lunedì 9 novembre 2015

Lì dove il mondo ha finito di esistere

Io volevo andare. Io volevo vedere con i miei occhi. Sapevo che avrei sofferto, ma sentivo di doverlo fare. Era un tributo. Era per onorare la memoria di chi era morto in quel luogo di orrore. Cosí ingiustamente.
Ho avuto paura. Di soffrire vedendo la verità.  Di piangere lacrime senza trovare consolazione.  Ho avuto paura di vedere fino a dove si poteva spingere l'umanità. O meglio l'assenza di umanità.
Niente è andato come avevo previsto. La famosa scritta non era ad aspettarmi dove pensavo. Non ho singhiozzato come temevo. Ma ho sentito l'odore della morte. Ho sentito che l'umanità in quel posto ha lasciato il posto a qualcosa di impossibile da capire. Di irrazionale. Di disumano. Di inimmaginabile.

Mi sono chiesta come si potesse scrivere che il lavoro rende libero l'uomo in un posto dove l'uomo veniva spogliato della sua stessa natura umana e ridotto ad uno stato miserabile? Dove non esisteva nient'altro che stupore, come negli occhi dei prigionieri ritratti e catalogati al loro arrivo in foto che ricordano vagamente le foto tessere moderne. Nei loro occhi, ho visto stupore e paura. A volte sfida. Sfida che però sfumava via presto. Pochi duravano più di alcuni mesi. Alcuni venivano gasati al loro arrivo. Altri dopo poco. Pochi giorni, poche settimane di una sofferenza estrema. Ripeto, inumana. Ho visto quei volti persi. Stupiti. Impauriti. Non riesco a dimenticarli. Non posso farlo per rispettare il loro onore. Calpestato. Infangato. Distrutto dalla barbaria umana. 


Vagando attraverso quella desolazione, mi sono ripetuta varie volte "non dimenticare". Non dimentichiamo quello di cui è stato capace l'uomo. Non dimentichiamo questa enorme sofferenza. Ma facciamo nascere fiori da queste ceneri. Un mondo migliore. Un mondo di amore. Di fratellanza. Non facciamolo capitare mai più. 
Lasciamo agli uomini la loro dignità. Perché sono uomini, come noi. 

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