mercoledì 20 maggio 2015

Io e il Bian Coniglio (se poi si chiama cosí)

Non ho proprio apprezzato tutto. Non me la sono proprio goduta, come si direbbe. 
Ma ci sono state degli aspetti che mi hanno rapito, preso il cuore.
Prima di tutto l'odore di campagna. Lo stesso odore forte che ritrovo a casa. Quando realmente pensi che lí non esiste nessun Tubo, nessuna corsa affaticata stile il coniglio di Alice nel Paese delle Meraviglie. Ma ti chiedi cosa mettano come concime e cosa poi finisce nel nostro stomaco, sotto forma di alimenti. 
Poi mi sono piaciute le cose di sempre. Quelle che cerco per sentirmi bene. Il buon cibo, il caldo, il cielo blu.
Mi sei comunque mancato tu, che ormai fai parte di me. E' sempre piú difficile pensarmi staccata da te. Come se fossimo una cosa sola. Un binomio che fa tutto insieme. Alcuni mi dicono "ma che noia", io invece lo trovo una regola di vita. 
Poi ci sono stata io. Col mio mondo fantastico nella testa. Completamente diverso dalla realtà, sia chiaro. Io che a volte vedo troppo dove il troppo non c'é ed a volte beatamente ignoro quel troppo. Ho capito solo che non possiamo piacere a tutti e tutti non ci possono piacere. Non l'ho capito ora, ma me lo sono ripetuto. Ma sono arrivata ancora una volta a questa conclusione. 
Sono tornata stanca. Mi sono addormentata ovunque per due sere. Perché non ho staccato il cervello, anzi. No, ha lavorato tutto il tempo. E stranamente per una volta non ero io a correre come il Bian Coniglio, ma lui. Il mio cervello. E annotava, annotava tutto. Per poi analizzarlo. 
Alle conclusioni peró non ci sono ancora giunta. 

venerdì 15 maggio 2015

I mocassini: parte finale

Un po' di tempo fa, neanche poi cosí tanto tempo fa, ho preso una sbandata, parzialmente corrisposta, per un uomo. Mi piaceva tanto. Sapeva di pulito e io venivo da una storia che di tutto sapeva eccetto di detersivo dei panni. Era un piccolo uomo. Mignon, insomma. Basso, ma non era fatto male. Francese, come piacciono a me. Con un nome che io darei ai miei figli (con un suono cattolico che si intonava perfettamente con le mie reminescenze cattoliche di infanzia e gioventú). 
Ma soprattutto, quest'uomo portava (e immagino lo faccia tuttora) i mocassini ai suoi piedi. 
Ecco, a me i mocassini non sono mai piaciuti. Ai miei piedi li trovavo scarpe da vecchia. Figuriamoci ai piedi di un uomo. Del mio uomo. Ma tale era lo stordimento amoroso che ai suoi piedi mi sembravano splendidi. Eleganti. Affascinanti. A momenti attraenti. 
L'uomo mignon con i mocassini ai piedi mi ha scaricato dopo poco, con storie poco credibili sulla sua incapacità di innamorarsi di qualsiasi donna. Io sono entrata in un tubo nero di tristezza, ma fortunatamente l'uomo non mignon con le scarpe da ginnastica mi é venuto a cercare e mi ha portato all'aperto. 
Ma mi é rimasta questa cosa dei mocassini. Per un po' di tempo, appena vedevo un uomo con i mocassini ai piedi fuggivo scandalizzata. Li trovavo brutti, poco virili, addirittura segno di codardia. Poi ho iniziato a riderci su, sempre pero' stando alla larga da chi li indossava. 
Quest'anno a Londra, la primavera é la stagione dei mocassini. Sono ovunque. In tutte le vetrine e ai piedi di parecchi uomini che incontro. E la reazione, anche se piú moderata, rimane sempre la stessa. Di fuggire, di girare la testa.
Ma la parte migliore é passare davanti alle vetrine, guardarli e pensare che l'uomo mignon se ne sará sicuramente comprato altre paia. Altri colori. Insomma, altri modelli. Ma io spero per lui che qualcosa sia cambiato per lui. Che qulache luce si sia accesa nel suo cervello. Per il suo bene, molto piú che per quello dei suoi piedi.
 

giovedì 7 maggio 2015

Only love

E' una canzone dolce. Delicatissima. Che ripete sempre le stesse frasi. Con una voce sussurrata, a tratti timidamente accennata. L'ho ascoltata per caso. Nelle cuffie e nei passi che mi portavano verso casa. E poi l'ho incontrata di nuovo altre volte, per altre strade londinesi, nei canali sotterranei del Tubo, nel fresco che solo l'aria condizionata dell'Eurostar sa creare anche in pieno inverno. 
Mi ha fatto pensare a te, all'amore che cerchi di darmi. Nonostante le difficoltà, nonostante il non sapere come comportarsi, nonostante il manuale dell'amore che non esiste. Ho pensato anche ad altri amori dati o non dati, cercati e svaniti, cercati e trovati. Ho pensato alla magia del cercarsi, trovarsi e amarsi. Dell'accettarsi quotidianamente. Momento per momento, secondo dopo secondo. 
E ho canticchiato a fior di labbra: 
Give me shelter, or show me heart
Come on love, come on love.
Watch me fall apart, watch me fall apart.

mercoledì 6 maggio 2015

Laisse tomber les filles

Ho avuto un momento di nostalgia. Nostalgia dei brutti tempi. Di quelli in cui tu non eri ancora nella mia vita ed io ero un po' persa. I tempi dell'insonnia. Del dormi dove e come puoi. Del corri, scappa, insomma fai qualcosa. 
E' stato un caso. Ti ho scritto non per scriverti. Ma per dirti qualcosa. Per comunicarti qualcosa. Noi non ci sentiamo mai da quando sei partito. Quando sei tornato a Londra per qualche giorno, ci siamo a malapena intravisti. Eppure sei stato importante. Diciamo che in quel periodo di confusione, tu sei stato un punto fermo. Con le tue mani perfette. Il tuo sorriso. Il tuo sguardo che mi diceva "te la conti bene, tu". 
Poi c'é stata la partenza. La decisione presa di testa. Frettolosa, dicevo io. Ti dicevo "aspetta, guardati intorno". Tu hai deciso, comprato un biglietto solo andata, preparato un pacco grosso come la tua stanza e sei andato. Cosí. Di botto. 
Mi ricordo che abbiamo sviluppato un'insonnia comune nel tuo ultimo mese a Londra. Mi ricordo di noi due nella cucina bianca alle 5 del mattino. Con i pensieri. Con le mani nei capelli (sempre perfetti i tuoi, eh?). Con poche parole. Come al solito. Tanto per certe cose basta uno sguardo. Questo lo dicevi anche tu. 
Dopo la tua partenza, c'é stato il vuoto. Il silenzio. Io ero sempre persa, ma non era piú lo stesso. Certi momenti non si possono rivivere. Quello state of mind era partito con te. Ma prima di partire mi hai lasciato qualcosa. Mi hai avvertito. Mi hai detto fai attenzione a te. E nel tuo francese piú che stentato mi hai canticchiato questa canzone. Laisse tomber les filles, laisse tomber, un jour c'est toi qu'on laissera, mi hai detto. Se non fai attenzione, c'est toi qu'on laissera. 
Ecco, ieri ti avrei voluto dire questo. Che ho imparato la lezione. Anche grazie a te. 
Tutto serve nella vita. Questo lo dicevi anche tu. 

martedì 5 maggio 2015

Beograd o il lamento continuo

Bisogna dire che mi sono lamentata tanto. Ma mi chiedo se fosse solo per la città. Forse era un misto di sensazioni. Di ormoni anche. Perché noi siamo basicamente flussi di ormoni. Poi c'era qualcos'altro. C'erano ricordi scomodi di sogni mai realizzati e consapevolmente irrealizzabili. In parte miei, in parte della storia.
Ho visto una città strana. A tratti simile a tante altre città dell'Est. Con addosso la stessa solita malinconia. Quella che forse il sogno dell'utopia comunista ha lasciato sulla pelle di tutte queste città. Una città che con arte sa mescolare edifici di gloriosi passati con le macerie di pochissimi altri edifici che le bombe hanno intaccato e che sono rimasti lí, per modo di dire in piedi, a ricordare che il passato non é mai troppo tale, e sui quali ci si continua nonostante tutto a chiedere "perché?" tutto questo sia potuto succedere, senza riuscire a trovare risposta. 
Ho cercato il bello in quella città. L'ho trovato in alcune piccole cose. Nei nostri discorsi. In alcuni uomini alti e forti. Nella macerie e l'odore unico che le macerie o il trascurato mettono a disposizione. Sinceramente, é stata dura trovare il bello. Trovare quello che io considero bello. Ma c'é stato altro.
Ci sono stati i pensieri, le considerazioni. Mie personali sulla storia. Mie personali su me stessa. E quelle nostre, parte della nostra amicizia. Quel continuo scandagliare la nostra vita attraverso le nostre chiacchere e racconti. Come ad aiutare quella ricerca continua della veritá, del perché. Anche noi ci chiediamo perché ci succeda tutto questo e anche noi troviamo risposte parziali che ci fanno andare avanti. Ma andiamo avanti e questo é quello che conta. Sí, andiamo oltre.
Sono stata contenta di tornare. Non di lasciare te, si intenda. Ma sono stata contenta di ritornare alle mie sicurezze. Senza macerie. Senza odore di distruzione. Di sbagli umani. Di morti ingiuste e di sacrifici non richiesti. Sono stata addirittura contenta di ritornare alla mia normalità. Al mio English tea. A mes casseroles.  Col solito salmone, che sembra essere l'unico cibo che io riesco a mangiare in questo paese che mi ha reso sorprendentemente vegetariana (e solo in loco).
Mi restano sicuramente bei ricordi. Come sempre delle nostre chiaccherate. Anche della tua pazienza ai miei lamenti. Sicuramente delle risate e di me regina del fashion, segno che sono proprio messi male questi poverini in termini di ultime tendenze della moda. Ma soprattutto mi resta una sensazione strana. Sfumata. Come l'ultima foto che ho fatto prima di andare via. Cosí. Blurred, dicono gli inglesi.