giovedì 31 ottobre 2013

Citazioni da sveglia alle 5 del mattino

You'll be sorry where I'm gone.
E io aggiungo: Really?

Tornare e volare a terra

Sono tornata. Ho scritto trenta racconti nella mia testa in aereo. Ho ammirato Londra dal finestrino buio dell'aereo. Era cosi bella dall'alto. Ho riconosciuto un po' della mia Londra. Ho visto il Tamigi come un serpentone. Ho visto l'O2 dove sono stata qualche giorno fa. Ho riconosciuto il grande stadio del rugby. Sono arrivata a casa e ti ho trovato ad aspettarmi. Mi hai abbracciato a lungo. Io non ho capito il perché, ma sono rimasta in silenzio, in quell'abbraccio. Ognuno ha bisogno di affetto, ho pensato. Hai piagnucolato come fai sempre. Sulla vita. Io ho ascoltato, in silenzio. Ho sorriso, ho dato una carezza. Per tirarti su. 
Ho lavorato come una matta. Come sempre, di corsa. Mi sono innamorata da Pret a manger, ma mi é passata presto quando mi hai detto il tuo nome (ricordava brutti ricordi). Mi sono rinnamorata negli occhi del collega di Bruxelles, che mi ha salutato dicendo "vediamoci presto" (come se presto si potesse applicare fra due stati diversi). Ho scampato la serata a Ealing, perché il mio stomaco non é pronto. No, stasera voglio stare a casa. A stirare. A guardare un film. A sparare cavolate sul divano. A sentire i tuoi discorsi strampalati. Forse a prendermi i tuoi abbracci. A ricordarmi di quella vocina che ogni mattina mi ha detto "zia, mi sono svegliata. Non riesco a dormire. Posso venire nel tuo letto?". 
E quella vocina si infilava in quel minuscolo letto e parlava, raccontava. Raccontava di un mondo non diverso da quello in cui io per prima ho vissuto per anni. Negli anni dell'infanzia. Negli anni in cui non parlavo, ma avevo un tesoro dentro. Ora parlo. Ma il tesoro ce l'ho sempre. Lo esprimo a mio modo. A volte con i miei racconti. A volte a parole. A volte quando ballo, per ore, a Soho o ovunque capiti. 
Qualcosa é cambiato, ho pensato stamani. Si, qualcosa é cambiato. Ho qualche certezza in piú. Ce l'ho avuta quando ho visto le due braccia della mia capa sollevarsi, guardarmi e dirmi "We won, Francesca. We won for you". Ho respirato e sono tornata indietro, al mio posto. E ho volato. E ho detto, e va bene avro' quasi 40 anni quando sarà finita. E va bene, non so come faró a resistere. E va bene, voglio tornare nella mia Bruxelles. E va bene, accetto questo. Un segno del destino. Forse come tutta la mia vita. Un segno del destino dopo l'altro. E penso che voglio solo ballare, ballare, ballare. Sulla mia vita. Su Londra. Sul mio passato. Sul mio presente. Sul mio futuro. Cullata da tutto questo. Da tutto questo amore che mi hanno riversato addosso. E rido mentre penso che é vero, senza amore perfetto si vive lo stesso. Forse si vive anche meglio. O forse io di amori perfetti ne ho tanti. Si, proprio tanti. E tutti cosi' dolci. Come un abbraccio dopo un lungo viaggio. Uno prima di un lungo viaggio. E una stanza di 9 metri quadri che quando vuole, sa diventare una reggia. Come quel letto ad una piazza, che diventa un castello dove raccontarsi una vita. In fieri.

martedì 29 ottobre 2013

A la maison

 
Due mani. Più altre due. Due grandi. Due piccole. Due dolci e ancora acerbe. Due che hanno assaporato la vita, sfiorata, graffiata, difesa. Due mani separate dalla distanza, ma vicine. Due mani strette, che non si lasciano andare.
 
 

Due mani che hanno passato una vita insieme. Due mani che si sono incontrate e non lasciate più. Due mani che si sono allontanate, ma mai abbastanza da abbandonarsi. Due mani che si stringono ancora. Una dice all'altra "Ti ho scelto e non ti lascio andare". E anche "non ti preoccupare, ci sono io qui con te. Quando il momento arriverà non sarai mai solo". Come non lo sei stato mai. Encore une fois, l'amour, ce foutu amour qui se donne à corps perdu. Et qui oublie et pardonne.
 

 
Un amore cosi' grande. Io e Peppa. Eh si, ci sono amori cosi'. Meglio di quelli reali.
 
 
Ho sempre pensato si dicesse che la gourmandise. Ognuno fa quel che puo'. Oppure quello é solo il mio vizio. Oui, parce que je suis gourmande. De vie.  
 
 
 Letture quotidiane. E pensieri. Tanti. Paure. Tante.
 
 
Brevi momenti di patriottismo.
 
 
Sono felice.

 
Dai, zia, sorridi, ti faccio una foto.
 
 
 

domenica 27 ottobre 2013

La liste de mes envies

L'ho comprato a Lione questo libro. L'ho comprato appena arrivata. La mia amica ha detto "Devi leggere qualcosa di meno triste". E invece questo libro non è triste. E' una perfetta rappresentazione della vita. Del susseguirsi continuo di gioia e dolore. E si intitola "La liste de mes envies". L'ho comprato in un momento in cui tutte le mie voglie erano frustrate, castrate. Ho aspettato a leggerlo. E poi in un viaggio aereo, l'ho finito. Due ore con gli occhi spalancati sull'aereo, io che ora non sento neanche l'aereo rullare che già ronfo. L'ho bevuto, non letto. E ha avuto un gusto dolcissimo. Il gusto della speranza. Dell'accettazione del presente. E alla fine, c'è lo spazio per una lista di voglie. E io ho scritto la mia. In francese. Perché il francese è la lingua dei sentimenti per me. Dal dire Je t'aime al Va te faire inculer. Tutto insieme. Eccola:
 
Un monde meilleur
Une maman héureuse
Un papa qui s'en va doucement de la vie, sans souffrir un quart de ce qu'il m'a fait
Un boulot passionant
Avoir, enfin, la force et le courage d'écrire mon livre
Un amour pur et vrai (not so called loves anymore)
Une nièce splendide, que j'ai, qui ne doit pas souffrir dans sa vie
Du temps pour moi
Une maison à la campagne et une promenade
Des couteaux qui coupent mon pain mais ne font pas mal
Un amour retrouvé
Dex excuses
Des remerciements
Une main qui me prend et me conduit sur les routes de la vie
De souvenirs à ne pas oublier
La Foi. 

venerdì 25 ottobre 2013

Sapere quando andare


C'è stato un momento in cui ho capito, quando vivevo a Bruxelles che era tempo di cambiare. Il vento, quello di Mary Poppins, era cambiato. Era ottobre del 2009. Tu eri venuto a fare una merenda nella casa soffitta. Te l'avevo confidato. Tu avevi sollevato gli occhi al cielo e avevi detto che quella non era nient'altro che un'altra delle mie frasi sentenza.
Sono poi andata via. Ma a luglio del 2011. Col cuore en miettes. Il respiro spezzato. Il cuore in una morsa. Qualcun altro aveva dovuto decidere per me, io non ne trovavo la forza. No, la forza di prendere quella decisione. Di lasciare quella città in cui sono cresciuta, in cui je suis devenue, enfin, une femme.
Qualche giorno fa, mentre andavo al corso di sao sao bao, sono passata su un ponte. Sul Tamigi. Mi sono girata, come sempre, e ho visto questo. E ho capito che sono pronta a lasciare Londra. Sono pronta a rifare la mia valigia, perché il vento è cambiato. O meglio non è mai stato nella direzione che io volevo. Posso ripartire ora, con la mia valigia di ricordi, di sorrisi, di lacrime, di esperienze, da tenere per me e condividere, di consapevolezze acquisite. Oui, j'en ai acquis de celles-là. Ecco, moi, à la façon Mary Poppins, je peux m'en aller. In sordina però. Senza fare troppo rumore. Non ci saranno lacrime stavolta. No, ne ho versate non poche qui. Ho capito che la vita non è pianto, ma sfida. Giorno per giorno.

Un mese che non merito

Un mese della mia vita passato a lavorare come un matta. Un mese passato a non trovare tempo per respirare. Poco, pochissimo tempo. Solo correre da una parte all'altra. Fra un impegno di lavoro e uno mondano. Un mese passato anche a bere, a cenare con un bicchiere di vino, per sentire la testa leggera. Un mese passato a conoscere ancora, come sempre a Londra, nuove persone. A registrare numeri di telefono sul cellulare, a rispondere "yes, I would like to see you again" e poi negarsi, immancabilmente, perché la testa non c'é, figurati il cuore. Non c'é la voglia, non c'é lo spazio in memoria per un'altra storia. No. Un mese passato a capire che forse é tempo di tornare, a casa, quella vera o quella morale che si chiama Bruxelles. Un mese a dormire con la banda sugli occhi e i tappi nelle orecchie per estraniarsi da un mondo che puó far paura per la sua bruttezza e atrocità. Un mese a fare pazzie, come chiudersi in bagno ad una festa, ritornare a casa e scherzare sul bus notturno con gli amici, che ridono e dicono "oh my God, I had too many Diet Cokes", trovare un paio di occhiali da sole (che qui non servono) non miei sul mio comodino e non sapere a chi appartengano o a chi io li abbia rubati (ndr. non li ho rubati, pare mi siano stati regalati), ballare sempre e ovunque, tra la shabby chic Shoreditch e la gioiosa Soho. Sempre abbastanza triste. Come se mi avessero spento. Ma con alcuni momenti di bonheur, rari ma belli.
Ora ho fatto la valigia. Quella piccola. Quella con cui viaggio ora. Con un'idea nella mente. Portare tutto via. Non avere niente qui. Cosi non avró scuse quando finalmente, su un colpo di testa, me ne andró. Mi ci vedo. Uscire da casa. Buttare le chiavi nella cassetta della posta. Andare a Saint Pancras. E prendere un treno. In sordina. In silenzio. Senza Goodbye Party. Senza drammi. Senza arrivederci. Solo un oddio. Per sempre. Cosa ricorderó? Che per tre anni, I struggled day by day. At work and outside. Sono stata messa alla prova. Ora Dio, io mi sono stancata e penso di avere il diritto di scendere. Ecco, ora scendo. Vediamo quando sarà questo ora. Se domani, o fra qualche mese. Ma ci sarà. Lo so. E fra le mie labbra sussurreró "Va te faire inculer". Oui, va te faire inculer toi, et toi et toi. Et cette vie que je ne mèrite pas, que je n'ai pas mérité et qui m'est tombée dessous, qui m'a affaibli pour me donner la rage de me redresser. Non, moi je mèrite autre chose. Io merito il sole tutti i giorni. E un sorriso perenne sulla bocca. Si vede che sono modesta. Ma non penso, sapete. No, per niente. Je le mérite. Je le mérite bien.

giovedì 24 ottobre 2013

Faire son deuil

Quegli stronzi dei francesi direbbero "tu as fait ton deuil, ma chérie". Un amico direbbe "é un chiaro segno che sei tornata sul mercato dei corpi qui a Londra". Io l'ho preso come un atto taumaturgico. E ho ricominciato a pitturare di rosso le mie dita dei piedi. Come ho fatto per mesi, eccetto in quest'ultimo. Come per dire il lutto é finito. Come per augurarmelo.

mercoledì 23 ottobre 2013

Peppa Pig vince sempre

Peppa Pig vince tutti. Porta quasi via la tristezza, la stanchezza, la delusione, quella quotidiana. Fa sorridere, fa sorprendere.
Ti raccontero' una storia. Ti diro' di una favola che parla di un pelouche e di un pezzo di cuore lontano. Ti spieghero' che se vogliamo possiamo essere molto vicini. Basta il cuore, bastano i sentimenti. Noi, quelli li abbiamo. Noi viviamo nel mondo di Peppa Pig dei sentimenti. Ma quelli veri.

martedì 22 ottobre 2013

Citazioni che mi scappano

No, ti prego - dico io a lei, in bagno al lavoro. No, lasciami essere incinta del mio proprio pensiero.
(Ecco, forse é ora di andare a casa, la giornata é stata lunga).

I want to be a star

E forse lo potrei anche essere. Ma datemi un bicchierino.

Diciamo che da un mese a questa parte, faccio una vita un po' da universitaria. All'inizio, era per riempire il vuoto. Non si capisce che vuoto poi. Con l'andare del tempo, é diventata un'abitudine, una costumbre, direbbero gli spagnoli. Ha iniziato a piacermi questa vita mondana, queste uscite, il fatto di prepararmi, di conoscere nuove persone. Di chiaccherare, di scoprire, di piacere anche. Un briciolo di edonismo in una vita, la mia, che di piacere ne ha avuto ben poco.
Con l'idea in mente di chiuderla, archiviarla. Percé lo so, lo sappiamo, la vita vera, é un'altra!

P.S. Anyway, tutto questo é successo per colpa della Diet Coke. E' chiaro, no? 

mercoledì 16 ottobre 2013

I sometimes smile


Si si, a volte sorrido anche io. Forse "because I was drunk", forse perché sotto sotto nella vita bisogna sorridere. Devo dire, que j'ai passé un bon moment. Sono stata bene, mi sono divertita. A parlare, a raccontare, ad ascoltare. E quindi valeva la pensa di far vedere i miei denti storti e le mie grandi gengive. Ma la perfezione, sotto sotto, cos'é? L'assenza di carattere. L'assenza di divertimento. 
So, let's smile. E chi se ne frega se il mio sorriso non é perfetto!

Lasciami citare


"Perdenti per sempre, perfetti per oggi". Io direi piuttosto il contrario. Perfetta per oggi, perdente sempre. 

Ma poi non sono perdente. No. Ho le mie sicurezze. Ho le mie certezze. Gli uomini mi fanno male. Distruggono le mie certezze. Si vedo che li seleziono male. La prossima volta sto attenta.

E aggiungo quello che mi ha scritto una carissima amica:
In ogni caso è vero... noi dobbiamo fare per due.

Io lo penso spesso, anche quando sabato scorso mi portavo su dal vialetto un mobiletto che ho preso e mi sentivo addosso allo stesso tempo la fatica e la forza di un gesto del genere. 
Noi ci cambiamo i contratti, ci paghiamo gli alimenti e le bollette. Noi dobbiamo buttare la spazzatura, pulire casa, aprire all'omino della caldaia. Anche se siamo stanche, anche se la nostra giornata è stata pesantissima.
Noi rientriamo sole in casa ed a camminare di notte per strada è come essere dei supereroi incoscienti, visto quello che si sente in tv.
E la cosa terribile è che, nonostante tutte queste evidenze, noi crediamo di non valere abbastanza. Ci sentiamo così, con i giorni che scivolano dalle mani.
A pensarci bene, è follia.

Si, io devo fare per due. Ma va bene cosí. Ancora una volta, non mi pare che ci sia altra scelta...



I monopalla (oh Signore, ho perso un testicolo)

Londra ha una malattia. Londra non sta bene. Londra é piena di una specie di persone. Forse, ora che ci penso, non solo Londra. Questa specie di persone sono i monopalla. Uomini, dotati di attributi maschili. Fisicamente abili. Ma caratterialmente, con una palla sola. Ora, questa mancanza di palla provoca un effetto sulle donne. Su di me. Il mio livello di testosterone aumenta giorno per giorno, in maniera esponenziale. E mi vengono le palle, si, proprio quelle. E me ne vengono due, non una.
I monopalla non capiscono mai quello che succede nella loro vita. Non sanno perché fanno le cose. Non sanno perché stanno al mondo, perché hanno agito cosí. Forse agiscono...per assenza di sentimenti, che poi significa assenza di interesse. Forse agiscono quando hanno trovato altro o quando hanno smesso di divertirsi. Non sei piú bella, non sei piú interessante. Non sei piú attraente ai loro occhi.  Non sei piú il centro della loro attenzione.
Ma sono monopalla. Quindi, non vanno ascoltati. No, tu continui per la tua strada. E una cosa positiva l'hanno fatta. Ti hanno lasciato addosso una rabbia tale, che ti senti un po' l'Incredibile Hulk. Una rabbia che ti fa alzare al mattino e andare avanti. Una rabbia che ti fa passare certi pensieri neri, neri come la pece. Cadi ma non ti rompi, o forse é quello che vuoi credere. 
Concludo con una citazione: "Purtroppo non rieceveremo mai dalle persone le risposte che vorremmo noi,,,se ci basiamo sulle aspettative, é la fine". E' vero. Mai piú. Mai piú aspettative. No, di nessun tipo. Altrimenti mi spuntano tre palle. Non due.

lunedì 14 ottobre 2013

Un elenco: le cose che ho

La mia seconda anima mi ha detto di pensare a quello che ho, non a quello che non ho. E cosi ho deciso di fare un elenco. Un elenco di cose positive, nel senso di cose che posseggo. Cose belle e brutte. Perché a volte ci sono anche quelle. 
Un cervello. Punto di partenza. Essenziale. Che pensa. A volte ragione. A volte sragiona. Che a volte va dimenticato, per fare pazzie. Nonostante l'età piú che adulta.
Un cuore che batte, nonostante tutto. Che si emoziona. Che a volte soffre un po'. Ma che batte, perché vivo. 
Una famiglia. A volte sgamgherata. A volte no. Un telefono a da chiamare, a cui qualcuno risponde sempre.
Una nipote, un vulcano di vita e saggezza infantile (come solo i bambini possono avere), preoccupata perché non ha uno zio. Che di fronte alle mie lacrime, mentre impacchettavo una casa e la mia vita brussellese, piccola piccola, mi ha detto "basta con le lagne, zia. Asciugati il viso" e mi ha fatto ritrovare il sorriso. 
Due occhi verdi. Un po' miopi,  (non solo un po') e anche astigmatici, ma un paio di occhi sul mondo, per assaporare, gustare, addentare (anche con gli occhi si addenta) la vita. 
Gli amici.  Italiani e non. Che mi conoscono da una vita e non. Alcuni che scompaiono quando ce n'é piú bisogno, alcuni che non ti lasciano nonostante i chilometri. Alcuni a cui non puoi dire tutto, altri che ti hanno vista dentro. E non ti hanno lasciata, mai.
Due città sempre nel cuore. Tre paesi che hanno segnato la tua vita, l'hanno scandita. Due patrie, una del cuore, una da passaporto.
Denti storti per sorridere. Un sorriso che anche se tutto storto piace a te e agli altri. Che quando non ti vedono piú sorridere te lo dicono, si preoccupano e ti supplicano di farlo.
Gli amori o pseudotali. Belle storie d'amore (a tratti adolescenziali), con dichiarazioni, fiori e tutto quello che ne viene, il batticuore, i giorni da contare prima di rivedersi, i chilometri di distanza. I tradimenti, le litigate, la gelosia. E poi i ricordi di pelli. profumi e quella sensazione di leggerezza, che solo l'amore ti sa dare.
I ricordi. Tanti. Piú belli che brutti. Da conservare, custodire, sbirciare quotidianamente per capire da dove vengo e dove vado. Da tirare fuori sotto le coperte, prima di chiudere gli occhi e staccare la spina. Da ricordare per scaldarsi l'anima nei momenti di freddo interiore. O per farsi una bella risata, a crepapelle. 

La vita, che esperienza. cadi, ti rimetti in piedi, ricadi e di nuovo pronta a correre. Ah, la vita.

Weekend di sorrisi e brutti sogni

Ho iniziato il weekend nel fondo di un pub. Io, lui, tre pinte di birra lui, tre bicchieri di vino io. Ufficialmente colleghi. Ufficialmente ci odiamo. O meglio non ci amiamo. Lui mi invita per stemperare le tensioni. Alla fine della serata, nessuno dei due sta in piedi, ma siamo grandi amici. Addirittura mi viene il dubbio che forse, sotto sotto, ci amiamo. Ci abbracciamo addirittura. O forse é solo colpa dell'alcool che abbiamo in corpo. 
Passo un weekend con la casa vuota. Ritorno a respirare. Ritorno a cucinare come ai tempi di Bruxelles. Come hai tempi della casa soffitta di Rue Goffart. Cucino per me, cucino per gli amici. Mescolo gli ingredienti, assaggio, invento. Finisco a ballare tra i locali di Soho, a saltare e divertirmi, come ai vecchi tempi. Ballo e mi diverto, sans souci. Per una volta, stacco il cervello. Lí, in un sottoscala di Soho. In due sottoscala di Soho. Con gli uomini inglesi che ti vengono a sbiascicare addosso parole senza senso. E io continuo a ballare, non curante. Nella mia estasi paradisiaca, nella mia serenità. 
Concludo la domenica al cinema, in quello che definirei un date, anche se proprio io non ne ho voglia. Ci vado con addosso una cortina di ferro, un vestito di filo spinato, per proteggermi. Metto distanze chilometriche. Apprezzo la compagnia, ma non voglio condividere niente. Saluto senza neanche un bacio, con la mano che scodinzola come la coda di un cane. No, non me la sento. No, non sono pronta. 
E di notte ti sogno. Sogno il tuo bacio. Ne sento la morbidezza. A cui mi ero abituata. Poi ti stacchi, mi guardi e mi dici "non posso". E mi sveglio. Sono le 5 del mattino. Sono nel mio letto di traverso. Mi devo essere agitata nella notte. Penso che quel sogno é realtà. Non posso. Tu non puoi, ma hai potuto. Hai fatto credere che potessi. Pfff. La rabbia. Pfff. Il rancore. Pfff. Passerà. Si. Passerà. A forza di passi di danza. Di sorrisi miei e altrui. E di mani che si agitano a salutare. Nella Tube e non solo.

venerdì 11 ottobre 2013

L'incubo del farmacista

Questa la devo condividere. Ieri ho avuto una giornata pesantina al lavoro. In giro per la salute, in giro per i medicinali. Io. Penso questo spieghi tutto. In giro a sentire discorsi su esperimenti medici e dispositivi. Io che non ho mai lavorato in questo ambito. Ma non sono sola. C'é qualcuno di importante. E c'é un collega che mi accompagna. Un esperto, diciamo. La mia capa lo conosce e mi dice subito "vedrai, what a lovely guy". Ma, é sempre lavoro. Giro una giornata fra istituzioni ufficiali. Con questo tipo che mi sorride sempre. Tutte le volte che lo guardo, lui mi sorride. E poi, a pranzo, si avvicina. Abbandona l'inglese e iniziamo a parlare in francese. Parliamo tanto, siamo finalmente soli. Parliamo sempre di lavoro, sia chiaro, di posizioni da prendere, di diritto alla salute, di trasparenza. E lui, sorride. Lo riaccompagno a prendere il treno. Fa parte del mio lavoro. Mi saluta e mi sorride. E mi dice questa frase: "secondo me, tu qui non stai bene. Si vede. Io non ti conosco. Ma io penso che tu debba tornare a Bruxelles". E sorride. Io sorrido e rispondo con una battuta. "Si, fra Bruxelles e Parigi, mandatemi ovunque, va bene tutto!". E me ne vado a prendere la Tube. 
Stamani mi sveglio e ripenso un attimo a quel sorriso. Penso "non era male peró". Ma lascio stare. Al lavoro, trovo la sua e-mail. Non di lavoro. E rispondo. E lui risponde. E io rispondo. Insomma, uno scambio di quelli che alleggerisce la giornata. Poi arriva la domanda, stupida. Ma tu cosa hai studiato? La risposta giunge alla velocità della luce. Farmacia. Trattengo il respiro. Non vuol dire niente, mi dico. Non sono tutti uguali. No. E poi é un rapporto epistolare. Figurati. Si, vabbé, mi ha invitato ad uscire la prossima volta che vado a Bruxelles, ma non succederà mai. Mancano due mesi. E no, non pensiamoci neanche. Pensa ad altro. So che ora ho bisogno di palliativi, ma non pensare a questo. 
E poi due mesi sono una vita. Pero' quel sorriso era bello. Faceva sentire caldo. Faceva passare un po' la pesantezza.  Del momento. E poi i farmacista sanno tutto di medicine. Si, quelli che io non voglio prendere. Sono veleno, no? Pfff, complicazioni inutili. Il weekend porterà il silenzio. E meno male. 
P.S. Cito: "E' bello incontrare persone belle. Fa bene". Aggiungo: ancora meglio quando sorridono. 

Il dolore minore

Lei mi dice che é preoccupata. Io mi sento un peso sul cuore. Non pensavo di reagire cosí, no. Non pensavo che me ne sarebbe importato. Pensavo sarei stata felice a vederlo andare via. E invece no. Non lo vedo neanche. Lui é in un altro paese. Lo sento al telefono e devo trattenere le lacrime, devo forzare la voce per essere normale. Mi dicono che piange tanto. Vorrei essere lí a raccogliere le sue lacrime, a farle passare. Continuo a recitare la solita preghiera fra le labbra. Quella che dice "non lo fare soffrire, fallo partire prima che soffra, prima che si renda conto".
Vedi tu, che sei lassú, cosa fare. Io dico lassú, ma potresti essere anche qui. Tu fai sempre la scelta migliore, no? Cosí mi sono spiegata tante cose. Cosí ho digerito la morte di chi mi era vicino. Di persone a cui ero legata. E fallo col minor dolore possibile. Almeno per lui. Io tengo botta, lo sai.

giovedì 10 ottobre 2013

Amori e incomprensioni

Messaggio mio a lui: Ciao, scusa, ho cambiato idea. Stasera non torno a casa.
Lui: Lo sapevo. E meno male che avevi detto solennemente io smetto con gli uomini.
Io: Mai detto niente del genere. Comunque torno a dormire.
Lui: Chi é lui?
Io: Sono tanti.
Lui: Bene. Vai a confessarti domenica.
Io: Tu capisci sempre quello che vuoi tu. Esco con gli amici. E' quello che intendevo.
Lui: Ora si chiamano amici.
Io: Basta. Smetto di cercare di farti capire.
Lui: Anche io. Con te ci ho rinunciato prima di conoscerti.
Io: Questo é proprio amore!

mercoledì 9 ottobre 2013

La testa nel fango

Ecco come mi sento. Cosí. Con la testa nel fango. Circondata dalla melma. Nonostante i chili di lavoro che mastico. Nonostante le uscite quotidiane per non restare a casa a rimuginare. Nonostante la soirée française à Shoreditich (que je déteste quand meme), con la musica africana e la mia lingua preferita nella bocca. Nonostante Alfredo e i suoi messaggi (che mi provocano l'effetto contrario a quello da lui ricercato). Nonostante l'agenda piena. Nonostante le battute sceme del coinquilino. Nonostante tutti questi uomini che improvvisamente mi stanno addosso, vogliono il mio numero, mentre io voglio l'assenza, il silenzio completo. 
Ho la testa nel fango. E non ne vengo fuori. Arranco. 
Il mio collega mi ha chiesto "Perché non ti vedo piú sorridere?". Ho risposto "Sono stanca, ma tornerà". Sono stanca di questa lotta continua, sono stanca di questa vita. Sono preoccupata per chi é lontano e non sta bene, ma non é mai veramente stato bene. Ho paura che tu, proprio tu, che domenica mi hai chiesto aiuto e che io ho aiutato, possa tornare ad essere il lupo nero, una volta che starai meglio. Me lo prometti allora che farai uno sforzo e resterai quello che io ho sempre desiderato? 
Non so, troppe domande, zero risposte. Meglio il fango. Meglio la melma. A volte attutiscono l'impatto. La vita.

martedì 8 ottobre 2013

Proposte indecenti

Ora di colazione, in cucina. Io e lui, la terza non c'é. 
Lui: Dovremmo andare a letto insieme io e te.
Io: Non ci pensare neanche. 
Lui: Perché?
Io: Siamo coinquilini, non possiamo.
Lui: Non é vero. Con Daniel un pensiero ce l'avresti fatto. Ed eravate coinquilini. 
Io: Con Daniel era diverso.
Lui: Ma quale diverso? Dai, andiamo a letto insieme!
Io: No. Mi piacciono quelli alti e biondi.
Lui: E infatti ne ho visti di alti e biondi con te! Ne ho visti una marea! 
Io: E' per quello che non hanno funzionato!
Lui: Dai, me lo devi.
Io: Ma cosa ti devo?
Lui: Allora, facciamo che lo facciamo l'ultimo giorno prima di andare via. 
Io: Andare via da dove?
Lui: Da questo appartamento. Tanto andremo via insieme.
Io: A questo punto, penso che io moriró qua dentro!Non andró mai via! (Sospiro) 

lunedì 7 ottobre 2013

Colpa d'Alfredo

Mi sento inguardabile in questi giorni. Sono stanca. Sono preoccupata. Non riesco tanto a sorridere. Eppure, non faccio altro che incontrare uomini. Uomini interessati. Uomini che vogliono uscire con me. Con me che ho le moral dans les chaussettes, come dicono i francesi, e che penso a tutto fuorché a rilanciarmi nella mischia delle relazioni amorose o tali. 
Ieri esco con le amiche. Una birra in fretta e furia, niente di che. Mi dico "perché no?", nonostante la stanchezza di un weekend passato come se fossi ancora all'università, a ballare e cucinare, in uno spirito un po' da comune. Ci troviamo in un posto carino ad Angel. Non mi sono neanche guardata allo specchio. Sfoggio un maglione blu sopra pantaloni neri, alla faccia degli abbinamenti errati di colore. Ma soprattutto ho ai piedi le mie solite calze a pois, quelle che fanno scappare anche l'ombra di un uomo. 
Vado a prendere da bere, é il mio turno. E mentre passo la comanda, mi si avvicina questo uomo, con un libro in mano. "Eres española?", e no, penso io, ecco la solita scusa. No no, rispondo in fretta. Ma lui non demorde e va avanti. Io rispondo e iniziamo a parlare, del piú e del meno. Lui sfodera subito le armi pesanti, quelle da frasi ad effetto: i tuoi occhi li ho visti da lontano, parli benissimo spagnolo, mi sono detto che queste belle 4 ragazze con i capelli neri non potevano essere altro che spagnole, quanto mi piace il prosciutto di Parma (io sulla cucina faccio sempre colpo), che é addirittura piú buono del Serrano. Io ascolto e sorrido. Lo invito al tavolo con me, per condividere un po' di questa solita sceneggiata con le amiche. E lí, lui é perfetto. L'amica mi guarda e mi spinge nelle sue braccia con i soli occhi. Io mantengo le distanze, perché proprio non ne ho voglia.
Alla fine della serata, mi invita a teatro. Una cosa da uomo all'antica. Mi chiede l'indirizzo e-mail e non il numero di cellulare. Altra cosa all'antica. E nella notte, mi scrive una mail, nella quale ribadisce come é stato bello incontrarmi e parlare con me. Insomma, da manuale d'amore. E si firma col suo nome. Alfredo. Ve la ricordate quella canzone di Vasco? A me é la prima cosa che mi é venuta in mente quando si é presentato. E ho subito pensato che forse l'ho scartato proprio per questo...eh si, tutta colpa di Alfredo, mio caro!   

P.S. Per la seonda volta a Londra, un uomo, che di professione fa il fisico, ha cercato di intortarmi con l'incomprensibile teoria delle corde. Ma perché? Domanda aperta!

Per sempre

E' un pensiero continuo. E' sempre con me. E' un peso sul cuore. Continuo a dire "non volevo che andasse cosí". No, volevo qualcos'altro. Per anni, ho avuto sete di vendetta. Nera, buia, aggressiva. Volevo fartela pagare. Volevo farti sentire quello che ho sentito io. Il cuore spezzato. La paura. L'ansia del domani. Il tutto mescolato con la sete di vendetta. Poi ho fatto la valigia, me ne sono andata. Non ho piú risposto al telefono. Ho smesso di guardarti in faccia. Non ti ho piú abbracciato. Ho costruito una cortina di ferro per proteggermi da te. Per non farmi piú fare male. 
Come sempre, il tempo ha deciso per noi. E' arrivata la malattia. La malattia non aspetta, la malattia non perdona. Corrode piano piano. Ti porta via il domani.  Quel domani in cui io ho sempre sperato. Un domani come una chance, per me come figlia, per te come padre. Dove tu saresti stato il padre che volevo. Che sapeva ascoltare. Che sapeva capire. Che non faceva male. Questo domani, ora, non c'é.
La malattia ti fa delirare. O forse ti fa vedere la realtà. Ieri piangevi al telefono. E io ti ho detto parole d'amore. Ancora una volta, questo fottuttissimo amour qui se donne à corps perdu. E la tristezza di non aver utilizzato la nostra chance di essere genitore e figlia. Va bene cosí, stai tranquillo. I muri cadono. Quelli che abbiamo costruito insieme in anni di ostilità. La cortina di ferro non ha piú senso ora. 
Se potessi, ti porterei a camminare, come facevi tu quando ero bambina. Mi portavi a passeggiare e mi prendevi la mano. E io ero felice, felicissima. Ti porterei a camminare per accompagnarti verso la fine, col cuore sollevato. Per dirti ancora una volta, che nonostante tutto, l'amore conta. Lo dico sempre, l'ho pronunciato anche ieri al telefono. Ti ho detto questo: ti ho detto non ti abbattere, ti ho detto hai fatto tanto. Ti ho detto ricorda, l'amore resta. Ti ho detto sentiti circondato dall'amore della tua famiglia. In questo momento. Per quello che verrà. Il passato non conta piú. Ma tentiamo solo il bene. Lasciamo il male. E il mio pensiero a te é continuo. Non ti lascerà mai.E' il mio dovere di figlia. E' il mio amore di figlia.
E quando tutto questo sarà finito e il momento sarà arrivato, ti diró a presto. Si, ad un'altra vita, quella eterna, in cui so che ci ritroveremo. Nel perdono. Nell'amore. E' quello che conta. Me lo hai insegnato, a forza di colpi, a volte sleali, tu. Ma l'importante, é che tu me l'abbia insegnato. Ed é quello che voglio ricordare. Per sempre.

venerdì 4 ottobre 2013

Non andare via

Non andare via. Non lasciarmi ancora una volta. Non sono pronta. Ho bisogno di tempo. Ho bisogno di te ancora qui con me. Anche se sei lontano, anche se ti ho allontanato. Non sono pronta a vederti andare via. Non sono pronta a vedere le tue mani tremare ancora, senza trovare pace. Devo ancora parlarti, devo spiegarti tante cose, devo parlarti dell'amour qui se donne à corps perdu, devo dirti che quando mi guardo allo specchio vedo te, devo dirti che per una vita, la mia, ho cercato solo di mostrarti che potevo essere quello che tu volevi, quello che tu mi hai insegnato ad essere. Non andare via, perché ti devo dire che ti ho perdonato. Si, ti ho perdonato. Perché l'amore é quello che conta.

Il mio onomastico

Oggi é il mio onomastico. Quando ero bambina, era un giorno importante. Mia madre faceva una torta o si compravano le paste. C'era sempre un regalo simbolico. Un pacco di caramelle. Un paio di calzini. Un biglietto con frasi dolci. 
Stamattina, nel buio della camera, con gli occhi spalancati e gli amici pensieri, ho letto due messaggi, appena arrivati. Mia madre. Mia sorella. Solo loro due sapevano. Ricordavano. Loro che hanno visto quella bambina che si nascondeva dietro grandi occhiali crescere e diventare quella che sono oggi. L'anno vista cadere, rialzarsi, ricadere. L'hanno vista andare avanti. Fare scelte da suicida, a volte, altre quasi eroiche. Ma anche questo fa parte della vita. 
Oggi voglio pensare che sia una bella giornata, nonostante il nero sotto e dentro gli occhi. Oggi voglio sentirmi bene. Voglio credere a questo oggi, a questa frase:  "If it's only chance I get, I will throw my shoes away, dance and be your little romance".
Questo weekend, io balleró! Come nel resto della mia vita.

giovedì 3 ottobre 2013

Prove di pazzia

Inizio a pensare di essere sulla strada della pazzia. Ho sbalzi di umore atroci. Passo da riso isterico a pseudopianto disperato (le lacrime sono secche, non scendono piú). Lavoro come una pazza, scrivo, agisco, mando mail infuocate, dico parole scottanti senza troppo ritegno, fumo sigarette sul mio balcone, di notte, e hanno un sapore strano, dolcissimo. Bevo come una spugna, arrivo al pub con lo sguardo famelico, da dammi dell'alcool, ne ho bisogno. 
E poi mi fermo, due secondi e penso che tutto questo prima o poi svanirà. Finirà Londra, finirà the UK (fottutissima UK), finiranno i mezzi uomini, le storie senza domani. Finiranno le finte amicizie, che ti cercano a sprazzi. Lo stomaco che ogni tanto si rompe e se ne va dal mio corpo. Finiranno anche cose belle: la scoperta di mani e braccia che mi sollevano, mentre io mi sento affondare, la coscienza di me, in fieri, ma non poi cosí tanto, le risate a crepapelle, l'umorismo a momenti becero. 
E allora, sapete cosa faró? Me ne andró in campagna. In un paese qualsiasi. Con una bicicletta come unico mezzo di trasporto. Un computer. Un dondolo in giardino (ci vorrà anche una casa, per avere il giardino), un orto per le verdure (saró vegana a quel punto e saró capace di impastare la pizza e quindi il pane). Un cane come compagno, uguale al defunto Niki, che chiameró Tatone in suo onore e a cui canteró quella canzoncina portoghese che fa possi possi dududu. E scriveró questo libro che mentalmente ho non solo scritto, ma anche sceneggiato, filmato, realizzato. Lo scriveró e i personaggi saranno quelli della mia vita. I belli. I brutti. Ci saranno tutti. Ci saró anche io. Ma saró felice, felicissima. Come forse sono sempre stata, senza mai accorgermene.

Vivere con un treno addosso

Se mi fosse passato addosso un treno, mi sentirei meglio. Me lo continuo a ripetere. Eppure sono in piedi, eppure lavoro (con qualche svista, ogni tanto, piú che umana), eppure esco, senza divertirmi peró. Ho centinaia di domande nella testa, ma non penso valga la pena farle uscire dalla mia bocca. A che pro? E se le risposte poi mi facessero piú male dei dubbi? 
Sono tornata a casa ancora una volta ubriaca. L'amica ha insistito per riaccompagnarmi, io per essere lasciata sola. Guardavo i mattoni e mi imponevo di camminare dritta. Ma non ci riuscivo. Il mio fegato si lamenta, la mia testa anche, al mattino. Il mio stomaco é assente. Perso. Lasciato non si sa dove. Ho fatto anche dei danni. Mentre cercavo di lavarmi il viso o meglio di mirare al viso, ho fatto cadere un barattolo di crema per terra. Ho sentito l'umido dello schizzo sulla gamba, ho visto il disastro per terra. Ho visto le tue mani raccoglierlo quel disastro, perché io non stavo in piedi. Non una parola, non un rimprovero. Sono una mano che si poggia sulla spalla e mi dice "vai a letto, Fra". 
Stamattina mi sono svegliata e non sapevo dove mi trovassi. Ho pensato alla videoconferenza, ho pensato al discorso da fare alla conferenza. Mi sono tirata fuori dal letto. Ho incontrato il coinquilino per le scale. Ha detto due cavolate per farmi ridere. E andando via, ha sentenziato "dovremmo andare a letto insieme, noi due. Ma poi tu ti innamori". Io ho spalancato gli occhi. E ho detto "macché, io non mi innamoro mai. E' questo il problema. Ma non amo essere presa in giro". E' questo il punto. Non mi far credere niente. Dimmi tutto direttamente. Fai meno danni cosí. Si, tu avresti fatto meno danni. Il treno non sarebbe mai partito per sfracellarsi su di me e sulle mie speranze.  

P.S. Vorrei svegliarmi fra cent'anni. Cosi sarebbe tutto diverso. Oh, come lo vorrei!

mercoledì 2 ottobre 2013

Sempre di spalle

Ho tremato per mezz'ora. Ho chiuso la porta dell'ufficio per non fare vedere le mie mani che ballavano, si, ballavano di tristezza. Ho sentito solo che non sono pronta, no, non lo sono. Avrei bisogno di chiudere gli occhi e riaprirli fra sei mesi. Sei mesi di apnea, di disconnessione. 
L'amica ha detto "fai scendere le lacrime". Impossibile. Ci sono, ma sono secche. Secche sotto gli occhi. Pesanti. Pesantissime. Posso correre. Posso uscire tutte le sere. Posso bere tutte le sere. Posso giocare partite di jambes à l'air. Loro restano lí. Bloccate. Cementate. Insieme alle domande, alle domande che mi pongo.  
Mi riempio l'agenda. Mi distruggo al lavoro. Cerco di non lasciare spazio ai pensieri. Ma non basta. Stranamente, l'unica cosa che mi ha tranquillizzato in questi giorni é stato l'abbraccio quotidiano del mio coinquilino, che mi viene a salutare al mattino, mentre lavo i piatti della colazione. Mi ha tranquillizzato. Mi ha fatto sentire il calore. Io ero sempre di spalle. E questo é un segno.

Mattine difficili

5 del mattino. Sotto la banda nera apro gli occhi. Me la tolgo, la butto da qualche parte. Accendo la luce e inizio a leggere. Sento i rumori della coinquilina. Non si sa né come né perché, lei fa sempre tanto rumore. Hai voglia a dirglielo, elle s'en fiche. Mi rigiro nel letto, sento l'effetto della sbornia sul mio corpo. E il primo conato di vomito che arriva. 
Arrivo al lavoro. "Sei tu che vai a parlare alla conferenza sul gasolio?". Vorrei rispondere "Scusa, chi é che si occupa di energia qui?". Ma fingo. Sorrido e dico "Yes, I'm going, don't worry". "E ti senti di farlo?". "Of course, it's my cup of tea". Secondo conato di vomito che arriva, che colpisce. 
Il cellulare sulla scrivania si illumina. "Spero ti sia fatta bella, stasera ti presento qualcuno". Un nuovo pallavolista, penso. Corpo perfetto, alto. Parfait pour une partie de jambes à l'air. Terzo conato di vomito.
Sono le dieci del mattino. Meglio non pensare alla fine della giornata. Sorseggio il the e lotto, ancora una volta lotto, contro i conati. E non solo.

martedì 1 ottobre 2013

La grande bellezza

Andare a vedere la Grande Bellezza e ubriacarsi. Si, sono tornata a casa ubriaca. Non curante della giornata lavorativa di domani. Camminavo e cercavo di impormi di seguire la linea dritta dei mattoni per strada. E non ci riuscivo. Non, ça ce ne fait pas. Non, ça ne va pas. Ho bevuto una bottiglia di vino. Per stordirmi, per non pensare. Non va bene, per niente. E intanto covavo la rabbia nera. Nerissima. Perché? Perché mi hai tolto le mie illusioni? Cosa importa ora. Ora ci sono io, che traballo per le strade di Pimlico. E tornano le lacrime secche, pesanti, sotto gli occhi. E ci sono solo io a salvarmi. Altra scelta non c'é. 

Desideri e pensieri estemporanei

Vorrei un altro uomo. Non per una storia. Lo vorrei per togliermi l'ombra di chi c'é stato prima sulla mia pelle. Un uomo cosí, un vuoto a perdere. Una storia senza domani. Una storia in cui non credere. Una storia senza speranza. Una storia senza senso. 
Non potrei sopportare un uomo in cui affondare la testa e dormire, come ho fatto con te. No, non lo voglio. Non lo voglio per ora. Meglio danzare sulle punta dei piedi fra gli uomini della borsa dei corpi di Londra.

Momenti di ilarità da pausa pranzo

Siamo in due, un po' la faccia afflitta. La terza ci guarda, seduta sul davanzale della finestra.
(Lei) Allora andiamo da qualche parte, in vacanza insieme. A divertirci. Usciamo da questo grigiume.
(Io) Si, ci vuole.
(Lei) Poi figurati, due donne da sole!
(La terza) Farete strage.
(Io) Sí, berremo come non ti dico.  Lo so io quanto berremo!
(Lei) E certo!
(La terza) E dove andate?
(All'unisono) Al caldo.
(Lei) mmm, si, al caldo.
(La terza) Andate in Florida!
(Io e Lei) Noo, tutti vecchi. E poi il jet lag, chi si riprende!
(Io) Andiamo a Mikonos!
(Lei e la terza) Nooo, tutti gay.
(Tutte e tre in coro) Cuba, ci resta solo Cuba.
E Cuba sia. Con molto alcool. Per dimenticare. Per non ricordare. Per annullare. Si potesse fare cosí!

Le occhiaie sono sexy

Succedono di nuovo cose strane. Succedono cose da far morire dal ridere. Dopo due ore di ao bao sao, torno a casa, stanca e anche un po' demotivata. Mi fermo al supermercato in stazione, alla ricerca di un'insalata da ingurgitare à la va vite. E lí mi si avvicina questo tipo, alto, con la peau un peu mate, ben vestito, il classico uomo di Londra. Mentre scelgo fra il salmone e i gamberi, lui furbescamente attacca discorso. Io rispondo, tanto per fare l'educata. Giriamo fra i due corridoi del mini supermercato, lui sempre attaccato alle mie gambe, che ogni tanto afferra un pacco di pasta e uno di biscotti. Io lo guardo, cerco particolari che mi dicano qualcosa in piú di lui. Arriviamo alla cassa e ci siamo solo noi. E lí, con un'astuzia sopraffina, mi chiede "E anche suo marito mangia il salmone?". Mio marito? Scusa, cosa c'entra mio marito? Gli vorrei rispondere "complimenti per averci provato, hai fatto chiaramente capire dove volevi andare a parare, e nel giro di due soli due giri di corridoio, ma scelgo un'altra strategia. "No, io un marito non ce l'ho. Io sono libera". E lui, tira fuori il cellulare subito. E io lo blocco: no, caro mio, non ti do' il mio numero. E perché? Vivo qui vicino, se il destino vorrà ci rivedremo, sentenzio io. Lo riguardo. E' proprio un bell'uomo, sulla quarantina. Ma no, non mi va. Usciamo in stazione e lí non resisto. "Scusa, ma le hai viste le mie occhiaie? Non le hai notate?". Lui, charmeur comme jamais, sorride. "Si, le ho viste. Ma ho visto anche quello che c'era dietro, quelle occhiaie. E le ho trovate sexy". Sorrido, alzo la mano a modo di saluto e fuggo verso casa. Fuggo, sí. Devo fuggire, perché sento che se restassi un po' di piú lí, il numero glielo darei. 
Mentre mangio seduta davanti al mio coinquilino, racconto e rido. Lui mormora "tanto tu sola non ci sai stare", io rido per questi uomini che incontro a Londra, spavaldi, qui ne savent pas se retenir, che cercano compagne di letto, niente di piú. E mentre rido bevo un bicchiere di quella bottiglia che avevo comprato per qualcun'altro, che ha deciso di andare via. A ta santé. Non, surtout à ma santé! E a quella delle mie occhiaie, mai state cosí sexy!