ho conosciuto, un rumore fra lo stupito e il divertito. 
C'é la tua camminata calma, lenta, la tua mano che prende la mia (perché sono una lumaca e vado sempre troppo lenta, ma anche per avere compagnia, per starti vicina), il cielo inglese diviso fra sole e nuvole.
Ci sono io, con tanta paura, troppa, a causa di tutte quelle volte che sono caduta e mi sono sbucciata le ginocchia, i gomiti e non solo. 
Ma poi, I wonder e passa tutto. 
http://www.youtube.com/watch?v=t6bjqdll7DI