lunedì 30 settembre 2013

Con l'armatura indosso

E' nera la mia rabbia. Di quelle che ti fanno socchiudere gli occhi. Per mirare al meglio e colpire il nemico. Ce l'avessi un nemico davanti agli occhi. O forse dovrei pensare che sono tutti nemici e colpire tutti? Allora, lavoro. Mi concentro sul lavoro. Mangio riunioni, telefonate e presentazioni. Vado, mi impongo. Batto i pugni sul tavolo a volte e dico "no, questo cosi io non lo faccio". Dico "aprite gli occhi". Mi arriverà prima o poi una porta in faccia, ne sono sicura. Mais je n'ai pas le temps de marchander. C'é solo un'opzione. Fare il carro armato. 
Pero', scusate, io ho sempre voluto la pace. Io ho sempre detto "facciamo l'amore, non la guerra". E ora sono qui, completamente armata, pronta a combattere contro non so neanche io chi. Contro i miei sogni infranti. Sogni che sono stati distrutti uno ad uno. Aspettative, illusioni. Se non fossi credente, direi che qualcuno dovrebbe pagare. Ma non sarebbe una sola persona. E non é con la sofferenza altrui che potrei lenire le mie ferite. Allora la soluzione é una sola: andare avanti. Anche a tentoni. Anche col sangue che cola. Anche con tutta questa rabbia addosso. Senza pensare a cosa pensate voi. A voi tutti che dormite sereni e felici. Tornate a casa, vi andate a fare una pinta, uscite con una nuova ragazza. Io il tempo ora non ce l'ho. Io ora devo combattere. Forse contro me stessa. Contro quella che si é fatta illudere. Contro quella che ci ha creduto. Eppure ero convinta di averla annientata quella Francesca. E cavoli, mi sbagliavo. Di grosso.

Tornare sul mercato dei corpi a Londra

L'aereo arriva in ritardo. Normale, mi dico, atterro a Heathrow. Sono di cattivo umore, lo sono stata per tutto il weekend. Nonostante le amiche, nonostante il buon vino, l'accoglienza, le proposte di ascolto rifiutate perché solo parlarne fa male. Che botta, mi ripeto. Che botta senza motivo, mi dico. Arrivo nella metro e la Piccadilly non arriva. Aspetto venti minuti in piedi, sotto terra. Il cattivo umore aumenta. A livello esponenziale. Poi salgo sul vagone. Mi siedo. E lo vedo. Giovane, giovanissimo. Carino. Biondo, come piacciono a me, che poi finisco sempre con i mori. Apro il libro e continuo a leggere. Ad Acton Town ci fanno scendere tutti. C'é un suicidio sulla linea (ma perché ti devi suicidare di domenica sera sulla linea che arriva dall'aeroporto? dico io!). Mi ritrovo sul binario. E lui si ritrova vicino a me. Aspettiamo, entrambi in piedi. Vicini. Io sbuffo. Lui mi guarda e ride. E attacca il discorso. Parla del piú e del meno. E' inglese, inglesissimo. Io faccio presenza, rido alle battute, rispondo a monosillabi. Ad un certo momento penso che se mi chiedesse di andare a casa con lui, probabimente ci andrei. Mi passerebbe forse questo peso sul cuore, il nero sparirebbe dalle mie occhiaie. E chi se ne frega, mi dico, si vive una volta sola. La Piccadilly fa la sua apparizione di nuovo, saliamo, ma restiamo vicini. E lui continua a parlare, a farmi ridere. Mi chiede dove scendo e dopo la mia risposta aggiunge "peccato, io scendo molto dopo". Mi godo la drague, come dicono i francesi, la drague à perdre. So perfettamente che io e Jamie un futuro insieme non lo possiamo avere. E questo mi solleva. No expectations, cosa c'é di meglio. Sono le expectations che mi hanno ridotta cosí. A Gloucester Road, lui sferra il suo colpo. "Would you like to see me again?". Eccolo, penso, un altro. Sempre la stessa strategia. Sempre le stesse parole. Sorrido e gli chiedo quanti anni abbia. 23, risponde lui e lo dice con un tono di voce fiero. Grazie, rispondo. Mi piacerebbe, ma ho 10 anni piú di te. I don't mind, dice lui. You don't look 33. Sorrido di nuovo e sferro la mia solita risposta: dammi il tuo numero, ti chiamo io. Lui sbuffa e mormora "tanto non mi chiamerai mai". South Ken. Scendo dalla Piccadilly. Mi trovo sul binario ad aspettare la District. E penso che sono tornata sul mercato dei corpi di Londra. Corpi vivi, da scambiarsi, come in borsa. Corpi da prendere e buttare via. Corpi da so called love. Senza expectations. Perché queste fottute expectations me tuent. A casa mi guardo allo specchio. Vedo le occhiaie. Vedo la pelle grigia. Mio caro Jamie, penso, dovevi essere proprio disperato per provarci con me. Certo, questa é Londra. Siamo tutti soli. Siamo tutti disperati. Scusate, ma io cosa ci faccio qui? Risposta non pervenuta. Mi infilo sotto le coperte, metto i tappi di cera nelle orecchie, la banda nera sugli occhi. Et je m'asomne. Il me reste que ça à faire. Prima di tornare ufficialmente sul mercato dei corpi a Londra. 

domenica 29 settembre 2013

Casa - un ricordo fotografico


Momenti bui. Cieli sereni.

 
Cieli azzurri in strade buie

 
Sprazzi di luce in strade scure

 
Io ero all'ombra. Loro sdraiati al sole.

 
Fascismo scandinavo

 
Torvi palazzi reali
 
 
Case della nonna

 
Casette di legno (pare che non faccia sentire freddo. Ma!)

 
Parlamenti pseudoromani

 
Castelli da espugnare e principesse che lanciano la treccia a sconosciuti principi
 
 


Liberté, égalité, fraternité

Venez prendre votre goûter? Ma perché no?

 I pensieri, toujours là.
 
 
Visioni da tramonto

 
Un petit ciné?
 

J'en ai vraiment besoin

 
Et toi, tu en a besoin aussi?

 
Mais pourquoi vous écrivez partout liberté, égalité, fraternité? C'est notre devise. Vous n'en avez pas vous? Il silenzio é stata la risposta.  

 
 Io ho sempre sognato di vivere in campagna

 
 
Notre premier bouchon

 
A la prochaine!

giovedì 26 settembre 2013

Chiedi alla polvere

Lo so, perché mi conosco. Lo so, perché faccio sempre cosi'. Sto aspettando. Sto aspettando un cenno. E so che non arriverà. But to let go é più difficile di andare via sulle proprie gambe. Maledette le illusioni. Tanta strada fatta per fortificarsi, per rendersi imbattibili, per poi trovarsi cosi'. Col cuore in una morsa. These were my old gold days, nothing more. Non lo faccio più, non mi lascio andare più. Su, dai, in piedi, Su, dai, scatta. Su, dai, reagisci. E non ne ho voglia. No. Preferisco restare a letto, a sfiorarmi il buco lasciato dallo stomaco. E chiedere alla polvere, l'unica cosa che mi é rimasta di me e te quando passerà. La polvere risponde, con la voce flebile, cosi' flebile che non la sento.

Ne me quitte pas

Uscire con le amiche. Trovarsi a Clapham, un posto con una marea di ricordi. Dai baci di Mr 45 a quella nostra terribile litigata, l'ultima. Le ultime lacrime, le ultime rivendicazioni, la nostra ultima notte insieme. Forse più per pena che per altro, perché avevo pianto troppo mentre tornavamo verso casa, avevo detto parole importanti, avevo aperto la mia anima a te, cosi' tanto da non stare in piedi. Un pub stasera, pieno di gruppi ben distinti. Da una parte gli uomini, dall'altra le donne. Gli uomini tutti uguali. Tutti vestiti bene, con i muscoli percettibili sotto la camicia. Carini, bellini, tutto quello che vuoi, ma sempre la solita zuppa, lo stesso sapore, al gusto di Londra. Un'amica triste, un'amica disillusa, io che non so neanche dove sono in questo momento, che vago. Una canzone, che dice non mi lasciare, ne me quitte pas, proprio oggi, che é un po' un anniversario, quello della fine. Quello di una settimana lunghissima e pesantissima. Una canzone che non voglio neanche sentire, ascoltare, perché mi stringe il cuore, mi fa salire la rabbia. Allora, respiro. Allora, penso che domani il profumo della baguette, il francese nella mia bocca, le amiche e il profumo di bimbo mi faranno sentire un po' meglio. Forse stempereranno questa rabbia che ho dentro. Rabbia nera, rabbia dura. Did you fuck it up this time, my dear? Yes, you did it. You did it. Ma non é colpa tua. No, tranquillo. Questa é la vita. Mi deve solo passare la rabbia. Nera. Corrosiva. Lenta. Qui ne me quitte pas. Jamais.

Chiedere scusa

Stavo lavando i piatti della colazione. Guardavo fuori dalla finestra. La coinquilina che rompe ha eliminato la tenda in cucina, cosi si puó guardare fuori. Si puó vedere il cielo grigio e le case tristi. Lui dietro di me camminava, parlava, diceva stupidate. Ogni tanto veniva ad abbracciarmi, perché ha sempre bisogno di un contatto, di affetto. Io ero un po' nel mio mondo, un po' ridevo per quanto diceva, un po' rimuginavo. Un po' sospiravo, dicendomi "meno male che sei qui, a fare rumore, ad occupare la testa". Ero sveglia dalle 5 del mattino. Sveglia nel mio letto, con i tappi di cera nelle orecchie e la banda nera sugli occhi. Sveglia con gli occhi spalancati. Non c'é niente da fare, non dormo. 
Penso che se un treno mi fosse passato addosso, mi sentirei meglio. Mi sentirei piú à l'aise. Ecco, je ne suis pas à l'aise. Pas du tout. E' come se mi aspettassi delle scuse. Un "sorry, désolé, disculpa". Quelle che mi davano tanto fastidio quella sera. Ma poi mi chiedo: delle scuse per cosa? Non ci sono scuse in queste situazioni. C'é solo il tempo, che lena le ferite.
http://www.youtube.com/watch?v=lLJf9qJHR3E

mercoledì 25 settembre 2013

Non ci sono parole da aggiungere

http://www.rue89.com/2013/09/25/viol-femmes-brandissent-les-mots-leurs-agresseurs-246029

Parlare per non tacere.

Non ne capisco la ragione

Lei fa sempre ridere. Lei é sempre cosí simpatica. Io le dico sempre che é un personaggio da romanzo. Ieri l'ho vista distrutta. Era a pezzi. Mi ha solo detto "E' successo un casino, Francesca". Io all'inizio ho sorriso, pensando che si trattasse di un'altra sbornia. Poi ha raccontato. Ha raccontato mentre le lacrime scendevano a fiotti. Io non ci credevo. Io l'ho sempre vista felice. Io li ho incontrati tutti e quattro. Una famiglia. Una bella famiglia. Fra le lacrime mi ha detto "Ti ho battuta, Francesca, vedi? Vedi che anche un matrimonio, una vita insieme, dei figli non ti danno nessuna sicurezza?". Sono rimasta male, malissimo. Ho visto tanta sofferenza. Ho visto tanto dolore. Non ne ho capito la ragione. Se non puoi fidarti dell'uomo che ami, del padre dei tuoi figli, della persona con cui condividi la tua vita, di chi ti puoi fidare? Sono allora tutti solo ed esclusivamente "so called loves"? Di quelli che colpiscono e fuggono? Anche dopo aver dato la vita? 
Stamani mi sono svegliata con le mani sulla pancia. Penso mi facesse male. Penso che sentisse la pesantezza del momento. Penso si dicesse che qualcosa non va. Non in me. Nel mondo intorno a me.  

lunedì 23 settembre 2013

Bienvenue insomnie!

E' tornata puntuale. Lo sapevo. Benvenuta insonnia. Ben ritrovata. Ho chiuso gli occhi alle 01.30. Li ho riaperti sotto la benda nera alle 5.00. J'ai grogné. 3 ore e mezza di sonno, quando davanti hai una giornata niente male. L'incontro con la delegazione italiana sul labelling, come se tu fossi un'esperta. La lezione agli studenti, sull'euro, come se tu fossi un'esperta. Il report da scrivere. I colleghi da sopportare. La coinquilina scema (sorry, é un terribile giudizio, ma a volte ci vuole) à avaler. Come si fa? Si fa. Non c'é altra risposta.  J'endure. Tertium non datur. Almeno avessi una seconda scelta. Almeno potessi avere un interruttore del cervello e del cuore. Un posto dove mettere tutto quello che non voglio, tutto quello che fa male. No, non ce l'ho.
Alle sette del mattino scendo in cucina. Apro il frigo e lo vedo. Apro il rubinetto e rovescio il contenuto di una bottiglia quasi intera di succo di arancia. L'avevo comprato per te, per festeggiare il tuo ritorno dall'America. Ne abbiamo bevuto un bicchiere e mezzo in due. Il resto é finito, ormai pieno di grumi, nello scarico del lavabo in cucina.
Come dice la mia amica: a Londra le storie finiscono cosi'. Con i messaggi del giorno dopo, delle 5 del mattino, che suonano "the test is negative (vai tranquillo per la tua strada)", con le bottiglie di vino o succo di arancia da svuotare nel lavandino, con l'insonnia che torna, con nuovi numeri da salvare nella memoria del cellulare per nuovi incontri. Che poi seguono sempre la stessa strada. Sinceramente, no grazie. Sinceramente, mi tengo l'insonnia. Mi tengo la bocca storta. Mi tengo l'assenza di stomaco. La pancia che gorgoglia. Mi tengo gli italiani industriali ricchi, da intortare col labelling. Gli studenti che non sanno neanche che la Norvegia non é nell'UE. E saluto la mia amica, si, la mia amica insonnia. Bentornata, si, bentornata a farmi compagnia. Tu ci sei sempre. Tu non mi abbandoni mai. Ah, che ironia della sorte!  

La soluzione finisce con .com

Oggi Pollyanna non funziona. Oggi sono stanca, stanchissima. Oggi mi pesa tutto. Oggi balla tutto, trema tutto davanti ai miei occhi. Oggi non ci sono certezze. Quando mai ci sono state? Mi dico. Oggi continuo a stare in piedi, ma cado, inciampo, in continuazione. Oggi lo stomaco non c'é, c'é un buco. Non sei stato tu, tre mesi non sono niente. E' il sistema che é marcio, le mie fondamenta sono incerte. Oggi mi trascino, mentre sento l'inverno arrivare. Voglio dormire una notte di 365 giorni. Non mi voglio svegliare. In queste notti, mi sono messa la banda nera sugli occhi e i tappi nelle orecchie. Il mondo era ovattato e anche questa sensazione di fastidio, insofferenza. Al mattino torna, alla carica. E mi taglia, trafigge le gambe, che lotto per tenere dritte. 
La mia amica mi ha guardato in faccia. Ha detto "mmm, no, non va cosí". E ha aggiunto: "La soluzione c'é e finisce con .com". Io ho sorriso e ho scosso la testa. No, il silenzio per favore. No, l'assenza per favore. No, il nulla per favore. No, meglio i tappi di cera e la banda nera sugli occhi. L'assenza. Le vide. Rien. A gagner ou à perdre.  

domenica 22 settembre 2013

La vita é sempre più forte del tuo dirle ancora no

Puo' essere anche un giorno triste. Un giorno di dolore. Puoi essere anche terrorizzata da questo weekend che avresti immaginato molto diverso. Eppure la vita sorprende sempre. Volevi correre e invece ti sei trovata circondata, abbracciatata, da chi é vicino, da chi é lontano. Hai sentito che il giorno di dolore puo' essere alleviato. Hai perso qualcosa, un'idea, ma hai tanto. Hai chi ti sa stare vicino, chi ti fa ridere, chi si addormenta con te sul divano mentre guardate un film, chi si addormenta con te in un taxi che ti riporta a Pimlico. Hai chi ti ha amato che ti sostiene a distanza, hai amici di penna che ti scrivono mail che ti fanno spuntare il sorriso, insieme ad un respiro di sollievo. Hai chi ha il coraggio di fare un barbecue di inizio autunno in una casa che cade a pezzi, cosi' tanto che vi trovate in giardino per evitare il crollo.
Non hai corso su Chelsea Bridge stamattina, ma hai camminato con chi ha saputo farti sorridere, alleviare la tua tristezza. Hai visitato quel posto che andavi a sbirciare nei momenti bui, di notte, quando il cuore era troppo pesante per farlo tacere. Hai intrepretato tutto questo come un segno, del cambiamento.
La vita é sempre più forte del tuo dirle ancora no. Te la canti sempre quella canzone. Te la sei cantata anche stasera, mentre il tuo coinquilino ti raccontava della sua nuova conquista. E tu, sorridevi.  

sabato 21 settembre 2013

Ritornare alla vecchia vita

Stasera ho annullato tre mesi. Stasera era giugno nella mia testa, anche se é metà settembre. Sono uscita, senza pensieri per la testa. Sono uscita con la stessa disillusione che ho sempre avuto a Londra per tutti questi mesi. Mi sono divertita, ho scherzato, penso di essere stata piacevole. Mi sono forzata di esserlo. Non ho mostrato amarezza, non ho mostrato cicatrici. Ho recitato una parte, quella che Londra mi ha attribuito. Ho parlato con gente sconosciuta, sono stata cordiale.
Ho parlato a lungo con te. Abbiamo scherzato sul nucleare, che é il tuo lavoro, sul tuo capo "un peu trop français celui-là", sulla politica troppo distante dalla realtà. In un certo senso, ho gradito che ti sia avvicinato per parlarmi. Non osavi chiedere, cosi' ho parlato io. La domanda la vedevo li' sulle tue labbra piccole e sottili. Cosi' ho dato la risposta prima di sentire la domanda arrivare. Ci siamo guardati e ci siamo capiti. Non ci sono state molte parole. Ci sono state due persone che si conoscono anche poco, ma che nonostante tutto, si capiscono.
Ho camminato per le strade di Pimlico in bilico. Era l'alcool che avevo in corpo. Non me ne fregava molto di fare l'altalena per strada, di camminare storta. Ho incontrato la coinquilina che rompe sulle scale. Non ho avuto mezzi termini. Ho detto "stasera devo dormire. Vorrei il silenzio". In camera mi sono chiusa nel mio silenzio. Con i tappi di cera nelle orecchie. C'ero solo io e i miei pensieri. E una pancia che gorgoglia, parla. E non dice cose belle. Per niente.
  

venerdì 20 settembre 2013

Perdo sangue, ma non muoio

Mi succede a volte di perdere sangue, ma senza morire. Ne perdo anche tanto. Mi dissanguo. Ne perdo a fiotti. Come le lacrime che da ieri sera sono rispuntate sulle mie guancie. Erano mesi che non succedeva. Poi ho aperto il rubinetto. Lui seduto in poltrona diceva "mia madre dice che fa bene, fa bene tirare fuori". Io annuivo e continuavo a piangere. Ho provato a dormire. Alle cinque ho aperto gli occhi. Come se avessi un appuntamento, come se avessi una sveglia mentale. E ho riaperto il rubinetto delle lacrime. Ho ricominciato a perdere sangue. Sangue chiaro, trasparente. Non piango per lui. No, piango per me e per la mia vita. Piango perché sono stanca di ricominciare sempre lo stesso gioco, lo stesso refrain. 
Piango, sanguino, ma non muoio. Morire, no. Io tengo botta. Io cado e mi rialzo. Anche con le ginocchia che sanguinano. Non ho avuto una vita facile. Non ho avuto una vita impossibile. Ho avuto una vita. Ho avuto passioni, sentimenti, delusioni. Quando saró vecchia, mi ricordero' di Londra? Mi ricorderó del mordi e fuggi? No, avró altro da ricordare. Ne sono sicura. Ricorderó la mia Londra. Ricordero' la mia crescita. Ricorderó i lividi di Bruxelles che sono scomparsi qui a Londra. 
Forse ricorderó quella mano inaspettata che mentre singhiozzavo massaggiava la mia schiena. Un po' per lavoro, un po' per sollevare il mio dolore temporaneo. Si, sempre temporaneo. Io perdo sangue, ma non muoio.

giovedì 12 settembre 2013

Contare

Pensavo bastasse contare fino a 5 per vederti tornare. Col tuo viso pulito e il tuo profumo addosso, che poi diventa anche un po' mio. Invece questo conto alla rovescia mi sembra lunghissimo. Mi sembra eterno. E poi il decalage horaire, tu che mi scrivi buonanotte, mentre io apro gli occhi. Io che continuo a contare le ore nella mia testa, guardo l'orologio e conto meno cinque per capire cosa tu starai mai facendo, se stai dormendo, lavorando o divertendoti. Io che mi ripeto che non sono fatta per niente per vivere a distanza, non ne sono capace. No, non si puó fare. E cinque ore non sono niente. Respiro e bevo il thé che ho davanti. E ricomincio a contare...uno...due. Non devo arrivare fino a cinque, ma anche due giorni, sono troppi!

lunedì 9 settembre 2013

I've never been so far

Ci sono delle volte che mi spavento. Si, ho una paura nera. Come mi é successo ieri sera. Tu mi hai mandato una foto, modo molto gentile per farmi vedere che stai bene. E io appena l'ho vista ho riconosciuto, trovato, rintracciato subito i punti che mi piacciono di te. La stempiatura. La ruga sotto l'occhio destro, che spesso accarezzo. La forma che il labbro inferiore prende quando sorridi. L'espressione stupita che hai ogni tanto sul viso. Ho avuto paura perché significa che fai parte della mia tappezzeria, cosí presto, solo dopo qualche mese. Se chiudo gli occhi e allungo la mano posso toccarla quella ruga, posso sentire l'incavo sotto i miei polpastrelli. Posso sentire il tuo odore nel mio naso. La morbidezza della tua pelle. La forza delle tue braccia. E sai che io cerco di frenare, di andare piano. Ma una foto e questi pensieri, mi spiazzano. E sospiro e conto fino a 5. I giorni che mancano al rivedersi. Solo 5. 5 per avere non solo sensazioni mentali, ma per averti fra le mie braccia, fra le mie mani. 5 volte dodo o ninna nanna come lo vuoi chiamare e poi torni. E il respiro si blocca. Per la gioia.

giovedì 5 settembre 2013

Between here and there, I found you

Una stanza completamente buia. Con una sola lucina a rischiarare l'aria. Una sorpresa. La tua morbidezza. La tua dolcezza. Il tuo abbraccio. Le tue braccia che mi stringono, a sorpresa, da dietro Le mie che stringono te. L'amaro del salutarsi, ricominciando a contare i giorni prima di vedersi di nuovo. La gioia di sapere che pero' ci sei, anche se lontano. Annusarti varie volte mentre mi accompagni alla metro, mentre camminiamo per il parco di Ealing, ancora una volta nel buio totale, come per fissare il tuo odore nel mio naso, perché non voglio sentire la tua mancanza mentre sei via. Un biglietto nascosto nella tua valigia, che recita fra qui e lí, ti ho trovato. Sí, ti ho trovato. Nonostante il buio. Ma come mi hai dimostrato tu, anche nel buio completo, c'é sempre una piccola luce.

martedì 3 settembre 2013

Niente di più, je ne veux rien de plus

Lui arriva puntualissimo. E' sempre un uomo e sa che ha qualcosa da farsi perdonare. Lo sa anche se io ho taciuto per giorni sull'argomento. L'ho evitato, nascosto, solo parzialmente dimenticato. Arriva anche col suo più bel sorriso, la sua pelle morbida e il suo profumo buono. E nasconde dietro la schiena un mazzo di fiori, un po' da manuale, ma sotto sotto, estremamente gradito. Arriva e io chiudo il mondo. Lo circoscrivo a noi due. A noi due, un piatto di carbonara da spartirsi nella mia solita cucina non proprio pulita, sorrisi a gogo, chiacchere e baci, dolci, sussurrati. Poi questo omino da favola se ne va, corre a prendere l'ultimo tubo per l'ovest, e io resto li', a casa mia, a guardare il soffitto, rapita, persa, sognante. Tutti dormono, la casa é assorbita nel silenzio completo e io ripenso a lui, a noi, a io che dico "siamo solo all'inizio" e lui che mi risponde, sorridendo, "tra tre mesi dobbiamo iniziare ad insultarci?", io che freno, io che esito per paura, lui che abbatte le mie paure una ad una, a colpi di sorrisi e baci.  C'est bon, tu as gagné. Je ne veux rien de plus. Je ne peux pas. 

Casa - Home - Maison

Ho visto una regione. Quella che dovrebbe essere mia. Ho visto il sole, che scotta sulla pelle. Ho bevuto vino che scorre in gola senza lasciare tracce, rimasugli, amarezze. Ho mangiato squisitezze che mi hanno fatto rimpiangere la mia vita passata. Ho riso guardando foto antiche o antiquate, in cui sembro non conoscere il significato di sorridere. Ho percorso strade in bicicletta come facevo per andare a scuola, ma con un seggiolino da bimbo montato sul porta pacchi, segno del cambiamento avvenuto. Ho dormito il sonno dei giusti, in una stanza nerissima, senza neanche un fantasma a farmi visita. Ho condiviso il mio passato, le piccole cose buone del mio passato. Ho sentito la nostalgia, ma ho guardato al futuro. Ho sperato che quello che verrà sarà bello, cosí tato da nascondere il buio passato. Ho portato con me l'amicizia incontrata altrove. Ed é stato bonheur. Ancora una volta pure bonheur.