martedì 30 aprile 2013

Tempo per vivere. Non per sopravvivere.

Ho trovato la porta aperta, come se qualcuno fosse entrato a rubare. L'ho preso come un segno, io, fatalista. Ti ho trovato seduto in cucina. Perso. Si, ho visto lo sguardo e ho visto le mani fra i capelli. Fra quei capelli sempre perfetti. Ti ho visto venirmi incontro ed abbracciarmi, quasi per trovare un attimo di sollievo e un appoggio. Quello che mi hai detto non mi é piaciuto. Avrei preferito altro. Ma ho capito. Come se la vita andasse con scadenze, ti ho detto "ti do' 5 giorni di tempo, di piú non posso". Si vive anche in un'altra casa, in un altro paese, con altre persone accanto. La vita va avanti, con chi ti sta accanto e con chi é sempre assente. Con chi non ti vuole stare accanto e con chi non puó starti accanto. Porte, si, una marea di porte che si aprono e si chiudono. Alcune che fanno male, che ti colpiscono in pieno viso e ti lasciano una cicatrice profonda. Altre che ti sollevano da pesi che ti porti dietro, per sensi di colpa inspiegabili e pesantezza passata e futura.
Ho passato giorni di sole. Ho passato giorni di chiacchere prima di tornare. Ho passato giorni di silenzio con te, pesanti. Ho passato giorni con l'amica, leggeri e spensierati. Ho passato giorni nel mio paese. Ma non era il mio paese. Sono scesa dicendo "l'Italia é una", proclamandolo ad alta voce, brandendolo come se brandessi il tricolore nelle mie mani. Sono ripartita triste, malinconica per aver constatato che non é cosí. Non lo é. No. Purtroppo.
Sono tornata e ho scritto un'e-mail. Per informare. Non per chiedere. Solo per dire: ecco, io ho deciso che se é cosí, io vado. Ho sentito le lacrime agli occhi. Ho sentito il cuore spezzarsi, ancora. Non c'é niente di certo, ma sarebbe la prima volta che lascerei perché mi sento sconfitta. Sono due anni che combatto. Contro i mulini a vento. Sono due anni che sono stufa. Sono due anni che vegeto, non vivo. Sopravvivo, lo dico sempre. Penso sia troppo presto per sopravvivere. Penso non ci sia mai tempo per sopravvivere. C'é tempo solo per vivere. Anche se significa andare lontano e perdersi (solo per un po' forse).

giovedì 25 aprile 2013

London skies

Non c'era la musica. Non faceva nemmeno proprio caldo. C'era la solita folla londinese. Quella che ti fa pensare "ma perché non se ne stanno tutti a casa?". C'era l'odore del Tamigi. Quello che tu conosci molto bene. Quello delle passeggiate notturne. C'era il tuo amico che ti raccontava, che ti stringeva. C'era un profumo di cucina. Si, di cucine diverse. Di cibo indiano che si mescola con la pizza italiana e le crepes francesi. E tu avevi fame, una fame atavica. Lo ascoltavi il tuo amico. E guardavi i bambini che a piedi scalzi giocavano sulle sponde del Tamigi. Rabbrividivi. Ma poi lanciavi uno aguardo a Saint Paul. E ti veniva meno il fiato, come sempre in quel punto. Londra, ti toglie il fiato. Ti stanca. Ti ruba energie e preziose ore di sonno. Ma ti da' cose che nessun'altra città ti ha mai dato. Ti ha insegnato a perdersi nel cielo. Ti ha insegnato a correre per perdonare. Ti ha insegnato a mandare giú qualche boccone amaro. Will you let me romanticize the beaty in our London skies? You know the sunlight always shines under the clouds of London skies. Di questo, ne sono certa.

mercoledì 24 aprile 2013

In vacanza da una vita. Che non é la mia.

Avete presente quando stai per partire in vacanza (vera e pura vacanza, no pensieri, no e-mail di lavoro, no colleghi, no coinquilini che parlano da soli, se potessi no telefono, insomma nessuno) e ti senti strana, stranissima? Si, sono io ora. Sono impaziente. Si. Sono esaurita. Si. Cerco un'uscita di sicurezza, una scappatoia. Si. Negli ultimi giorni la comunicazione fra di noi é tornata allo stile "se posso, evito...di guardarti, di parlarti, di sorriderti". Si. Sono uscita tutte le sere. Sono tornata sempre tardissimo. Si. Ho una valigia da preparare, panni da stirare (a meno che domani non parta in costume da bagno). Si, li ho evitati. Ho fatto lavatrici notturne, stese alle 3 di notte causa mancanza di tempo. Si. Non ho neanche aperto la guida, non ho neanche pensato a cosa portarmi, non ho guardato se poi é proprio vero che farà caldo. Si, non ho avuto tempo. E poi mi sono ubriacata di lunedí sera, per inganno. Si, mi hanno ingannato. Mi hanno fatto credere che fosse lemonade con un retrogusto di pera. Era martini con champagne. E io avevo sete. Si, una grande sete. Mi sono scolata 4 bicchieri in un botto. E poi hai voglia a centrare la serratura della porta, alle 2 di notte, Si, insomma non ho iniziato bene la settimana. Mi é ritornato anche l'odio irrazionale per gli inglesi e l'inglese. Quel poco che mi hai parlato, mi é costato. Si, mi é costato ascoltarti, concentrami per capirti. Ti é tornato l'accento incomprensibile. Si. E poi sti benedetti inglesi. Non li puoi toccare neanche per sbaglio. Si schifano se li sfiori. Si, e poi hanno le cucine nel seminterrato. Dico la cucina. Il posto piú importante della casa. Il "focolare" che riscalda tutta la casa. E cosí mentre vado al lavoro al mattino, li vedo che lavano i piatti davanti alla finestra del seminterrato. Ma. Si, mi ci vuole una vacanza. Si, una vacanza di una vita. Senza inglesi. Senza inglese. Senza telefoni, mail, Tube da prendere al volo e autobus sporchi. 
Respiro. Si. E torno alla corsa della vita. La solita.

lunedì 22 aprile 2013

Io non sono un numero

Ci sono persone per le quali non sei altro che un numero. Una delle amiche. Una fra i colleghi. Una coinquilina come tante altre. Una ragazza con cui uscire. Una ragazza da baciare. Una ragazza come tante. Il punto é che io non voglio essere un numero. Anni fa ho detto di no ad un ragazzo che mi piaceva tanto, perché lui aveva messo una condizione "si, ti bacio, ma non sono pronto a prometterti niente". E io gli ho detto "no, a me non va bene". Mi ricordo perfettamente quando ho pronunciato quella frase, seduta sul suo divano, fra i suoi oggetti africani. Mi ricordo anche di aver aggiunto "io non voglio essere un numero, io sono Francesca". Ecco, io ora mi sento di nuovo un numero nella mia vita. Al lavoro come altrove. Un numero da scrivere su un foglio .doc sul computer. Una con cui al massimo ti scambi il biglietto da visita, tanto non conta nulla. E no, io non sono niente di questo. No, lo ripeto: io sono Francesca. Niente pc, niente .doc. Solo me stessa.   

giovedì 18 aprile 2013

La palestra scomparsa

Per chi non lo sapesse, fra meno di due mesi devo correre una versione molto corta della maratona. L'ho fatto per la lotta contro il cancro al seno, in uno di quei momenti in cui senti che devi fare qualcosa per l'umanità. E cosí ho iniziato un programma fitness tutto mio e sotto pressioni dell'amica sportiva, ho comprato un pacchetto di lezioni molto cheap per la palestra. E cosí, ben intenzionata, ieri sera mi appresto ad andare. L'amica sportiva mi aveva rassicurato "vedrai, é proprio dietro casa tua". Cosí ieri sera, vado a casa in fretta e furia, mi cambio e sono pronta a partire. Primo ostacolo: il coinquilino rompi che mi blocca sulle scale di casa. Inizia i suoi discorsi strampalati, mi attenaglia col suo alito, non mi lascia andare. Ma io iesco a svincolarmi e parto. E inizio a camminare. E camminare. E camminare. E la palestra non si vede. Incontro chi corre per il parco, mentre mi chiedo "ma quanto é grande questo parco che non ne vedo la fine?". Intanto, le lancette dell'orologio avanzano. E io sudo sempre di píú nella mia tenuta sportiva, corredata peró mio cappottino rosso (che cozza decisamente con lo stile sportivo o pseudotale di quello che c'é sotto). L'amica sportiva mi telefona e mi chiede allarmata "ma dove sei finita?". E io, ingenua come pochi, rispondo "sono al ponte, non penso mancherà tanto ad arrivare". Lei esita e la sua esitazione mi fa tremare. Capisco che sono molto lontana e inizia il panico. O meglio, inizio a correre in preda al panico. Si, io corro per il traffico di Londra (o meglio del sud di Londra, perché sono ormai ben lontana dal centro), rischiando di essere stesa dalla macchine e dagli autobus ogni tre secondi, col mio cappottino rosso e le scarpe da ginnastica. Corro per 20 minuti prima di arrivare rossa come un peperone e ansimante davanti alla porta della palestra (che non si apre, tanto per aggiungere un pizzico di sfortuna alla mia rocambolesca avventura). Riesco a introdurmi nell'androne della palestra (ho fatto pietà alla receptionist), ma non riesco neanche a parlare per il fiatone. L'amica sportiva esce dopo 5 minuti e mi guarda: ho le gocce di sudore sulla fronte, la maglietta peace and love (forse non proprio adatta alla palestra, ma quello che conta é il messaggio politico) ha cambiato colore, respiro come una donna in fase di espulsione da parto, non capisco chi sono e da dove vengo per lo sforzo. Lei, la sportiva, a momenti fresca come una rosa, mi guarda, sorride e mi dice (placidamente aggiungo): "non c'é bisogno, Fra, che paghi la palestra. Tu preferisci saltare la lezione e fare esercizio prima". Scoppia la risata generale (anche della receptionist, che non si sa come ha capito l'italiano)!
P.S. Se volete versare contributi per la ricerca contro il cancro al seno, lasciatemi un commento e io risponderó.

mercoledì 17 aprile 2013

Post politico

Le pecore in una certa regione di questo paese hanno freddo. Ho letto e riletto, dicendomi "no, non ho capito". Va bene, non c'era letteralmente scritto questo, ma il succo del problema non é diverso da quanto scritto. Ecco, a me succedono queste cose. Ilari, sí. Divertenti, a momenti. Come vedere la ormai defunta e anche seppellita (oddio, forse sono poco rispettosa) Maggy con un maglioncino pieno di bandiere a fondo blu con dodici stelle: errori di gioventú, penso io o tipica incoerenza femminile (non me ne vogliano le donne lettrici). Per non parlare dell'elezione del Presidente della Repubblica del mio caro paese: si dibatte se il vincitore sarà chi ha completato la raccolta punti esselunga o conad. E tra i candidati, sembra che si vadano a pescare nomi a caso...a momenti potrebbe essere candidata anche la mia gatta (cosí avremmo rispettato le quote rosa). Ecco, lo dovevo scrivere questo post pseudo-politico. Altrimenti, mi restava lí, nel salvadanaio delle idee. In un mondo, tutto mio, ideale, artificiale, Cipro non va in bailout, la crisi non esiste, non siamo piú ossessionati dalla crescita (economica e non), una donna intelligente diventa Presidente della Repubblica, gli euroscettici votano Lib-dem e infine i calzini escono dalla lavatrice in coppia, stretti in un abbraccio a momenti matrimoniale, mentre le mutande non si lidono. No, non si portano proprio le mutande nel mio mondo ideale. L'ho sempre detto: sono cosí scomode! (o forse sto diventando ossessionata!).   

So good right now

Londra non tradisce mai. Ti sa sempre sorprendere. Soprattutto in una serata di primavera, mentre torni a casa per le strade di West Hampstead, col profumo di primavera nel naso, gli occhi rivolti alla luna, perfetta nel cielo nero, con il cuore dove sai tu. Ti gusti ogni momento, assapori il bello di questa città e delle relazioni umane che hai e stai intessendo, giorno dopo giorno. Vorresti bloccare il tempo, vorresti fotografare ogni momento, in modo che resti impresso nella tua memoria, per condividerlo con chi vuoi tu. Ripensi a quella mail, ripensi alle lacrime che ti sono salite agli occhi, di pura gioia. Ripensi a quelle parole, ti sei vista tutte di nuovo insieme a ridere e a scherzare, con i nuovi arrivi li' con te. Ci hai addirittura immaginato lui li' con te. E hai canticchiato, ballando per le strade di Pimlico, quella canzone che dice: But these are the good old days, and I think I'd like to stay, I'd like to stay and again I'd like to stay.
  

martedì 16 aprile 2013

In principio erano le mutande

C'é qualcosa di strano nell'aria. Sono giorni che lo penso. Sarà Maggy che ci ha lasciato, sarà un presidente della repubblica delle banane che sembra essere eletto con i punti dell'esselunga, sarà la quasi primavera (c'mon, questa non é la vera primavera), ma resta che c'é comunque qualcosa di strano.
Ieri sera non ho fatto in tempo a sedermi davanti ad una pizza fumante, che tu candidamente mi hai detto "io ho un figlio di 14 anni". Completamente impreparata alla notizia, ho sfoggiato un sorriso di plastica da paresi facciale, mentre dicevo "ah si, che bello" e cercavo di nascondere lo sconforto o non so neanche io cosa, mentre dentro di me calcolavo freneticamente 38-14 (fortunatamente non é un'operazione difficile per i miei neuroni affaticati). Avrei voluto dire con una punta di sarcasmo "complimenti, certe cose meglio dirle ora che mai!", ma ho agilmente trovato un diversivo, finendo a parlare del G8 (e non si capisce poi il perché io sia andata a parare sul G8, che non interessava poi a nessuno dei due).  
Succede che mi ritrovo a parlare col coinquilino (sempre bello e à croquer) mentre lui piega le sue mutande e mi viene in mente che la mia lavatrice fa sparire i calzini. Entrano in coppia ed escono single. Un destino, insomma, Nel mio appartamento succedono cose strane, e non solo nella lavatrice. Ogni camera ha la sua maledizione. Una contiene sempre un pazzo, una uno che si fa licenziare, una uno che soffre pene d'amore. Meglio non dire chi dorme dove (ma io preferirei essere pazza che perdere il lavoro: e qui ho dato un indizio). Mentre lui piega le sue mutande mi dice: "mi si stanno consumando tutti i boxer" e lí mi offre su un vassoio di argento un'altra riflessione. Si, anche le mie mutande si stanno tutte drammaticamente consumando. E non riesco a capire il perché. L'unica cosa che inizio a pensare é che non me le sfili abbastanza. E con questa chiudo con le cose strane.

domenica 14 aprile 2013

Intimacy da inizio primavera

Una cucina bianca, la solita (anche se per lo sporco tende al beige). La musica che risuona a salutare una giornata di primavera, la prima. Un tramonto da sbirciare dalla finestra, mentre lavo le verdure. Gli ingredienti di una ricetta di casa sul piano di lavoro, sparsi ordinatamente. Tagliare, mescolare, assaporare gli odori, assaggiare i desideri, gustare i sogni, farciti del presente. Metterti il piatto fumante davanti e mangiare con te, in un silenzio interrotto solo dagli sguardi e dai sorrisi. E pensare di stare bene, benissimo.

Pensiero veloce da fine settimana

L'infelicità é una pillola che volentariamente ingorgitiamo (o forse dovrei dire ingorgito). Nessuno ci costringe, siamo noi, deliberatamente, che la mandiamo giù. Chi con una birra, chi con una diet coke, chi con un bicchiere di latte. Ecco. Io non la voglio mandare giù. No, ne faccio a meno. Anche se resta il fatto che é estremamente attraente e colorata...e mi piace, mi piace tanto succhiarla lentamente e sentirla sciogliere nella mia bocca. 

venerdì 12 aprile 2013

L'essenziale

Per scrivere bisogna avere la testa. E io in questa settimana l'ho persa. Non so dove fosse, forse rimaneva tutto il santo giorno al lavoro, delicatamente appoggiata sulla scrivania, forse era fra le mie preoccupazioni e non riusciva ad uscirne, forse era persa nel sonno profondo che mi ha colpito ogni sera, forse fra i miei bronci (perché sí, anche io nonostante l'età che avanza, metto il broncio). E' stata una settimana pesante, di corse, di impegni lavorativi e non, di recriminazioni accennate. E' stata la settimana della nostra guerra fredda, mia e tua, del cerchiamo di evitarci che é meglio, della mia fronte che si corruga e dei tuoi occhi che mi evitano, della ricerca della distensione per evitare una tutta nostra guerra nucleare. Non ne siamo fuori, ma ieri ho avuto dei segni. Mentre mi perdevo nella City, come al solito in ritardo, e mentre cercavo questo benedetto bar che non trovavo, ho letto un cartello che diceva "where are you going?". Ho sospirato e sussurato "eh, se lo sapessi". E un tipo mi si é avvicinato e mi ha lasciato un volantino con scritto a caratteri cubitali "l'amore colpisce". Ecco, l'ho presa come una risposta. Io sto andando dove l'amore colpisce. Provo a crederci, provo a dare fiducia, provo a vedere cosa succede.
Concludo che poi dopo questa lunga e profonda riflessione (forse piú profonda che lunga) mi sono ritrovata in un bar con una musica fortissima, in cui tutto costava almeno 15 sterline e in cui all'entrata mi hanno messo al collo una collana hawaiana e guardata come un'aliena quando ho detto "no, grazie, faccio anche senza". E ho perso l'uso di un timpano per il rumore.
Ma diciano che facciamo finta di niente e "torno a te che sei per me l'essenziale".   

venerdì 5 aprile 2013

Mmm mmm mmm

Mmm. La giornata non inizia bene. Mmm. La giornata non procede bene. Mmm. Sono stanca, ho dormito male, ho discusso con te. Per una bugia, presunta o reale. Perché io alla fin fine, non riesco a fidarmi. E dovrei farlo forse. Sí, dovrei. Ma come ci si puó fidare in questa totale incertezza? Come si puó? Non lo so. Poi vado a pranzo con l'amica che mi dice "eh no, con questa mancanza di fiducia non si puó vivere". E io guardo fuori e sospiro. Me lo dice un'inglese fredda come un ghiacciolo, figurati cosa mi direbbe un'italiana. Mi direbbe fuggi. Mi direbbe fai la valigia tu, prima di tutti gli altri. Io sono quella della frase chiudo il gas e scappo via. E bene, mi direbbe l'amica italiana, fallo. L'inglese mi guarda composta e mi dice: "what's? again?". E io faccio un cenno composto con la testa, che dice si, temo che ci risiamo un'altra volta. Peró uffa. Io stavolta ti vorrei dare il beneficio del dubbio, ti vorrei credere. Vorrei pensare che tutto quello che c'é stato é stato vero. Non un calcolo. Non un "stai girata di spalle, cosí io intanto faccio le mie cose sporche senza che tu le veda".  
Ti dó un po' di tempo per provarmi il contrario. Provami che chi si sbaglia é lui, non io con le mie idee preconcette su di te, i tuoi occhi, le tue braccia, le mie speranze. Provami che resterai qui con me, provami che non andrai via anche tu. Ah no, mi sta tornando la sindrome dell'abbandono. Mmm. Non va bene. No. Mmm. Torniamo alla vita quotidiana. I problemi sono fuori. Ma io li sento qui con me. Mmm. Penso penso a quella canzone che mi piace tanto. Si, quella lí: http://www.youtube.com/watch?v=_M8Y4NmgLWQ. Intanto cerco di respirare. E nascondere la realtà. Brutta o bella che sia. Mmm. Mmm.  

Nostalgia

Succede anche a me. 

giovedì 4 aprile 2013

Aprile. Amiche. Amori.

Prendi tre amiche. Due si conoscono bene, l'altra cosí cosí, ma in quel contesto, fa lo stesso. Prendi una pausa pranzo che invece di durare i canonici 60 minuti si moltiplica per tre. Prendi un posto carino, accogliente, caldo, mentre fuori nonostante sia aprile nevica. Prendi tre vite, tutte normali, nessuna normale. Tutte con le solite tracasse. Tutte a ripetere voglio cambiare lavoro. Tutte a lamentarsi degli uomini, anche se poi puntualmente ne abbiamo uno fisico o virtuale vicino. Tutte col cuore impegnato e gli occhi che sognano scene d'amore. Tutte che dicono all'altra "no, quello tu non lo devi sentire piú". Tutte con i propri consigli. Tutte con le proprie verità. 
Torno in ufficio e rimugino. Si rimugino su me, su noi donne, sulle nostre vite. Rimugino sulle situazioni in cui ci andiamo a mettere. Rimugino sui nostri sbagli, sulle nostre sviste. Rimugino su tre vite. Rimugino su quei momenti in cui siamo felicissime per un nonnulla. Come me ora. Felice e contenta. Mentre canticchio quella canzone che dice "I'm yours so now, I don't have to leave anymore". Tiro su gli occhi al cielo e dico "e vivila cosi, c'est la vie". E rido, col naso infilato fra la sciarpa e il cappello. rido e non mi pongo altre domande. 
E meno male che é aprile. Fosse dicembre, ci sarebbero le renne accanto a me!  
 

Tornare a correre

Pensavi di non farcela. pensavi che avresti avuto l'affanno. Invece no. Invece hai corso tutto di un fiato, da porta a porta. Sei tornata a correre su quel ponte con le luce accese. Hai corso guardando il treno passare sull'altro ponte. Hai corso nel silenzio del parco. C'eri solo tu. Faceva freddo, freddissimo. Ma tu avevi il cuore caldo. Si, proprio caldo di sentimenti, di vita, di speranza. Hai sentito l'odore salmastro del Tamigi. Hai pensato che non puoi non correre lí. Quel posto ti fa bene, ti fa sentire protetta, forte, pronta ad affrontare la vita. Hai riso pensando che un anno fa eri a Madrid, sotto il sole caldo. E ora c'era il vento del Nord a rallentare, solo parzialmente, la tua corsa. Hai corso ed hai rimirato la tua Londra, hai pensato che il tempo vola, che sono già passati due anni. Due anni di vita, di corse, di novità. Hai pensato alla strada macinata e a quella che macinerai. E nessuno ti ha fermato, neanche il fiatone. 

mercoledì 3 aprile 2013

La saggezza a 4 anni

La nipote, regina della saggezza a 4 anni, guarda e sentenzia e dice "no, zia, no". Io tiro fuori un'altra foto e lei dice "si, zia, si". Ecco, io ora vorrei quel metro e dodici centimentri di saggezza infantile vicino a me ora. Tirerei fuori una foto, si, una foto della mia vita e le chiederei: allora, cosa vuoi dire? E lei sentenzierebbe. Sarebbe piú facile. Sarei meno in bilico. Questo é il bello degli infanti. Senza troppe frasi, senza tergiversare, ti sbattono la verità davanti. A parole crude. Crudissime. Taglienti. Ma anche vere. Nel loro mondo ci sono bambole, sogni, principesse che stranamente sono amate dai loro principi. Ci sono figli di plastica a cui dare ciucci immaginari e cantare ninna nanne inventate. Ci sono anche silenzi. Come il tuo di fronte a quella foto. Non parli, stai zitta. Riconosci. I tuoi 4 anni ricordano. Ma preferisci il silenzio per non ferire. Giochi la carta dell'innocenza che non ricorda. Anche in questo sei da stimare. Ecco, io quasi quasi ti vengo a prendere e ti porto sempre in giro con me. Cosi mi guidi. Cosi, noi adulti, capiamo che non abbiamo capito proprio niente. Se potessimo, torneremo indietro. E faremo scelte migliori. Faremo le scelte giuste e vere, che non riusciamo a fare ora. Da adulti.

Passeggiare allegramente sul precipizio

La testa come un pallone. Il cuore a palla. Le ondine dei tuoi capelli. La gioia di rivedersi, notata sul tuo viso. Il tuo odore nel mio naso. Svegliarsi alle 5 del mattino e ritrovarsi insieme, perché nessuno dei due dorme piú, con la scusa "mi hai svegliato tu, no sei stata tu ad accendere la luce". Guardare l'alba insieme, sapendo che forse non ci ricapita. La sensazione netta di essere una bomba ad orologeria, un biglietto aereo da prendere senza ritorno, collane di dubbi da indossare quotidianamente sul nostro futuro, insieme o separati. Vivere ogni giorno come fosse l'ultimo, perché nessuno dei due sa quanto resterai nella mia vita. E poi pensare ma chi se ne frega, vivi il momento, anche se ti senti come una mozzarella con la data di scadenza sopra, si, una storia con la data di scadenza, non conosciuta, ma certa. Forse era per questo che oggi non facevo altro che perdere l'equilibrio su mie tacchi di tre centimentri. Perdevo l'equilibrio perché questo sentimento mi spiazza, mi turba, mi fa gioire, ma mi fa una paura nera. E' proprio come camminare su un precipizio con un tacco dodici. Si, per una come me che al massimo porta un tacco tre. Ecco, ci cado subito nel precipizio. Non ne ho dubbi.