mercoledì 28 agosto 2013

Il miracolo della vita quotidiana

L'ho trovata diversa ieri sera quando mi ha aperto la porta. L'ho trovata piú bella del solito. Ha insistito per vedermi a tutti i costi. Abbiamo iniziato a preparare la cena, mi ha chiesto della mia vita, dei mocassini. Di Oslo e del grande Nord. Io non ero in piena forma, quindi non avevo molta voglia di parlare. Sfuggivo. Poi é arrivato il suo compagno. E ha cucinato quel piatto polacco che mi piace tanto. E in quel momento, cosí all'improvviso, é arrivato l'annuncio. E lei si é sfiorata la pancia con la mano. Distrattamente. La sua pancia era piatta come al solito, ma era diversa. Poi ha fatto un passo indietro, come per dire "stento ancora a crederci". E' sempre un'emozione scoprire una nuova vita. E' sempre un'emozione guardare gli occhi spumeggianti dei futuri genitori.  Abbiamo riso pensando a questo bambino di 1 centimetro e mezzo che al momento attuale ha la coda. Si, come un anfibio. Ha tirato fuori l'ecografia e mi ha fatto vedere il niente che é tutto. Mi ha guardato sorridente, dicendomi "Questa é la sacca amniotica. Non si vede, ma c'é". Mi sono sentita felice per loro. Per quella grande notizia. Per il miracolo continuo della vita. Quotidiana.



Amichevoli conversazioni politiche

Ha votato Sarkozy?
Si.
Fraaa, sei sicura?
Si, me l'ha detto. Ha confessato!
Scusa, lui, quest'uomo con i mocassini, sempre perfetto, sempre dolce, che dà splendidi baci alla francese, ha votato Sarkozy e tu non dici niente?
...
Tu sei una donna di sinistra!
Beh, sai che votare a sinistra in Italia é un obbligo...
E vabbé, ma guardati: porti la giacca di Che Guevara e la sciarpa rossa!
Eh, ma il French kiss...eh, ma i mocassini...eh, ma il pane cucinato in casa, impastato con le sue mani...ah, sai cosa? domani mi metto l'impermeabile per uscire con lui. Fa meno donna di sinistra, che dici?

martedì 27 agosto 2013

Paniquer

Sono stata nel grande Nord. Sono stata in un paese dove il sole é un'eccezione. Tutti erano belli. Tutti alti. Tutti nudi. Si, perché un raggio di sole cambia la vita. In certi posti. A me no. Io continuavo a voler camminare all'ombra. Io volevo sparire. Essere trasparente. Lí, ci sono riuscita. Sono sprofondata in un letto pieno di cuscini e ci sarei rimasta una vita intera. Si, col telefono in modo silenzioso, tacito. Non mi é piaciuto il grande Nord. Non sono stata bene. Quando mi hai visto arrivare da te, l'hai capito subito. Non hai fatto domande. Hai guardato solo gli occhi grandi, gonfi, rossi. Mi é capitato cosí, scusa. Non puó sempre andare tutto bene, lo sai. Ho ricordato il passato, mi ha triturato quel passato in questi due giorni. Mi sono chiesta cosa ci porterà il futuro e ho avuto paura. J'ai paniqué. Oui, je l'ai fait. Posso dirti non lo faró piú. Posso dirti "scusa". Ma come mi hanno detto in tanti, tutto questo non ha senso. No. Non ha senso chiedere scusa, non ha senso dire non lo faró piú. Dei buoni propositi sono piene le fosse. E anche di qualcos'altro.

venerdì 23 agosto 2013

A piedi quasi nudi nel parco

Tu sei sempre bello ai miei occhi. Ma lo eri di più in quel momento. Con la giacca blu e quel profumo inconfondibile addosso. Profumo di te. Profumo di me più te, direi. Mi hai preso la mano come fai sempre, come hai fatto fino dal nostro primo appuntamento. E mi hai portato al Tubo. E mentre camminavamo per Ealing mi hai attirato a te e mi hai detto "vieni, camminiamo nel parco". Ci siamo ritrovati su un prato verde come solo in Inghilterra puo' essere, umido per la pioggia caduta nel pomeriggio, io e te, con le mani intrecciate e il sorriso sulla bocca. I tuoi mocassini e le mie ballerine non hanno retto e ci siamo trovati con i piedi bagnati. A camminare per un parco verde, vuoto, silenzioso, a momenti pacifico. Sembrava un film, sembrava un sogno. Quello che mi stai facendo vivere tu giorno dopo giorno. Un momento di felicità eterno. Si, che non finisce mai. Che mi toglie il respiro. Che mi mette il sorriso sulla bocca. Che mi sorprende sempre. A piedi nudi o quasi nel parco. Con la tua mano che stringe la mia e non la lascia andare. Mai. 

lunedì 19 agosto 2013

Accidentaly in love like a teenager

Mi hai invitato ad andare al cinema. E io ho detto di si, perché volevo vederti ancora, perché non mi basti mai. Cosi' ci siamo trovati in questo enorme centro commerciale londinese, dopo il lavoro. Quando ci siamo visti fra la folla, ci siamo detti che quell'uscita faceva un po' pensare a quando eravamo adolescenti e sperimentavamo le prime uscite amorose. Tu hai preso un milkshake a cena, io una coca. Poi mano nella mano, siamo andati al cinema. E li', é stato proprio come il primo appuntamento con un ragazzo che ti piace. Nel buio della sala, le nostre mani si sono cercate, sfiorate, entremelées in un abbraccio stretto. Tu mi hai accarezzato delicatamente il viso, tanto da togliermi il respiro. Ci sono state lunghi momenti di distrazione dal film, parole dolci che mescolano francese e inglese e ancora carezze e abbracci. A film finito, siamo rimasti nel buio della sala per goderci quel momento, per non farlo finire mai. E poi come due adolescenti, ci siamo salutati nel tubo, uno andava a destra, uno a sinistra. Inutile dire che sono stata bene, benissimo. Ho vissuto una serata del passato, nonostante gli anni che mi porto addosso. Ho vissuto spensierata, come se il tempo si fosse fermato. Ho vissuto, sapendo che la vita, l'amore, le relazioni di coppia sono altro. Ma una volta tanto, giocare mi é piaciuto. Anche se solo per una sera.

Quando nasce il tuo bambino?

Succede anche questo a Londra. Shoreditch, ancora una volta. Sabato sera, con un freddo da fine ottobre, anche se siamo solo ad agosto. Siamo in tre, io, l'amico brussellese in visita, che dopo il terzo giorno inizia a puzzare, e l'amica inglese, che per capirla nel rumore dei locali shabby chic ci vuole ben altro che i sottotitoli. Aggiungiamo a tutto questo, una giornatina di quelle belle pesanti e una discussione col suddetto amico brussellese che suonava da regolamento dei conti (te la fa pagare questa mattinata con me, aveva suggerito Mr Mocassini qualche ora prima e aveva avuto ragione, in versione Cassandra incompresa e anche un po' abbandonata). Non si riesce a decidere dove andare e inizia anche a piovere. Cosí io scelgo il primo posto che troviamo, che sembra abbastanza sporco e alternativo, dove all'entrata ci danno una moneta d'oro. "Vale per una birra gratis", sbiascica il buttafuori e io che non so come sia riuscita a capirlo, accetto e vado diretta al bar. Consegno le tre monete e chiedo due birre e aggiungo "io non posso bere alcool, posso avere qualcos'altro". La barista mi guarda e scuote la testa, ma mentre la scuote mi guarda sempre piú fisso fino a quando vedo il lampo di genio nei suoi occhi. "Normalmente no, ma date le circostanze, faccio un'eccezione". Io contenta e ignara delle so-called circostanze ordino la mia lemonade. Me la serve con un sorriso sulla bocca e mi chiede gioiosa: "Ti posso chiedere quando nasce il tuo bambino?". Io resto interdetta e realizzo a quali circostanze facesse riferimento. Non ho via di uscita. Col sorriso sulla bocca mi sento risponderle "Soon", mentre mi chiudo la giacca e mi giro e sgambetto veloce verso il posto piú nero del locale, dove passo il resto della serata. Ecco, anche questo succede a Londra. A Shoreditch. In un locale alternativo. Una piccola bugia non fa male, soprattutto se puó comportare una free lemonade, in un bicchiere cosí unto, che una donna incinta non dovrebbe neanche toccare da lontano. C'est la vie, c'est Londres!   

Every time I look at you I go blind

Quando sono arrivata avevi le mani in un sacco di farina e il naso bianco. Mi sono seduta nella tua cucina luminosa e ti ho guardato impastare il tuo pane, con movimenti lenti, ma sicuri e forti. Mi hai detto "metà di questo é per te", come per ribadire che noi questo pezzettino di vita, questo pomeriggio domenicale ce lo siamo divisi, un pezzo di felicità per te, uno per me. Abbiamo riso, abbiamo parlato. Io mi sono persa nella tua dolcezza, tu nel mio profumo. Alla fine del pomeriggio, c'era solo un profumo, un misto di me e te, con un tocco di odore di pane appena sfornato e te che prepari une tartine pour moi, une pour toi. Ho scavato un incavo sulle tue spalle per appoggiarci la mia testa, mentre le tue braccia mi stringevano. Il tempo é volato. Le ore mi sono sfuggite, accompagnate dal sapore dolce dello stare insieme. E alla fine della serata é arrivata la ciliegina sulla torta: i mocassini che hai infilato per riaccompagnarmi alla metro. Con quelli, sei l'uomo piú bello del mondo. Ma anche senza, lo sei ai miei occhi un po' persi a guardare te. Si, forse é proprio vero: every time I look at you I go blind...ma io, non te lo dico neanche sotto tortura!

giovedì 15 agosto 2013

Giocare a canasta

"Cosa sei venuta a fare qui?". Mi hai accolto cosí, e con il sorriso piú bello del mondo. "A giocare a canasta", ho risposto io, facendo l'occhiolino. "Canasta che?". "Non importa...". E da lí, ho dimenticato tutto. La giornata, il mal di pancia, l'amico un po' rompino, le tre metro e i 60 minuti passati sottoterra per raggiungerti. Tutto si é azzerato. C'eri tu, c'ero io, c'era il bonheur, quello puro. C'era il tuo profumo nel mio naso, c'erano i tuoi abbracci, la tua pelle morbida, i tuoi baci dolci. Con te ho sempre questa sensazione di leggerezza, di tempo che non passa mai, di essere finalmente capace di staccare i piedi da terra e volare, librarsi nell'aria. Non mi é mai successo. 
Non so quanto tempo durerá questa sensazione, questa magia. So solo che mi fa stare bene, che mi rende felice. Mi rende felice pensare a questi momenti, a te, che sulle punte dei piedi ti intrufoli fra i meandri della mia vita, con un lumino, per rischiarare il buio lasciato da chi é partito o é stato cacciato via. 
Vieni, dai, vieni ancora una volta a giocare a canasta sul tavolo della vita. La nostra.    

mercoledì 14 agosto 2013

Tu as raison, ça ira

Noi abbiamo un problema: la tempistica. Ieri sera, tutto é stato perfetto. Tu eri sempre bello, il tuo ciuffo dritto come doveva, la barba leggermente cresciuta, di quella che punge e graffia al punto giusto. Tu eri sempre brillante, divertente, con due occhi da sognatore, che mi sono sempre piaciuti e mi piacciono ancora. Io ero a mio agio, avevo messo tutto bene in chiaro, dentro e fuori di me. Il ristorantino a Islington dove mangiare solo ed esclusivamente verdure poteva essere un po' squallido, ma nel complesso, era anche romantico. Cosi come la bottiglia di acqua naturale che abbiamo condiviso. Poteva sembrare champagne a momenti. Tu non hai staccato le tue gambe un secondo dalle mie, sotto il tavolo. Io non le ho spostate. Quella leggera pressione non mi dava fastidio, anzi. Lo stesso nella metro, quando non si sa come, abbiamo finito per toccarci ancora per sbaglio e nessuno dei due si é ritratto. Abbiamo lasciato le mani dov'erano. La colazione di stamani é stata pure bonheur, sembrava che tu fossi sempre stato seduto al tavolo della mia cucina. Addirittura, sembrava che tu vivessi lí quando ti ho salutato con la mano, mentre andavo a lavorare e la tua testa spuntava dalla mia porta. 
Peccato che siamo fuori tempo. Peccato che non ci siamo capiti quando ci dovevamo capire. Peccato che non abbiamo voluto, saputo, gestito bene la situazione. Io stasera abbracceró un altro uomo, appoggeró la testa sulla sua spalla, annusseró il suo collo profumato, accetteró i suoi baci e le sue carezze. Noi, restiamo cosí. Amici. Tu as raison, ça ira.  

martedì 13 agosto 2013

Conversazioni emotive da film o romanzo romantico (o meglio, non reali)

Tu forse non l'hai capito, ma io qui ci vorrei stare in pianta stabile. Qui significa nella tua vita, nel tuo cuore, nei tuoi pensieri. 
Prego, accomodati. Ma non toglierti le scarpe, please. 

Sdraiarsi per terra

Sono giorni che vado lí e mi sdraio per terra. Mi sdraio per terra e chiudo gli occhi. Mi sdraio per terra e fantastico. Mi sdraio per terra e sogno. A volte leggo anche. Ieri, ancora una volta, mi sono sdraiata per terra. Non stavo bene, per niente. Ma quella musica delicata, dolce, orientale, ha curato un po' il mio mal di pancia. E mentre ero sdraiata, ho pensato a te. Ho pensato al fatto che non ci parleremo piú. Al fatto che tu lascerai probabilmente questo paese, senza che nessuno dei due si sia rivolto ancora una volta la parola. Mi sono quasi vista davanti il biglietto da firmare. Lo spazio bianco fra le frasi, sempre uguali, degli altri. Io non scriveró. Io non verró a nessun party, se mai lo organizzerai, anche se per mantenere la facciata, dovrei. Basta. Sparirai. Sei già sparito. Anche io sono andata via. Cosí ho voluto. Cosi hai voluto. Decisione piú o meno all'unanimità. Archiviata, ma non sempre dimenticata.
E cosí, ho sospirato e ho pensato ad altro. Ho pensato ai mocassini. Si, proprio a loro. Al modo in cui mi guardano, alla dolcezza dei baci che mi danno, alla tenerezza delle mani che mi accarezzano, a quel profumo delicato di uomo. Du pure bonheur. Come dicono giustamente i francesi.  Du pure bonheur che porta via la tristezza, o meglio l'amarezza dei ricordi.

lunedì 12 agosto 2013

A la prochaine

Doveva esserci la pioggia e c'é stato il sole. Doveva essere una "fuga d'amore" da qualcuno un po' troppo invadente e lo é stato. Dovevano essere lunghe chiaccherate e lo sono state. Dovevano essere lunghe notti di sonno e sono stati risvegli antelucani da sole splendente, a momenti invadente. Ci si doveva perdere in una Londra insolta ed é stato cosí. Tutto condito da cibi da scoprire, visite di uomini con mocassini che spuntano e si perdono nel mio building, musica da scovare in un negozietto a Shoreditch o ascoltare su una coperta alla Royal Albert Hall, improbabili scrittori professori da conoscere, insalate da gustare fra gli shabby chic londinesi, vestitini da contrattare con sorridenti commesse cinesi, che amano l'Italia e che fanno sconti perché siamo italiane, libri da dedicare per poi rivederli apparire nella libreria, sempre instabile e un po' ambulante, della mia stanza, in un futuro prossimo, uomini da conquistare o da cui farsi conquistare attraverso la strategia un messaggio al giorno toglie il dubbio di torno (se di dubbio si puó parlare). E infine una colazione per ricordare la nostra Bruxelles e i tempi andati. E soprattutto, una sola parola, o meglio locuzione verbale (ho qualche reminescenza della grammatica italiana anche io): à la prochaine, ma chère amie!

mercoledì 7 agosto 2013

Il percorso di espiazione dei sensi di colpa inutili

Tempo d'estate, caldina, ma non caldissima, insomma pure sempre inglese/nordica. E allora partono le cene a casa, ora che il coinquilino é in vacanza e la nuova arrivata si da' per dispersa o quasi. e vengono a casa a mangiare amici internazionali, tanto per mischiare tante lingue e tante culture. Io cucino la pasta, loro portano secondi, dolci e antipasti. E inizia la magia. Le chiacchere, le risate, le facce sorprese, le facce disgustate ("veramente ti é successo questo?"), le facce divertite. Tutto nella norma. Poi io racconto la mia storia. Sí, proprio quella. Mi scappa fuori dalla bocca come risposta ad una domanda, che suonava come "io pero' non capisco". Tutti in silenzio, tutti ascoltano. E, incredibilmente, tutti capiscono. Annuiscono addirittura con la testa. L'amica polacca si commuove e dice "non sei l'unica", la spagnola abbassa lo sguardo e dice "é successo anche a me. Poi sono stata fortunata e ho incontrato Jorge e ho capito che la vita, l'amore, potevano essere diversi".  La conversazione torna ad alleggerirsi, i sorrisi tornano sulle labbra, tornano le battute e le risate. Tutti si preparano ad andarsene, mi ritrovo in cucina da sola. Maria, si avvicina, mentre io sono di spalle al lavello. E mi dice questa frase "Francesca, anche tu molto presto troverai il tuo Jorge. Ma non ti sentire mai in colpa per quello che hai fatto, per la tua incapacità ad agire. Sei qui ora, a ridere, a scherzare, a ridere con noi". Dopo la casa si é svuotata. Sono rimasta io, con i piatti da lavare, la sale da sistemare. E una certezza. Il percorso di espiazione dei miei sensi di colpa per quanto ho vissuto e accettato, é finito. Dopotutto, quei sensi di colpa erano inutili. La vita é altro. La vita vale altro. Con i mocassini o senza ai piedi.   

domenica 4 agosto 2013

Riflessioni da fine del weekend (o del giorno dopo)

Esistono nel mondo del commercio affettivo ancora uomini che sanno farti credere per un weekend di essere perfetti, à ta taille. Bisogna poi vedere se restano cosi' dopo un certo numero di lavaggi. 

Paris vaut bien une messe

Sono arrivata dopo un viaggio che mi é sembrato lunghissimo. Sono arrivata cercando un po' di Belgio, in un paese che con la mia seconda patria condivide solo la lingua. Sono arrivata e mi sono sentita spaesata, fino a quando non ho sentito la musichetta di SNCF, che mi ha ricordato dove fossi. E poi ho visto te, col sorriso sulle labbra. Poi ho chiuso gli occhi, dopo averti detto "Portami nella tua Parigi". E per 48 ore sono andata in giro guidata dalla tua mano, nei posti della tua giovinezza. Mi hai fatto vedere una Parigi diversa, abbiamo abbandonato il Frenglish e abbiamo finalmente parlato nella tua e anche un po' mia lingua. E abbiamo parlato tanto, quasi senza mai fermarsi. Abbiamo parlato ore e ore, raccontato, discusso. Tu mi hai fatto le tue rivelazioni scottanti (Eh si, ho votato UMP), io ti ho raccontato di Saint Eustache e quell'incontro aspettato e agognato per anni, quando ero ancora una ragazzina. Ci siamo trovati su un ponte sulla Senna al tramonto, che mi ha tolto il fiato, insieme al tuo abbraccio. E poi il cibo, la baguette che in Francia é più saporita, come dice Nadège, i croissant più burrosi e le colazioni al Pain Quotidien, perché la Belgique é sempre con me. E un uomo, piccolo e profumato, che inizia a parlare, a raccontare, ad aprirsi, di fronte alla sua città, di adozione e mi racconta pezzi di vita passata e digerita, ma sempre presente. Ecco, non ho visto il tempo passare. Ecco, é come se mi avessi sempre tenuto per mano, da quando mi sei venuto a prendere a Gare du Nord, a quando ti ho salutato all'Hotel de Ville. Si, un piccolo sogno, nella tua Parigi, col mio francese e un paio di mocassini. Ancora una volta mai viste scarpe più sexy. Anche a Paris, che vale sempre una messa!  

venerdì 2 agosto 2013

New York New York

Cosa mi ricordo? lo stordimento. Il depaysement, dicono i francesi, l'estranamento, dicono gli italiani. Una giornata durata 30 ore, la prima. Una 18, l'ultima. Mi ricordo un accento diverso, difficile da capire. Mi ricordo il cielo invisibile fra i grattacieli. Ricordo anche i segni di una società che sí definisce multietnica, ma che poi blocca, chiude, segrega in base al colore della pelle e alla lingua che parli. Mi ricordo il verde del parco, il fresco del parco. I suoi luoghi preziosi. Mi ricordo la calura del Village, temperata dalle scalette di fronte ai portoni, dove sedersi e pensare. Mi ricordo la gente un po' folle, che fa tutto quello che sente e che vuole. Voglio danzare: ballo. Voglio cantare: canto. Voglio camminare sulle mani: cammino. Mi ricordo panchine su cui sedersi nel verde fra i grattacieli, bevande zuccherose, vagoni della metro gelati e carte difficili da decifrare. Mi ricordo la stupore davanti a quadri visti solo nei libri d'arte, elefanti imbalsamati e dinosauri ritrovati. Mi ricordo l'odore delle banconote verdi che sfiorano le mie mani. Mi ricordo un lungo viaggio di ritorno e lo stordimento completo, estenuante. Ancora una volta. Ma questa volta nel mio paese.