lunedì 23 novembre 2015

Io non voglio avere paura

Sono cresciuta in un paese in cui ogni tanto scoppiavano bombe. Non a pioggia, né dal cielo, come in un bombardamento, mais de temps en temps, di qui e là. Sono cresciuta con una madre che ogni volta che andavamo a Bologna mi ricordava che quello squarcio nel muro alla stazione era per un treno che mia sorella e mio padre avevano preso tante volte prima che qualcuno lo facesse saltare in aria. Ho passato le mie vacanze estive nella verde Bellamonte a sentire i racconti di Aldo Moro, che aveva la casa lí vicino, e di come lo avessero ritrovato morto in una mattina di primi caldi in un bagaglio somewhere in Rome. 
Ho visto le torri gemelle sciogliersi in mille particelle di polvere. Ho transitato per Atocha. Ho pianto i morti di Nassiria. Il cuore mi si é stretto davanti ad altri mille eventi tragici e morti insensate. Ho scritto Je suis Charlie sui social media e altrove, nella mia testa, su pezzi di carta attaccati alla finestra. Ho chiesto al mio lui "portami lí, voglio depositare un fiore". 
Ho vissuto a Bruxelles per anni. Ne conosco ogni singolo spazio. Conosco la mixitude. Le donne velate. Le moschee. I quartieri arabi. Ho vissuto lí, ne sono stata parte. Ho fatto la spesa al marché de Midi. Ho vissuto sopra una famiglia musulmana per anni. Ho imparato che siamo diversi, ma siamo pur sempre uomini. 
Ora il panico si é impossessato del mondo. Ho sentito persone dire "non uscire di casa". Non andare al cinema. A fare la spesa. O ancora "io non porto i figli a scuola". E ho pensato: ecco, i terroristi hanno vinto. Si, ci hanno fatto veramente paura. 
Io non ho paura. Io non voglio avere paura. Credo in Dio, anche se non pratico. Ho sempre pensato di essere uno strumento di un disegno superiore. Forse sbaglio, forse mi illudo. Ma forse per questo, io non ho paura. 
Piuttosto, voglio credere in un mondo migliore. Ho visto tante atrocità con i miei occhi. Solo due settimane fa camminavo in un'aria densa di morte fra le rovine di Auschwitz. Voglio credere che chi verrà dopo di me potrà avere quel mondo che John Lennon ci ha cantato. 
Io ci credo in quel mondo. E' per questo che non voglio avere paura.

mercoledì 18 novembre 2015

Noi, si proprio noi, ci pensiamo

C'é una cosa che io ho sempre capito poco. E questa cosa é come si rimane alla fine di una storia d'amore. Mi riferisco a un codice da seguire su cosa si deve e non si deve fare. Mi chiedo e mi sono sempre chiesta se ci si dovesse sentire ogni tanto o mai. Se sia lecito cercare un contatto anche dopo la fine. O se la scelta migliore fosse lo scomparire nel nulla.
Ho avuto storie che si sono trasformate in rapporti forti. Ho avuto storie da dimenticare, di quelle in cui cancelli il numero e cerchi di nascondere i ricordi tra i meandri dei tuoi pensieri. Ho avuto storie in cui avrei voluto mantenere un minimo contatto, quasi per educazione, e non ci sono riuscita. E ho avuto noi o meglio la nostra storia.
La nostra storia é durata poco. Ma é stata importante perché mi ha ridato fiducia nel mondo, nell'essere umano, nell'amore.
Per uno strano motivo, ci siamo rivisti una volta sola da quando le nostre strade si sono separate. Ognuno ha fatto la sua strada, ognuno si é ricostruito la sua vita.
Londra non aiuta a restare in contatto, é troppo grande. Le relazioni umane funzionano seguendo la legge del mercato. Ad un certo punto, non sei piú attraente, competitivo, insomma, finisci nel dimenticatoio. Ci sono troppe persone da vedere incrontrare, troppi numeri da salvare sulla rubrica del telefono.
Ci siamo scritti ogni tanto, di quelle email generiche da mandare per far sapere che c'é una stanza libera a casa tua o che corri la maratona e cerchi fondi per la tua charity preferita. Mail generiche, anonime. Oppure altre con link ad articoli, ricette di cucina, eventi che possono piacere all'uno o all'altra. Mail che iniziano con "sai, ti ho pensato ieri, oggi, domani perché...". Mail che indicano un contatto, un ricordo sempre presente, un qualcosa che abbiamo lasciato nelle vita dell'uno e dell'altro.
Quante ce ne siamo mandate di mail cosí? non tante. Ma abbastanza. E quello che ne emerge é sempre lo stesso. Noi ci pensiamo. Tu pensi a me. Io a te. Ogni tanto, nelle corse delle nostre vite. Non ci amiamo, non ci siamo mai amati, ma ci pensiamo perché abbiamo lasciato un segno nella vita l'uno dell'altro. 
Prendiamoci questo. Altro non c'é.

lunedì 9 novembre 2015

Lì dove il mondo ha finito di esistere

Io volevo andare. Io volevo vedere con i miei occhi. Sapevo che avrei sofferto, ma sentivo di doverlo fare. Era un tributo. Era per onorare la memoria di chi era morto in quel luogo di orrore. Cosí ingiustamente.
Ho avuto paura. Di soffrire vedendo la verità.  Di piangere lacrime senza trovare consolazione.  Ho avuto paura di vedere fino a dove si poteva spingere l'umanità. O meglio l'assenza di umanità.
Niente è andato come avevo previsto. La famosa scritta non era ad aspettarmi dove pensavo. Non ho singhiozzato come temevo. Ma ho sentito l'odore della morte. Ho sentito che l'umanità in quel posto ha lasciato il posto a qualcosa di impossibile da capire. Di irrazionale. Di disumano. Di inimmaginabile.

Mi sono chiesta come si potesse scrivere che il lavoro rende libero l'uomo in un posto dove l'uomo veniva spogliato della sua stessa natura umana e ridotto ad uno stato miserabile? Dove non esisteva nient'altro che stupore, come negli occhi dei prigionieri ritratti e catalogati al loro arrivo in foto che ricordano vagamente le foto tessere moderne. Nei loro occhi, ho visto stupore e paura. A volte sfida. Sfida che però sfumava via presto. Pochi duravano più di alcuni mesi. Alcuni venivano gasati al loro arrivo. Altri dopo poco. Pochi giorni, poche settimane di una sofferenza estrema. Ripeto, inumana. Ho visto quei volti persi. Stupiti. Impauriti. Non riesco a dimenticarli. Non posso farlo per rispettare il loro onore. Calpestato. Infangato. Distrutto dalla barbaria umana. 


Vagando attraverso quella desolazione, mi sono ripetuta varie volte "non dimenticare". Non dimentichiamo quello di cui è stato capace l'uomo. Non dimentichiamo questa enorme sofferenza. Ma facciamo nascere fiori da queste ceneri. Un mondo migliore. Un mondo di amore. Di fratellanza. Non facciamolo capitare mai più. 
Lasciamo agli uomini la loro dignità. Perché sono uomini, come noi. 

Cit.

Je te donne nos doutes et notre indicible espoir.
 
E proviamoci cosí ad andare avanti. 
Altro non ci é concesso. 
A parte correre. E correre. E correre. 
Arriverá una sedia su cui sedersi per smettere di correre. Prima o poi arriverá.
E il vuoto nella mente. O almeno solo le cose belle.
Si, si, arriverá. 
 
Run fast for your mother, run fast for your father. Run for your children, for your sisters and brothers. Leave all your love and your longing behind. You can't carry it with you if you want to survive.

lunedì 5 ottobre 2015

Darling, dog days are over

Che rumore fa l'Eurostar? Che rumore fa l'emozione del ritorno sul continente? Come ci si sente quando si lascia un'isola, per quanto stabile, per tornare sulla terra ferma? Fa il rumore dei pensieri. Fa il rumore dei sospiri. Fa il rumore di trovarsi in un paese che non si conosce, ma che in parte si ama. Si ama perché quel paese parla la tua lingua, La lingua degli affetti, la lingua dell'amore. Quel paese lo ami perché é dove sei voluta andare da sempre. Lo ami perché fin da adolescente é stato quello il tuo sogno, il tuo rêve, che ti portava lontano da una realtà in cui c'era poco di bello.
Ero cosi'. Ero li' sul quel binario buio. In piedi col mio cappottino rosso. Il raffreddore nel naso. In una stazione sotterranea. In cui sono stata qualche volta. Di corsa, in giornata. E ho sentito il rumore dell'Eurostar. Che mi riportava da te. Da te che eri rimasto su quella benedetta isola, instabile. Instabile nella mia testa. Segno di una vita che di stabile ha poco. O che lotta per esserlo. Fra le sopraffazioni quotidiane. I rospi da mandare giù. Ecco, in quel momento quel rumore mi ha ricordato quando corro in stazione per lavoro. Quando devo fare la bella statuina. Quella che scuote la testa e dice "yes, of course" e vedo una realtà che non mi piace, insieme al mio sogno che si infrange. Ma mi ha anche ricordato quel rumore di quando il treno arriva in stazione, sul continente. E io mi sento la gioia in petto, quella del ritorno. 
Non é che la vita prima fosse perfetta. Anzi. Ma era diversa. Ero diversa io. Forse, ora, sarebbe veramente perfetta. Perché come dico sempre, qualcosa é cambiato. E quel qualcosa sono io. E questo non é poco. Anzi. E' tanto. E come mi ripeto spesso, darling, the dog days are over. E lo sono per sempre. 

mercoledì 12 agosto 2015

La vita é ingiusta

Lei ripiegava il sacco a pelo. Aveva una grande valigia accanto. 
Io uscivo di casa con le mie scarpe da ginnastica nuove per andare in palestra. 
A destra c'era un uomo. Anche lui stava piegando il sacco a pelo.
Avevano dormito lí, davanti alla porta del mio palazzo. Coperti dalla tettoia. Per terra.
Uno sguardo veloce mi ha fatto capire che dovevano essere del Sud America. Ma mi sarei potuta sbagliare. 
Non erano drogati o alcolizzati, erano senza tetto. Erano poveri. Si vedeva. Forse migranti, quelli che questo paese non vuole.
Ho abbassato lo sguardo. Ho guardato le mie scarpe scintillanti. Ho pensato al mio benessere, che mi permette non solo di avere un tetto sulla testa, ma anche di pagarmi la palestra e altre cose.
Quando sono tornata dall'allenamento, non c'erano piú. 
Ti ho raccontato. Ti ho promesso che non mi lamenteró mai piú. Io che dico sempre "ma guarda in che posto viviamo". Lo dico quando troviamo le scale sporche, quando qualcuno ha fatto la pipí in ascensore, quando torno a casa la sera e mi guardo alle spalle, probabilmente inultimente. 
Non lo dico piú perché ho una casa. Un letto. Tutto.
Sono una migrante anche io, ma ho un passaporto e un permesso per rimanere qui. Ho un lavoro. 
Ho una dignità intatta. Non calpestata, bisfrattata, come chi ho visto stamattina davanti alla mia porta di casa. E non ha scelto di essere trattato cosí.
La vita é ingiusta, lo dico sempre. Oggi lo scrivo e lo voglio dire al mondo intero. 
La vita é ingiusta, ingiustissima.

martedì 4 agosto 2015

Le montagne fanno bene?

Le montagne fanno bene. Me lo dice sempre la mia amica. La proteggono. A me non so che effetto abbiano fatto queste montagne. Non erano proprio le mie ben conosciute ed esplorate Dolomiti. Erano delle montagne strane, con pochi alberi, tanti sassi, caldo torrido di giorno e freddo pungente di notte. 
Ripeto. Non so che effetto mi abbiano fatto. Ma sento non buono. 
Sono rimasta una giornata sola sul cucuzzolo della montagna. Io, le montagne e 4 tende da campeggio. Piú naturalmente le vettovaglie. Non mi sono praticamente mossa. Ho piantato lo sgabello in un punto e lí sono rimasta per ore. A guardare i monti, il cielo, i sassi. Perché questo c'é in Corsica. Non altro. 
Ho capito cosa significa essere veramente soli. Quando l'enorme cane bianco si é avvicinato a me, ho capito che non potevo fare niente. O mi mangiava o non lo faceva. Sono qui a scrivere, quindi mi ha risparmiata. Ma ho visto le mia braccia e le mie gambe nella sua bocca, oltre al pezzo di salame che mi era stato attribuito dalla spartizione piú che comunista del pranzo fra i campeggiatori. C'ero io, l'enorme cane bianco e il mio cuore che aveva smesso di battere, piú per stupore che per paura. Niente di piú. 
In tutti quei cieli che ho guardato lí fra le montagne, non ho mai pensato a te. Eppure io penso sempre a te. Mai. Pero non stavo in piedi. Mi girava la testa. In continuazione. Forse era perché tu mi avevi temporaneamente abbandonato. 
Ecco, le montagne a me forse non fanno bene. Ti cacciano via. Ti fanno sparire dalla mia testa. E io ho bisogno di guardare in alto e vedere i tuoi occhi. Per stare in piedi. Per sentirmi bene. 

mercoledì 20 maggio 2015

Io e il Bian Coniglio (se poi si chiama cosí)

Non ho proprio apprezzato tutto. Non me la sono proprio goduta, come si direbbe. 
Ma ci sono state degli aspetti che mi hanno rapito, preso il cuore.
Prima di tutto l'odore di campagna. Lo stesso odore forte che ritrovo a casa. Quando realmente pensi che lí non esiste nessun Tubo, nessuna corsa affaticata stile il coniglio di Alice nel Paese delle Meraviglie. Ma ti chiedi cosa mettano come concime e cosa poi finisce nel nostro stomaco, sotto forma di alimenti. 
Poi mi sono piaciute le cose di sempre. Quelle che cerco per sentirmi bene. Il buon cibo, il caldo, il cielo blu.
Mi sei comunque mancato tu, che ormai fai parte di me. E' sempre piú difficile pensarmi staccata da te. Come se fossimo una cosa sola. Un binomio che fa tutto insieme. Alcuni mi dicono "ma che noia", io invece lo trovo una regola di vita. 
Poi ci sono stata io. Col mio mondo fantastico nella testa. Completamente diverso dalla realtà, sia chiaro. Io che a volte vedo troppo dove il troppo non c'é ed a volte beatamente ignoro quel troppo. Ho capito solo che non possiamo piacere a tutti e tutti non ci possono piacere. Non l'ho capito ora, ma me lo sono ripetuto. Ma sono arrivata ancora una volta a questa conclusione. 
Sono tornata stanca. Mi sono addormentata ovunque per due sere. Perché non ho staccato il cervello, anzi. No, ha lavorato tutto il tempo. E stranamente per una volta non ero io a correre come il Bian Coniglio, ma lui. Il mio cervello. E annotava, annotava tutto. Per poi analizzarlo. 
Alle conclusioni peró non ci sono ancora giunta. 

venerdì 15 maggio 2015

I mocassini: parte finale

Un po' di tempo fa, neanche poi cosí tanto tempo fa, ho preso una sbandata, parzialmente corrisposta, per un uomo. Mi piaceva tanto. Sapeva di pulito e io venivo da una storia che di tutto sapeva eccetto di detersivo dei panni. Era un piccolo uomo. Mignon, insomma. Basso, ma non era fatto male. Francese, come piacciono a me. Con un nome che io darei ai miei figli (con un suono cattolico che si intonava perfettamente con le mie reminescenze cattoliche di infanzia e gioventú). 
Ma soprattutto, quest'uomo portava (e immagino lo faccia tuttora) i mocassini ai suoi piedi. 
Ecco, a me i mocassini non sono mai piaciuti. Ai miei piedi li trovavo scarpe da vecchia. Figuriamoci ai piedi di un uomo. Del mio uomo. Ma tale era lo stordimento amoroso che ai suoi piedi mi sembravano splendidi. Eleganti. Affascinanti. A momenti attraenti. 
L'uomo mignon con i mocassini ai piedi mi ha scaricato dopo poco, con storie poco credibili sulla sua incapacità di innamorarsi di qualsiasi donna. Io sono entrata in un tubo nero di tristezza, ma fortunatamente l'uomo non mignon con le scarpe da ginnastica mi é venuto a cercare e mi ha portato all'aperto. 
Ma mi é rimasta questa cosa dei mocassini. Per un po' di tempo, appena vedevo un uomo con i mocassini ai piedi fuggivo scandalizzata. Li trovavo brutti, poco virili, addirittura segno di codardia. Poi ho iniziato a riderci su, sempre pero' stando alla larga da chi li indossava. 
Quest'anno a Londra, la primavera é la stagione dei mocassini. Sono ovunque. In tutte le vetrine e ai piedi di parecchi uomini che incontro. E la reazione, anche se piú moderata, rimane sempre la stessa. Di fuggire, di girare la testa.
Ma la parte migliore é passare davanti alle vetrine, guardarli e pensare che l'uomo mignon se ne sará sicuramente comprato altre paia. Altri colori. Insomma, altri modelli. Ma io spero per lui che qualcosa sia cambiato per lui. Che qulache luce si sia accesa nel suo cervello. Per il suo bene, molto piú che per quello dei suoi piedi.
 

giovedì 7 maggio 2015

Only love

E' una canzone dolce. Delicatissima. Che ripete sempre le stesse frasi. Con una voce sussurrata, a tratti timidamente accennata. L'ho ascoltata per caso. Nelle cuffie e nei passi che mi portavano verso casa. E poi l'ho incontrata di nuovo altre volte, per altre strade londinesi, nei canali sotterranei del Tubo, nel fresco che solo l'aria condizionata dell'Eurostar sa creare anche in pieno inverno. 
Mi ha fatto pensare a te, all'amore che cerchi di darmi. Nonostante le difficoltà, nonostante il non sapere come comportarsi, nonostante il manuale dell'amore che non esiste. Ho pensato anche ad altri amori dati o non dati, cercati e svaniti, cercati e trovati. Ho pensato alla magia del cercarsi, trovarsi e amarsi. Dell'accettarsi quotidianamente. Momento per momento, secondo dopo secondo. 
E ho canticchiato a fior di labbra: 
Give me shelter, or show me heart
Come on love, come on love.
Watch me fall apart, watch me fall apart.

mercoledì 6 maggio 2015

Laisse tomber les filles

Ho avuto un momento di nostalgia. Nostalgia dei brutti tempi. Di quelli in cui tu non eri ancora nella mia vita ed io ero un po' persa. I tempi dell'insonnia. Del dormi dove e come puoi. Del corri, scappa, insomma fai qualcosa. 
E' stato un caso. Ti ho scritto non per scriverti. Ma per dirti qualcosa. Per comunicarti qualcosa. Noi non ci sentiamo mai da quando sei partito. Quando sei tornato a Londra per qualche giorno, ci siamo a malapena intravisti. Eppure sei stato importante. Diciamo che in quel periodo di confusione, tu sei stato un punto fermo. Con le tue mani perfette. Il tuo sorriso. Il tuo sguardo che mi diceva "te la conti bene, tu". 
Poi c'é stata la partenza. La decisione presa di testa. Frettolosa, dicevo io. Ti dicevo "aspetta, guardati intorno". Tu hai deciso, comprato un biglietto solo andata, preparato un pacco grosso come la tua stanza e sei andato. Cosí. Di botto. 
Mi ricordo che abbiamo sviluppato un'insonnia comune nel tuo ultimo mese a Londra. Mi ricordo di noi due nella cucina bianca alle 5 del mattino. Con i pensieri. Con le mani nei capelli (sempre perfetti i tuoi, eh?). Con poche parole. Come al solito. Tanto per certe cose basta uno sguardo. Questo lo dicevi anche tu. 
Dopo la tua partenza, c'é stato il vuoto. Il silenzio. Io ero sempre persa, ma non era piú lo stesso. Certi momenti non si possono rivivere. Quello state of mind era partito con te. Ma prima di partire mi hai lasciato qualcosa. Mi hai avvertito. Mi hai detto fai attenzione a te. E nel tuo francese piú che stentato mi hai canticchiato questa canzone. Laisse tomber les filles, laisse tomber, un jour c'est toi qu'on laissera, mi hai detto. Se non fai attenzione, c'est toi qu'on laissera. 
Ecco, ieri ti avrei voluto dire questo. Che ho imparato la lezione. Anche grazie a te. 
Tutto serve nella vita. Questo lo dicevi anche tu. 

martedì 5 maggio 2015

Beograd o il lamento continuo

Bisogna dire che mi sono lamentata tanto. Ma mi chiedo se fosse solo per la città. Forse era un misto di sensazioni. Di ormoni anche. Perché noi siamo basicamente flussi di ormoni. Poi c'era qualcos'altro. C'erano ricordi scomodi di sogni mai realizzati e consapevolmente irrealizzabili. In parte miei, in parte della storia.
Ho visto una città strana. A tratti simile a tante altre città dell'Est. Con addosso la stessa solita malinconia. Quella che forse il sogno dell'utopia comunista ha lasciato sulla pelle di tutte queste città. Una città che con arte sa mescolare edifici di gloriosi passati con le macerie di pochissimi altri edifici che le bombe hanno intaccato e che sono rimasti lí, per modo di dire in piedi, a ricordare che il passato non é mai troppo tale, e sui quali ci si continua nonostante tutto a chiedere "perché?" tutto questo sia potuto succedere, senza riuscire a trovare risposta. 
Ho cercato il bello in quella città. L'ho trovato in alcune piccole cose. Nei nostri discorsi. In alcuni uomini alti e forti. Nella macerie e l'odore unico che le macerie o il trascurato mettono a disposizione. Sinceramente, é stata dura trovare il bello. Trovare quello che io considero bello. Ma c'é stato altro.
Ci sono stati i pensieri, le considerazioni. Mie personali sulla storia. Mie personali su me stessa. E quelle nostre, parte della nostra amicizia. Quel continuo scandagliare la nostra vita attraverso le nostre chiacchere e racconti. Come ad aiutare quella ricerca continua della veritá, del perché. Anche noi ci chiediamo perché ci succeda tutto questo e anche noi troviamo risposte parziali che ci fanno andare avanti. Ma andiamo avanti e questo é quello che conta. Sí, andiamo oltre.
Sono stata contenta di tornare. Non di lasciare te, si intenda. Ma sono stata contenta di ritornare alle mie sicurezze. Senza macerie. Senza odore di distruzione. Di sbagli umani. Di morti ingiuste e di sacrifici non richiesti. Sono stata addirittura contenta di ritornare alla mia normalità. Al mio English tea. A mes casseroles.  Col solito salmone, che sembra essere l'unico cibo che io riesco a mangiare in questo paese che mi ha reso sorprendentemente vegetariana (e solo in loco).
Mi restano sicuramente bei ricordi. Come sempre delle nostre chiaccherate. Anche della tua pazienza ai miei lamenti. Sicuramente delle risate e di me regina del fashion, segno che sono proprio messi male questi poverini in termini di ultime tendenze della moda. Ma soprattutto mi resta una sensazione strana. Sfumata. Come l'ultima foto che ho fatto prima di andare via. Cosí. Blurred, dicono gli inglesi. 
 

martedì 14 aprile 2015

E se tornasse?

Cosi mi hai scritto. 
E io ho risposto. Non tornerà. Mai. Non tornerà perché non ce lo vedo a tornare e non tornerà perché io non lo voglio far tornare. 
E' bravo peró a riapparire ogni tanto. In modo strategico. A volte cercato, voluto da me. A volte per caso, come quando a Nantes mi sono trovata davanti ad un negozio chiamato Obsessions Compulsives de Cuisine e non ho potuto non pensare a lui. Una volta, voluto da lui. 
Tre mesi di storia, tre mesi archiviati. L'unica cosa che mi ricordo, é che profumava. sai com'é, chi c'era stato prima di lui andava messo in lavatrice a forza ogni volta che tornava a casa. Con questi precedenti, tutti profumano. E lui mi ha colpito anche per questo. 
Tre mesi di storia ormai quasi due anni fa, poi il nulla. Un po' voluto da me, all'inizio, poi ho l'impressione da lui.
Ma quello che mi lascia bouche bée come dicono loro, e in questo loro c'é anche lui, é che non abbiamo mai chiarito. Mai. Non ho mai capito il perché le cose sono andate come sono andate. 
Poi, gli eventi, forse tra i piú importanti della mia vita, hanno messo a tacere questa mia ricerca di spiegazioni. 
Magari un giorno, capiro'. Ma dubito. Dubito soprattutto che avro' voglia di sapere. 
Ci sono priorità nella vita. E cambiano. Non poco.
 

venerdì 27 marzo 2015

Sei più forte di quanto pensi

Si, lo sei. Si, lo sono. Te l'ho detto io. Perché tu eri caduta troppo in basso e neanche io riuscivo ad aiutarti. 
E allora ho scritto quella frase. Perché l'avevo vissuta sulla mia pelle. Nel momento piú triste della mia vita. Dei miei 34 anni di vita. 
Quando mi sono tirata su da quella che io definirei una tavola dura, svuotata, e già in quel dopo che mi faceva cosí tanto paura.
In quel vuoto cosí grande tanto quanto quel poco pieno che c'era prima. In quel momento, con la testa che mi girava, e due persone a sostenermi, mi sono detta questa frase: sono piú forte di quanto penso. 
Secondo me, me l'hai sussurrata tu. Mentre svolazzavi verso altro, senza mai allontanarti troppo da me. 
Io nella morte ho trovato la vita. 
Una nuova vita. Piena, enfin, di certezze. 
E se questo non é un inno alla vita, cosa lo é? 

lunedì 2 marzo 2015

Andiamo al mare


Mai stata peggio. Eppure di tonsilliti ne ho fatte. Ma stavolta, a momenti mi si portava, come diciamo noi. Poi anche lui scopre di non stare benissimo, di avere bisogno di pace, di mare, di sole. 
Ancora non perfettamente in forma, decidiamo comunque di andare via per una domenica di sole elsewere e finiamo lí dove tanti anni fa ho iniziato a studiare inglese: Eastbourne.
Sinceramente, la cittá é sempre la stessa. In 17 anni, nessun miglioramento. Sempre uguale, a parte l'evidente insabbiamento del lungomare e il pier che cade a pezzi. 
E' stata una giornata di sole. E' stata una giornata fredda, ma calda allo stesso tempo. Si, perché il sole sulle nostre spalle batteva forte. Una giornata di scoperte, quando mi sono resa conto che la celebre Beachy Head é in realtà vicinissima al centro di eastbourne (e io me la ricordavo chilometri e chilometri da lí).
Una giornata cosí. Da andare al mare. 

lunedì 16 febbraio 2015

50 donne e i soldi

Ieri si camminava per Trafalgar, io e te. E c'era una protesta, ancora una volta. Noi pensavamo fosse per quanto successo a Copenhaguen (eravamo lí un po' piú di un mese fa con la scritta "Je suis Charlie" addosso). A guardar bene, ci siamo resi conto che non era per quello, ma per salvare la Grecia. 
A pranzo avevamo parlato di conti in banca. E di un possibile conto in banca comune. Cosa che genera in te la ricerca del miglior tasso di interesse. In me il disinteresse. Ci serve per pagare le spese comuni, non altro. Io mi sono un po' irritata a pensare al potere dei soldi. Irritazione aumentata ancora di piú di fronte a quelle persone che si riuniscono per protestare contro la Grecia, la Merkel e le banche. 
E io nel camminare, aggiungo "dopo una lunga riflessione, la crisi, per come la penso io, l'hanno creata gli stati e le banche. Perché ora devono pagare i cittadini?". Tu rispondi, io quasi non sento, un po' per il rumore, un po' per scelta di non sentire. La mia era una dichiarazione. Non un tentativo di parlare e lanciare un dibattito. 
Poi mi arriva il messaggio di chi compiva gli anni ieri. Che mi dice che il suo sogno sarebbe di avere 50 donne e tanti soldi. E io penso "Dio santo, grazie che me ne hai liberato". Anzi se ti avessi avuto lí davanti, ti avrei baciato i piedi in forma di riconoscenza. Cosa avremmo avuto da dirci noi, sulla base di quanto scrivi, se mai fossimo rimasti io+te? Niente. Assolutamente niente. 
Ecco, io non voglio un uomo che voglia 50 donne. Io non voglio un uomo che voglia i soldi. Quelli, se li avremo, sará perché ce li siamo guadagnati col nostro lavoro. L'amore, poi, si conquista con altro. Con un lavoro, da certosino, quotidiano. 
Allora, no alle 50 donne. No ai soldi solo per averli. 
Andiamo all'essenziale, please.

giovedì 12 febbraio 2015

Il perché che non si trova

Spesso mi chiedo il perché. Perché ci leghiamo cosí tanto. 
Io so perché l'ho fatto. Ero disperata. Alla ricerca di una uscita di sicurezza, verso la salvezza.
Io mi sono legata a storie senza futuro. A persone che erano puri vuoti a perdere. 
Mi sentivo sola. Mi sentivo persa. Sentivo che non ci sarebbe stato futuro senza di loro.
E guarda caso, sono sempre sopravvisuta. 
Una volta una mia amica mi ha detto: ma perché ti attacchi cosí tanto a qualcuno che si é preso da te tanto e ti ha dato cosí poco?
Questa era la chiave di volta. Lí ho capito. 
Ma la strada verso la veritá é lunga e tortuosa. Come quella verso il benessere.

giovedì 5 febbraio 2015

Una sepoltura, enfin

Ieri sera, in un certo senso, ti abbiamo dato una sepoltura. Cosa che non potevamo fare altrimenti. 
Te l'abbiamo data con una transazione bancaria.
Con cieli azzurrissimi da scoprire.
Con vallate di natura quasi incontaminata da attraversare.
Con nuovi orizzonti da cui farsi meravigliare. 
Te l'abbiamo data come te l'avevo promesso. Perché questo sacrificio non venisse sprecato. Mai. 
Non riuscivo a dormire ieri sera dall'agitazione. Forse dalla gioia. Era un po' come riaverti qui. Era un po' come abbracciarti. Come faró sicuramente un giorno.
Ne sono sicura. Me lo ripeti tutte le volte che ti penso. E ti vedo riflesso nel blu del cielo inglese.

lunedì 2 febbraio 2015

Mio fratello si sposa

Stavo avendo una difficile conversazione. Non era un momento facile. Lui era seduto sul divano al computer, io parlavo al telefono. Poi lui ha gioito. L'ho visto sussultare sul divano. Forse per la sorpresa, forse, ho sperato io, per la gioia. Francesca, mio fratello si sposa. Io mi sono alzata in piedi, ho chiuso la conversazione annunciando a chi era dall'altra parte del telefono "scusa, il fratello si sposa, devo andare". 
Poi, nel giro di pochi secondi, mi sono trovata dentro una chimata skype, con due facce conosciute, ma ancora non cosí familiari. E lí ho sentito il crollo. Ho sentito le lacrime scendere. Ho trattenuto il piú possibile, ma appena abbiamo attaccato sono scoppiata. 
Ho pianto per la tensione che avevo accumulato in quella telefonata. Ho pianto per l'ennesima ingiustiza. Ho pianto di gioia, per la consacrazione dell'amore. Perché quei due visi li ho visti pieni di gioia. Di sorpresa. Di amore.
Ho pianto per il tuo cuore puro, sincero, dolce, mentre mi annunciava la notizia. Quella della consacrazione dell'amore. Again.

lunedì 12 gennaio 2015

Je suis Charlie. On est tous Charlie.

Siamo tornati su quella stessa piazza in silenzio, con le penne in mano. Penne rivolte al cielo. Silenzio negli occhi. Nel cuore. Il tricolore francese svolazzava ovunque.
Non ci sono state parole. Solo costernazione. 
Oggi come ieri, je suis Charlie. 
E non voglio sentire altro. E' stato solo orrore. E' stata solo violenza. 
Lasciamocelo alle spalle per la pace. Mais moi je reste Charlie.

giovedì 8 gennaio 2015

Je suis Charlie

Quando é successo, io non ho capito. Non ne avevo capito l'ampleur, come dicono i francesi. Conoscevo Charlie Hebdo. Come non si potrebbe. 
Poi, pian piano ho realizzato. Ho realizzato a Trafalgar Square, quando ho raggiunto la folla silenziosa. A Trafalgar Square. Tutti in silenzio, attoniti. Qualcuno cantava la Marsigliese. Altri brandivano penne. Noi avevamo un foglio con scritto "Je suis Charlie". Mi ha ricordato la sensazione che ho avuto dopo l'attentato a Nassyria. 19 soldati italiani uccisi. Qui 12 giornalisti. Il perché non c'é neanche da chiederselo. 
Ieri sera ti ho visto teso per la prima volta. Attonito. Irritato. Mi hai detto "non mi capacito". Io neanche. E mentre non riuscivamo a dormire parlavamo. Io ti chiedevo come si possa fare. Come si possa anche solo pensare di fare una cosa del genere. Cosa quelle persone hanno provato mentre fuggivano dopo quella barbaria. Cosa hanno provato mentre ammazzavano barbaramente 12 persone, chiamando alcune di loro per nome? 
Poi ho pensato a questo mondo. Al futuro che daró ai miei figli, se mai ne avró. E stamani, ancora attoniti, legati al filo di voce della radio francese, te l'ho chiesto di nuovo: "Quel future donnerons-nous à nos enfants, si nous en aurons?". Tu hai risposto con un sospiro. 
Charlie Hebdo c'est une histoire triste. C'est la stupeur devant quelque chose qui ne parait pas possible. C'est l'humanité en révolte. Devant une tuerie sans sens. 
Je suis Charlie, lo ripeto. Ma ieri, oggi, domani on est TOUS Charlie.