giovedì 31 gennaio 2013

Non si fa

Non ci si sveglia alle 7 del mattino per telefonare ad una ragazza e dirgli certe cose. No, non si fa. Non le si dice mi piacerebbe che fossi qui per abbracciarti, per stringerti, per coccolarti. Non si fa soprattutto quando quella ragazza ieri ha vissuto un evento importante per se stessa, una specie di armistizio, una specie di fine della guerra e non te lo puó neanche menzionare. E va bene, potrebbe, ma non vuole. Non si fa perché oggi si sente fragile, fragilissima, di vetro, di cristallo quasi. Sente che se muove troppo il cuore, se lo fa battere, si frantuma. Sono le remore del passato, sono i ricordi, sono le cicatrici che riemergono per scomparire per sempre. Sai cosa ha fatto quella ragazza? é andata a lavorare e ha allontanato i pensieri, li ha poggiati sulla scrivania accanto alle bustine di thé. Ogni tanto li guarda, ogni tanto ripensa alla sua frase. Non ti posso rispondere ora, ti ha risposto. Quella ragazza ripensa che certo che le piacerebbe essere abbracciata, coccolata. Lo sa anche lei che é il tuo punto di riferimento ora. Sai, puó sembrare scema, persa nei suoi silenzi, ma quella ragazza ti ha guardato dentro, e ha visto la confusione, ha visto la lotta fra essere e volere, fra volere e dovere, ha visto la solitudine. Non ti preoccupare, non sei l'unico, la solitudine é la migliore amica di tutti noi, persi in questa grande città, persi in questo mondo. A quella ragazza in questo momento converrebbe accettare le tue braccia. Ma volere e potere non vanno sempre d'accordo. E quella ragazza tristemente lo sa.

mercoledì 30 gennaio 2013

Never say never

"Never say never" dicono gli inglesi e io li maledico sempre un po' anche per questo. "Never say never" oggi é diventato realtà e si é concretizzato sotto il tipico cielo grigio belga, sulle strisce pedonali di Rue de la Loi, fra l'odore di smog e il rumore del motore delle auto ferme al semaforo, mentre io mi affrettavo a raggiungere un amico per pranzo e tu tornavi in ufficio col solito panino in mano. E' stato un attimo, ma é durato tanto. Io ho visto solo i capelli all'inizio, spettinati, la prima cosa che avevo notato di te all'epoca, la prima cosa che mi ha attratto di te. Poi ho visto la mano che prende la sigaretta e se la mette in bocca. Quante volte te l'ho visto fare quel gesto? Quante volte ti sono stata accanto mentre facevi quel gesto? Il mio cuore si é fermato, mentre gli occhi vedevano altro. I miei occhi vedevano lo sguardo corrugato, l'espressione scontenta, infelice, frustrata, quell'espressione di sempre, quella dei giorni neri, quella che ti ho visto sul viso giorno dopo giorno e che presagiva sempre il peggio, quella che ha distrutto il nostro amore. A quel punto i tuoi occhi hanno visto i miei. Sono rimasti colpiti, stupiti. Erano un miraggio i miei occhi e i tuoi dicevano "non é possibile", dicevano "ti ho aspettato tanto", dicevano "sei tornata", dicevano "salvami", dicevano "voglio farti male di nuovo, ancora e ancora". Io ho assaporato il momento, la mia rivincita. Ho visto la scena da fuori, ho visto la mia forza, ho visto la sofferenza che ho provato, ho visto la vita che mi hai rubato, ho visto la mia lotta silenziosa, la mia risalita, le mie ginocchia sbucciate che non fanno più male. Mi sono sentita forte, mi sono sentita grande per la strada percorsa, per essere stata capace di risalire, dopo aver toccato il fondo. Tu sei venuto nella mia direzione, io ho iniziato a scuotere la testa piano e ho sollevato leggermente la mano destra, come per mostrarti un confine da non oltrepassare. E con tono placido, ma sicuro, ti ho detto: "non ti avvicinare, non ti voglio parlare. Lasciami stare". Tu hai abbassato lo sguardo, la sorpresa é svanita sul tuo viso, lasciando il posto solo alla tristezza, allo sconforto, di nuovo alla frustrazione. Io ho continuato dritta, determinata per la mia strada. Ho temuto che mi colpissi alle spalle, come hai già fatto, ho avuto un attimo di paura. Ma non mi sono girata, mi sono ripetuta che ora non mi puoi più toccare, ora sono forte, ora ti colpirei io, ora ti farei male io, ora ti strapperei io una parte della vita. Appena ho girato l'angolo, ho iniziato a tremare, per la gioia, per la forza, per questa cavolo di strada percorsa, per la sofferenza che non mi ha ucciso, per quella che sono diventata. Mi sono sentita un gigante di fronte alla tua piccolezza. Oggi ho ucciso la tua immagine nel mio cuore. Oggi ho ucciso la Francesca debole, che si é fatta trattare male, che si é fatta insultare, oggi ho ucciso la tua vittima, te l'ho strappata dalle mani, me la sono ripresa, per sempre. Oggi ho avuto la conferma della mia libertà, della mia riuscita. Li' sulle strisce pedonali di Rue de la Loi. Oggi non ho maledetto gli inglesi per il loro detto "never say never", ma li ho ringraziati. Perché oggi ho visto quella che sono e mi sono piaciuta, a momenti mi sono congratulata con me stessa, per la mia rinascita, per avere avuto la forza di riprendermi la mia vita. Quella che tu non hai potuto intaccare.      

Le petit déj

Mi hai detto "vieni alle 8 del mattino, ti invito a colazione da me". Io ho esitato, ma tu hai insistito. Cosi' mi sono ritrovata per la Chaussée d'Ixelles quando il sole non era ancora spuntato, con gli occhi chiusi per il sonno. Sono passata Chez Bernard per comprare un pain au chocolat per me, un pain au raisins pour toi. Ho camminato poi per il groviglio di strade che conosco a memoria, le casette colorate di Rue de Viaduc, ho sbirciato fra le tende sempre un po' trasparenti, ho apprezzato che quasi niente fosse cambiato. Ho suonato a quel campanello che conosco bene e tu sei sceso, con la barba che pungeva le mie guance, il tuo profumo di sonno e gli occhi svelti. L'odore della tua casa mi ha accolto, la tua cucina calda e accogliente mi ha avvolto in una coperta di chiacchere e affetto. Era tutto perfetto, era tutto nel tuo stile. La tavola apparecchiata, il succo di frutta, il thé che mi piace tanto, il burro che insisti a propinarmi anche se io non lo mangio, il pane ai cereali che non ho dimenticato. E poi noi, le nostre chiacchere, i tuoi racconti, i tuoi progetti, i miei sogni, le mie disavventure, ma soprattutto l'affetto, si', l'affetto forte che ci lega. Sono rimasta un'ora e mezza. Novanta minuti che sono valsi come una vita. Forse due vite. Li' nella tua cucina, perfetta, pulita, calda. Calda di questa amicizia, se é amicizia, che nonostante c'é, resta, non ci abbandona. Novanta minuti che metto in valigia, per tornare a Londra accompagnata dall'affetto. Quello della mia Bruxelles. 

lunedì 28 gennaio 2013

29 gennaio

Sai perché non ti parlo? perché non ho piú niente da dirti. Perché ho perso le parole. Provo fastidio solo al pensiero di vederti, di incontrarti, di doverti parlare. Mi si chiude lo stomaco solo ad intravederti. E mi da' fastidio, perché vorrei essere di cera, vorrei essere intoccabile, impassibile, e non lo sono. Non ancora. Sai perché sono cosí? perché siamo andati oltre, troppo. Abbiamo voluto giocare con i sentimenti. Abbiamo giocato con i nostri cuori, scusa, ci metto per una volta anche il tuo, anche se é stato assente. Penso che per te sia stato molto bello avere una che ti muore dietro. Una che vive per te. Una disposta a tutto. Una che da' tutto per te. Una che si dispera per te, ma che sotto sotto pensa, se lui é felice, va bene cosí. 
Sono tre giorni che per me é il 29 gennaio. Te lo ricordi? forse era il 30, sai che mi sbaglio sempre. Ma tu sai di cosa parlo. Tu mi hai chiesto scusa, lo so, io le ho accettate le tue scuse. Ma quel cavolo di giorno é lí, é la somma di mesi, di una storia, di quello che abbiamo vissuto. E fa sempre cosí male. 
Ironia della sorte, in questi giorni ho pensato che forse non stai bene, che forse stai soffrendo perché pensi a quello che sarebbe dovuto essere e non é stato. E ho pensato, ancora una volta, che se potessi me lo prenderei io quel dolore. Nonostante tutto, nonostante il mio silenzio, io se potessi ti vorrei vedere felice. Nonostante quel 29 di gennaio. Nonostante tutto, e mi maledico per questo, vorrei che tu non ce l'avessi un tuo 29 gennaio. Ti ricordi, te lo dicevo sempre: ma tu lo sai cos'é l'amour qui se donne à corps perdu? Ecco, é questo. Non ti parlo, perché fa male. Non perché abbia niente da recriminare. Il tempo delle recriminazioni é passato. Ma il dolore, resta.

Una storia d'amore

Cosa ti rimane di una storia d'amore? ricordi di batticuore, di sentimenti che piano piano si fanno spazio nel tuo cuore e nella tua testa, di mani che timidamente si cercano, si sfiorano, primi baci attesi, sperati, cercati, ricordati e narrati. Canzoni ascoltate e a momenti consumate, sogni ripassati nel cervello a ripetizione per tenerli vivi, aerei presi, attesi, sperati, che sembrano viaggiare al rallentatore. Silenzi pesanti, atroci, difficili da sostenere, pieni di grida che frantumano una storia mai decollata, fra aspettative e duro scontro con la realtà. Lividi sulla pelle ed ematomi nel cuore, una valigia da preparare per non tornare, un ultimo bacio imposto, senza lasciarti la scelta, l'ultima, di tirarti indietro. Esitazioni, centinaia di messaggi su cellulari che non si accendono più, mail e cartoline da archiviare. Pezzi sparsi di bugie e psicosi. Uno spazzolino, bianco e rosa, che mi hai dato quella notte che sono rimasta per sbaglio a dormire da te. Per sbaglio, per le troppe lacrime che non smettevano di scendere, per le mie grida, le mie recriminazioni, la tua compassione. E tu che mi dici "ma tu lo spazzolino non lo cambi? guarda che é ora". E io, che non riesco neanche a guardarti, mentre ti rispondo "eh si, lo devo cambiare" e aggiungo mentendo "mi scordo sempre di cambiarlo". Non ti guardo, non posso. Non posso ammetterlo, non posso dirti che quello spazzolino non lo posso buttare. E' l'unica cosa che mi é rimasta di lui. L'unica. Uno spazzolino. Niente di più.   

sabato 26 gennaio 2013

La felicità del weekend

Dormire 10 ore di seguito. Addormentarsi con la luce accesa, mentre sento i rumori di te che ti muovi, leggero, col tuo profumo nel mio naso, rassicurante. Sentire le ossa doloranti rilassarsi, la testa liberarsi dagli euroscettici e iniziare a sognare. Svegliarsi quando albeggia, sentirti russare e ridere mentre mi chiedo come un essere tanto perfetto possa essere cosi' imperfetto nel sonno. Vedere l'alba dal proprio letto, non muoversi, ma restare immobile a godersi il momento, di pure bonheur. Vestirsi in completo silenzio, senza neanche accendere la luce, e andare a correre sul Tamigi, nonostante i lividi che fanno ancora male. Ecco questa é la felicità. Forse durerà solo questo weekend, ma cosa importa, c'é stata, l'ho provata. 

giovedì 24 gennaio 2013

Beautiful girl, stay with me

Ieri sera ho lasciato canguri e koali fuori dalla nostra casa e ho passato una serata casalinga. Tu hai ironizzato sul fatto che non capita mai, sul fatto che ti lascio sempre solo a casa e mi hai chiesto dove fosse finito il mio ultimo date, io ho puntualizzato che non si tratta proprio di un date, ma di qualcos'altro. Cosí ci siamo trovati tutti e due in cucina, a cucinare, allo stesso tempo (con l'immancabile molletta in testa io, i capelli perfettamente scolpiti tu). Tu con la tua pasta tossica, io con le mie quiche della serie mettiamo tutto quello che mi é rimasto in frigo sulla pasta sfoglia e vediamo se funziona. Io a ridere di fronte alle tue battute "no, sai, non ho gli strumenti necessari per cucinare, ecco perché tutto quello che cucino non é buono", io a nascondermi dentro il maglione per non farti vedere che sto arrossendo per l'ennesima volta mentre ti parlo, le battute sui miei calzini a pallini o righine, lo sfiorarsi continuo fra il tavolo, il lavello e i fornelli. Una serata cosi' spensierata, senza pensieri, senza pesantezze, ma col sorriso, di entrambi sulla bocca, perfetta la tua, meno la mia.  
Sai, ho avuto una proposta per andare a vivere con qualcun'altro. Sai, ci ho pensato, brevemente, ma ci ho pensato. Sai, penso che resteró con te, perché mi mancheresti. Si, mi mancherebbero questi momenti, queste briciole di momenti che condividiamo, questo senso di spensieratezza che mi lasci. Gli INXS direbbero: stay with me, beautiful girl. Tu non sei proprio una girl, but stay with me. http://www.youtube.com/watch?v=aH986VE47M8

mercoledì 23 gennaio 2013

Tu quante volte sei morta?

Tu quante volte sei morta? eh, strana domanda questa. Si potrebbe anche girare la frittata e chiedere tu quante volte sei nata. Si, io sono "morta", metaforicamente. Ma sono sempre rinata. Insomma, ho vissuto tante vite. Una notte che non riuscivo a dormire le ho contate, mentre tu respiravi dolcemente accanto a me. Le ho contate al ritmo dei tuoi rumori notturni, nel buio della tua stanza, e ho capito che ne ho vissute almeno sei. Io sono stata sei diverse Francesca, una con dentro un po' di quella precedente, come nel gioco delle matrioske.
Sono stata una bambina a momenti trasparente, chiusa nel suo mondo interiore, che giocava con i tappi di bottiglia che diventavano pietre preziose, con mille paure e insicurezze che mi sono portata dietro per anni, ma anche con alcune certezze, come certi odori rassicuranti, che facevano svanire tutto il brutto e lasciavano solo il bello.
Sono stata un'adolescente estremamente timida, che si nascondeva al mondo, che cercava di scomparire nei maglioni più grandi di tre taglie e dietro i fondi di bottiglia che portava sulla faccia al posto degli occhiali, che preferiva perdersi sul Rocci che uscire e affrontare la vita e i coetanei, ma che aveva dentro di sé un vulcano di sentimenti, idee, sogni, solo parzialmente assopiti.
Sono stata una giovane donna, che é nata sui banchi dell'università, che ha scoperto l'amicizia, l'amore, la vita fra una lezione e un esame, fra una corsa in bicicletta e un treno da prendere, fra un amore che sembrava dovesse essere eterno e una cotta passeggera. Sono stata una giovane donna che credeva di poter cambiare il mondo, cosi' nel suo piccolo, nella sua quotidianeità, cosi' come ne sono tuttora convinta.
Sono stata una donna in fieri, che un giorno ha fatto la valigia, ha preso il coraggio a due mani, ha asciugato le lacrime con la manica del maglione ed ha lasciato tutto e tutti per seguire i propri sogni. Un lavoro per cambiare il mondo, mi ripetevo, nel mio piccolo, insistevo, un ragazzo da raggiungere, da amare per costruire una famiglia, un sogno, tanti sogni da realizzare, tradire, modificare, riadattare.  
Sono stata una donna in fuga, che ha impacchettato una vita in fretta e furia, che ha messo tutto in una stanza di 12 metri quadri ed é scappata via, senza preavviso, da una vita che le era stata rubata, stuprata, vandalizzata. Sono stata una compagna fedele, sono stata una donna che nasconde i lividi perché non vuole credere che quello che lei pensava fosse il suo amore é solo un incubo, sono stata una donna che ha tramato silenziosamente la propria fuga, che ha abbracciato tutte le notti, stretto, il suo aggressore, per tenerlo buono, perché nonostante tutto lo amava e staccarsi da lui é stato difficile, difficilissimo. Non ha perso lui in quella fuga, ha perso una parte di se stessa, delle sue convinzioni, dei suoi sogni. Ha scoperto una nuova Francesca, debole, incapace di reagire, sottomessa. Proprio come non avrebbe mai voluto essere. Proprio quello che aveva sempre disprezzato.
Sono stata una donna adulta che si sente un po' adolescente, che fa pazzie, che esce, si ubriaca, si fuma una sigaretta sul ponte di Chelsea in piena notte, perché non riesce a dormire, colleziona numeri di telefono da non chiamare, pur di non pensare. Ma quella stessa donna si é scoperta giorno dopo giorno, si é analizzata, messa a nudo con se stessa, conosciuta come solo lei puo' conoscersi, a furia di porte in faccia, di momenti di pura ilarià e bonheur, tra cadute e risalite.
Ecco, vuoi sapere quante volte sono morta? Tutte queste volte. O forse nessuna. Non sono mai morta, né rinata. Sono solo cresciuta, maturata. Mi sono rafforzata. Sono diventata una donna che ora nonostante tutto sorride a se stessa, mentre guarda la strada percorsa. In fuga o passeggiando. Quello che conta é averla percorsa.

martedì 22 gennaio 2013

A Londra ci si innamora (spesso e male)

A Londra ci si innamora. Si, e anche spesso. E non succede ovunque, ma ci sono dei posti in cui é più facile che capiti. Quali?
Questi:
- al pub, dove in un modo o nell'altro finisci sempre per parlare (o sbiascicare con qualcuno se hai alzato un po' troppo il gomito) e non sai come quello che la sera prima ti sembrava il tuo destino, il giorno dopo non ti ricordi neanche come si chiami e sei costretta a cercare fra i numeri sul cellulare per ricordarti il suo nome. Naturalmente non lo chiamerai mai (e tantomeno ti chiamerà lui) e cosi' dopo due mesi, disperata alla ricerca di fare spazio nella memoria del cellulare, cancellerai il suo nome e il suo numero e ti resterà solo uno sbiadito ricordo di quell'innamoramento repentino e superficiale.
- alla festa dell'amico di quell'amico che é anche amico del tuo amico. In quelle feste, si é sempre troppi, c'é sempre una densità troppo alta per centimetro quadrato e fa sempre troppo caldo. Cosi' si finisce tutti un po' troppo vicini, non ci si ricorda più quante birre si é bevuto, ci si sfiora facilmente e cosi' parte l'innamoramento facile, anzi facilissimo, con tanto di bacio e scambio di numero. Il finale é sempre lo stesso, come quello dell'innamoramento al pub.
- a casa. Ti innamori del coinquilino bello e giovane, ti parte il batticuore ogni volta che l'incontri, arrossisci ogni volta che gli parli, aspetti ogni volta che esce dalla doccia per capitare per caso davanti alla porta del bagno per vederlo in abiti adamitici e iniziare a parlare delle prossime elezioni nel suo paese (che si svolgeranno fra un anno). Finisce che non ci combini niente, perché é troppo giovane e poi non ti guarda nemmeno. Ma tu non lo ammetti e racconti alle amiche che sei tu a non volerlo, ripetendo la stupida frase "don't shit where you eat, my dear".
- alle riunioni al lavoro. Ti innamori di chi conosci ad una riunione, ad una conferenza, ad un briefing. Interpreti lo scambio di biglietto da visita come futura proposta di matrimonio e ti stupisci che dopo 24 ore dal vostro incontro il tuo "innamorato" non ti abbia ancora fatto recapitare un anello con 30 diamanti (tutti del sangue, si intenda, come quelli del processo di Kimberley). Se il malcapitato ti chiedesse mai un incontro (sempre di lavoro) in bilaterale, tu, tapina come sei, quel giorno ti vesti anche con una scollatura e prima del suo arrivo ti metti il lucidalabbra (non si sa mai, ti ripeti, cieca di fronte alla verità).
- Davanti ad un tramonto a London Bridge, sul Serpentine, su una barca a Cambridge. Ti fai prendere dal momento, non consideri neanche le parole di chi hai davanti, che ti dice fin dal primo momento "io non sono il tuo ragazzo, io non ti amo e non ti amero' mai, io non ti voglio se non per divertirmi un po' con te". Tu, più che tapina, ti reciti altre parole nella testa che suonano "sei la donna della mia vita, quello che mi dai tu non me lo dà nessuna, come ho fatto senza di te tutta la vita?". Il risultato é una marea di frustrazione (tutta tua) e la stessa sorte che é successa a chi hai incontrato al pub (cancelli il numero, che tra parentesi hai imparato a memoria).
Ecco a Londra ci si innamora. Si, ma é difficile, difficilissimo. E' difficilissimo che duri. Che sia quello giusto. A Londra innamorarsi é uno sport, un hobby. Per l'amore vero, forse devi andare altrove. Forse non devi innamorarti. Ma fare innamorare. Gli altri, non te.    

lunedì 21 gennaio 2013

J'attends

Tu non sei il mio ragazzo. Tu non sei il mio amore. Tu non sei quello che dovrebbe farmi battere il cuore. Tu lo fai battere a qualcun'altro. Tu non sei un uomo libero. Eppure, qualcosa passa fra noi. Eppure quando usciamo insieme, io sto cosi' bene che mi dimentico tutto e tutti. Eppure mi piace svegliarmi con i tuoi messaggi al mattino. Eppure mi piace arrivare a casa dopo una serata insieme e trovare la tua chiamata sul cellulare per sapere se sono tornata a casa sana e salva e sentire la tua voce che mi dice: sono stato bene, grazie. Tutto questo sarebbe perfetto, ma c'é un piccolo particolare: tu non sei un uomo libero e forse neanche io nel mio cuore. Cosi' mi ritrovo sul divano col fedele coinquilino, io con la vestaglia e la molletta fra i capelli, lui col pigiama e la mani nei capelli, a dirgli "non riesco a dormire", a sentire lui che mi risponde "neanche io", a sospirare all'unisono, lui per la donna lontana, io per non so neanche cosa. Ecco, finiamo cosi' la serata. A parlare, a ridere per non piangere, ad aspettare, non si sa chi, non si sa cosa. 

King's Cross

King's Cross non é la mia stazione preferita. Per niente. Fa sempre freddo sul binario, anche se nel resto della Tube si puó girare in bikini in pieno inverno. Non ho dei bei ricordi in quella stazione. E' la stazione della tristezza, di tutte le volte che scendo dall'Eurostar e mi sento un po' morire per quello che mi sono lasciata alle spalle. E' la stazione in cui mi sono piegata in due per vomitare e nessuno mi ha aiutato. E' la stazione in cui ti sono venuta a prendere tante volte con uno strano sapore in bocca, ogni volta lo stesso. E' la stazione in cui ti saluto, lí all'incrocio fra due linee. Tu vai a destra, io a sinistra. Tu mi baci, mi sfiori le labbra con le tue. Io mi lascio baciare e ti guardo. Quello sguardo ha detto tutto. Ha detto "non andare", ha detto "perché non sei diverso?", ha detto "scusa, anche io ho una marea di dubbi", ha detto "proviamo a far funzionare questa cosa, anche se temo che non funzionerà mai", ha detto "baciami ancora, prendimi la mano nel buio totale che ci circonda e portami con te". Ma tu vai a destra, io a sinistra. Tu sali sulla Piccadilly, io sulla Victoria. Due vite divise, distinte, lontane. Ecco, ribadisco, King's Cross non mi piace. Non é una bella stazione. Per me, per noi.   

mercoledì 16 gennaio 2013

Mancarsi

L'ho letto in un giorno. In un aeroporto, sotto la neve che non la smetteva di cadere. L'ho letto e ho pensato a te, perché ogni pagina di questo libro parla di me, di te, di noi. Si, perché un noi c'é stato. Forse per poco, forse non per entrambi, ma alla fine qualcosa c'é stato. Difficile da credersi, mi ripeto, ma devo ammettere che é cosi'. E tu mi sei mancato, incredibile, ma vero. Si, te l'ho detto tante volte. Mi sei mancato ogni giorno, ogni ora. Anche se ti ho escluso, anche se ti devo tagliare fuori dalla mia vita. Forse quello che mi é mancato é la tua immagine che io ho costruito nel mio cuore. O cosi' mi ripeto, per andare avanti. Meglio non pensarci. Meglio non mancarsi. Per mancarsi bisogna essere in due. Tu ci sei? Risposta mancata, non pervenuta.
 
 

Hello Kitty a volte colpisce duro

Stavi giocando con le costruzioni, quelle che ti hanno regalato per il tuo compleanno e che stamattina ti ho montato, con te sulle mie ginocchia, per costruire la scuola di Hello Kitty. Eri immersa nei tuoi discorsi, nel tuo mondo, mentre io controllavo sospettosa la mail del lavoro. Mi hai chiamato e guardando fuori mi hai detto: "con tutta questa neve il tuo aereo non parte, zia. E io sono contenta perché resti con me". Poi mi sei corsa incontro e mi hai abbracciato, cosi', di tua spontanea volontà. Mi sono salite le lacrime agli occhi, ti ho abbracciato anche io e ti ho detto "questa scelta mi pesa tanto, mi pesa questa distanza, mi pesa questa lotta che non ha mai fine, mi pesa questo lavoro che pero' é pur sempre un lavoro, mi pesano questi uomini sbagliati che mi circondano, ma ora devo stare li', devo terminare questo contratto e poi si vedrà. Ma tu sei troppo piccola per capire, per farsi appesantire la vita con tutto questo. Vai a giocare, io torno presto, non ti preoccupare". Tu sei tornata verso le costruzioni, col sorriso sulla bocca, io con le lacrime sul viso. Ma quelle che pesano di più non sono quelle sul viso, sai? sono quelle secche, dure, pesanti come marmo, che ho nel mio cuore. Sono quelle del peso della responsabilità delle proprie scelte. Meglio concentrarsi su altro, meglio guardare se il collega ha risposto, meglio chiudere la valigia. Insomma, meglio tornare ad abituarsi alla routine, quella della mia vita. 

venerdì 11 gennaio 2013

Koali e canguri

Ho un amico. Un ex-compagno di università. Mi chiama qualche sera fa e mi chiede di vederci, per un drink, per festeggiare l'anno nuovo. Io tediata non poco dal mio presente accetto con entusiasmo. E usciamo. Ci troviamo a Piccadilly in una sera gelida come poche volte mi é capitato in questo paese. Camminiamo in giro per Soho, rischiando l'assideramento, ci prendiamo un drink e cominciamo a parlare. E parla parla, scopriamo che siamo affetti dalla stessa malattia: il koalismo. Il koalismo é una sindrome che ti fa attaccare ad una persona a cui non gliene frega proprio un bel niente di te e piú lui/lei ti scaccia, piú tu lo/la stritoli forte fra le tue zampette. E non la lasci andare, quando in realtà, non c'é mai proprio stata questa persona nella tua vita come la volevi tu, con conseguenze pesanti sulla tua stabilità psichica. Fra un arancino e un bicchiere di vino, arriviamo alla conclusione che essere koala non conviene. Non fa bene. Ti riduce l'autostima, già bassa, a valori inferiori allo zero. Allora, decidiamo che diventeremo canguri. Non nel senso che ci accolleremo la persona in questione in panza, ma nel senso che salteremo via veloci al primo segno di "non me ne frega niente di te, non ti chiamo, mi servi da dama di compagnia/amichetta per uscire e non stare solo". Muteremo da koala a canguro. Felici e contenti torniamo per le strade di Soho, sorridenti e spensierati e mezzi congelati girovaghiamo euforici.
Ecco, risolto il problema. Da koala a canguro. Anche se io avrei preferito degli animali non australiani. Ma per questa volta, si puo' fare!

giovedì 10 gennaio 2013

No, non lo fare mai piú

Sono giorni di pensieri densi. Di quelli che anche se dormi ti fanno sentire sempre stanca. C'é il tuo cervello che non si ferma mai. Pensa al passato, pensa al futuro. Conta i giorni, quelli che mancano. Ripensa a quanto é successo per cercare di validare e rafforzare le tue barriere. Ti svegli mentre sulle labbra sussurri "no, non lo fare, mai piú". Sei tornata a fare grandi respiri, quasi sospiri, per mandare via i dubbi che stupidamente ti attenagliano. Sei tornata sul ponte di Chelsea in piena notte, a guardare, ammirare, cercare di trovare risposte nel lento scorrere del Tamigi. Sei tornata a svegliarti per prima di mattina, solo per la gioia di essere la prima nella tua cucina buia e fredda a prepararsi un thé caldo, in compagnia dei sogni e dei pensieri. Sai che non stai sbagliando stavolta, stai andando nella giusta direzione. Sai che hai sbagliato in passato e ne paghi ancora le conseguenze, col peso della tua anima. Ogni tanto ti appaiono, si concretizzano nella tua mente. Lí vedi entrambi, con i loro gesti, le loro caratteristiche, i loro tic. Ma ricacci via quell'immagine. E ti ripeti "no, non lo fare piú". Pensa a te stessa, pensa al tuo bene. Ci sei solo tu. Fai l'egoista. E tagli i rami secchi. Sono secchi da sempre.

mercoledì 9 gennaio 2013

Piramo e Tisbe

Piramo é tornato. Tisbe l'ha aspettato per tanti giorni. Ha persino poggiato il suo naso sui suoi panni stesi, per sentirne l'odore. Ha contemplato il suo ripiano quasi vuoto in frigo. Ha lanciato occhiate languide al suo sportello della credenza. Ha sbirciato il suo profilo su un ben conosciuto social network, per essere pronta al suo ritorno. Quando é tornato, lei era in cucina, con la molletta fra i capelli, la vestaglia e senza reggiseno. Si é un po' maledetta per non essersi preparata per lui, ma non ha avuto molto tempo per pensare. Lui le é passato davanti come una folata di vento, mormorando fra le labbra (divine) un ben poco comprensibile "Happy New Year". Ecco, Tisbe ci é rimasta male. Certo non si aspettava un abbraccio, di quelli che Piramo le ha dato ogni tanto a sorpresa, ma sperava in uno scambio di due parole. Cosí é andata a letto nervosa e insoddisfatta. Ha ascoltato un uomo al telefono per due ore, mentre si chiedeva se fosse proprio ció quello che lei si aspettava da un uomo. Poi si é addormentata. E ha dormito malissimo. Ha sognato un drago. Si é svegliata di soprassalto, sperando di sentire Piramo russare. Tutto taceva. E le é venita in mente quella canzone che recita:
Do you believe in love? Yes, I believe in love. I believe it's because I’ve tried and if you know anything 'bout loving anyone, somehow you got to be satisfied.
Dai, Piramo apri gli occhi! Ok, lo so, non sono giovanissima come te. E va bene, neanche bellissima come te. Ma almeno un abbraccio a sorpresa nel nuovo anno, me lo merito. Anzi me ne merito una serie intera. http://www.youtube.com/watch?v=s8oEu16IHNU 

lunedì 7 gennaio 2013

Disons que ça va

Mentre camminavo per venire al lavoro, mi sentivo un peso sul cuore. Una specie di macigno, lí sullo sterno. Il solito, insomma. E la testa ingombra di pensieri. Troppi, uniti ai dubbi. Cercavo di ricordarmi cosa avessi risposto alla tua domanda un po' inaspettata, un po' non voluta, un po' imbarazzante, e non mi veniva niente in mente. Pensavo a te, alle tue lacrime, a te che oggi vai e ti siedi in un ufficio scomodo, a marchander come dicono i francesi la fine di un contratto che incrina un po' tutta la tua vita. Pensavo a te, come sempre, che ti prepari e vai a scuola, a giocare, perché sei ancora piccola e hai diritto ai tuoi sogni e al tuo mondo segreto (che io mi tengo tuttora stretto). Pensavo a chi forse é sotto il sole dei Caraibi, ma che a me non me ne dovrebbe fregare niente di come sta e cosa fa. La collega appena entrata in ufficio mi guarda e mi chiede "ça va?" e io rispondo "disons que ça va". Non ho voglia di parlare. Non ho voglia di lavorare. Vorrei solo tornare fra quelle due braccia. Ma chissà se le rivedró.

venerdì 4 gennaio 2013

Vagabondare nel mio buio

Sono tornata a Londra. E ho ritrovato i miei passi, i miei segni sull'asfalto, i miei odori e qualche paura. Tornare significa tuffarsi nel tubo a King's Cross, sentire l'odore della Victoria, osservare i compagni passeggieri di un treno e di questa vita leggere, giocare col cellulare, mettersi le dita nel naso e quant'altro. Significa uscire dal lavoro e camminare per due ore nel buio dei tuoi luoghi, con l'amica che ti chiama e ti sgrida perché solo tu vai a camminare al parco di notte, con gli auricolari oltretutto come dice lei, cosi' se ti assalgono non te ne accorgi nemmeno. Significa anche perdersi per un'altra ora in libreria per comprare un regalo, cercarlo, studiarlo, attaccare discorso col cassiere che ti fa l'occhiolino e ti dice "se gli adesivi sono per la tua nipotina, non te li faccio pagare". Significa riperdersi di nuovo fra gli scaffali del supermercato, come se quelle salse, quel riso e quelle patatine non le avessi mai viste. Significa vagabondare, nel buio, scuro, a tratti tenebroso e allo stesso tempo accogliente della tua Londra, col cellulare a volte all'orecchio, con la musica, la tua, che ti fa partire, volare, vivere cosi'. Senza mai toccare terra con i piedi!

Little romance

La sveglia mi ha tirato fuori da un sonno profondo, a momenti infinito. Mi é sembrato di riemergere dagli abissi, anche se sapevo dove ero. Riconoscevo il buio. Sí, lí in quella città, io riconosco il buio. Ne sento l'odore. E poi mi sono preparata in fretta per andare a prendere il treno, con la mia solita valigia tutta sporca e tutta rotta, arancione che non si vede piú. Quella valigia che non voglio buttare perché mi ha accompagnato tante volte, perché non contiene solo vestiti, libri e creme per il corpo, ma pezzi della mia vita. Amori. Amicizie. Dolori. Gioie. Tutta la mia vita. Ho camminato per Rue Strassart, l'antica rue des putes, nel buio del mattino di gennaio, fra lo sporco tipico delle strade di Bruxelles. Camminavo e ad ogni passo misuravo quanto mi manca questa città. Sí, da matti. Nonostante Londra, nonostante la follia, la giovinezza, la spensieratezza di Londra. Nonostante la crescita, la risalita di cui ho beneficiato a Londra. Nonostante tutto questo, il cuore mi si stringe ogni volta che prendo il treno, che me ne vado, che abbandono. Cosa vuoi, quella città é la mia little romance. Come nella canzone (http://www.youtube.com/watch?v=VPpglfMWx20).

martedì 1 gennaio 2013

Headstrong

C'é una canzone che mi piace. Direi mi fa impazzire. L'ascolto e la riascolto. L'ho scoperta per caso due settimane fa e non me ne sono più separata. Ecco, io ora sono in vacanza. Ecco, ci sono 20 gradi e porto le infradito ai piedi. Ecco, é gennaio e fa caldo. Ecco, io sono chiusa in una camera di albergo, con l'amica viaggiatrice che dorme. E io cosa faccio? ascolto questa benedetta canzone, penso e sento la mancanza. Di cosa? Di una bambina che al telefono mi chiede "ma dove sei?". Della mia Londra, di Battersea Park e del ponte di Chelsea, quasi lo avessero tirato su per me, per farmici camminare e correre a tutte le ore del giorno e della notte. Dei miei so-called loves (e uso il plurale). Di chi mi ha manipolato per tanto tempo per riempire la sua solitudine, che é talmente profonda che non si vede il fondo ad occhio nudo. Dei miei affetti, vicini e lontani. E intanto mi canto questa canzone nella testa. Che dice:
Open up your eyes, see me for what I am:
cast in iron, I won't break and I won't bend.
Take this to your heart and into your head now:
the old wives' tale is true, I'll repeat it.
All is fair in love and war, that's how the famous saying goes.
Hai capito? All is far in love and war. Basta questo per festeggiare il primo giorno dell'anno.