mercoledì 24 agosto 2011

Wash and dry the uneasy silence

Sei entrato e ti ho fatto sedere. Mi hai telefonato perché ti sentivi solo, perché avevi forse bisogno di parlare e di avere compagnia. Con voce stentata mi hai chiesto di passare a fare un saluto. Ho preparato due tisane e mi sono seduta accanto a te sul divano e ti ho ascoltato. Ho ascoltato la tua delusione, ho sentito il peso dei tuoi anni e delle tue esperienze passate, ho compreso che 37 é più vicino a 40 di 30, ho condiviso con te la pressione che la società ci impone sull'essere dei vincenti, con un conto in banca a 5 cifre, un lavoro pieno di sfide e vittorie, una fede al dito e un feto nella pancia. Noi non abbiamo niente di questo, siamo precari nel mondo del lavoro e nel mondo degli affetti. Siamo le pecore nere, quelli che la gente vuole accoppiare a tutti i costi, quelli che ricevono gli sguardi deplorevoli degli altri perché ancora una volta hanno sbagliato. Hai parlato a lungo, io sono rimasta in silenzio. Poi, ad un certo punto mi hai guardata e hai capito che in realtà non ero li' con te, ma altrove. Hai capito che qualcosa mi aveva turbato e quel qualcosa non eri tu né le tue parole. Non ti ho voluto raccontare niente, ho preferito fingere. Non volevo parlare ancora una volta di quella solita storia, di quella brutta storia, di questi anni di esilio emotivo, di questo fantasma che mi segue ovunque io vada. Non ne ho parlato, non lo faro' più, cosi' anche lui sparirà, per sempre.

Oggi sono a pezzi. Oggi Francesca sente di nuovo quel malessere fisico e mentale che solo tu mi sai dare. Non é colpa tua, sono io che mi faccio male. Oggi mi sento le ossa rotte, come ogni volta che ti vedo o che entro in contatto con te. Questo é l'effetto che mi fai, caro amico. Oggi sento tutti i miei sbagli sulle mie spalle, i tentativi di negare la realtà, la ricerca affannosa di un'alternativa, che poi si rivela essere sbagliata, anzi sbagliatissima. Oggi sento ancora una volta che devi uscire dalla mia vita, devi starne lontano, che é inutile aspettare quella chiamata che non arriverà mai. Questa non é stata amicizia, amico mio, ma amore. L'ho scritto e lo direi anche, se ti avessi davanti. Questo é stato anche uno stillicidio per me, una scusa per farmi del male. Ti ripeto, non é stata colpa tua.

Ora torno a sedermi su quel divano, mi preparo una tisana, guardo fuori e ascolto le parole, le mie, quelle che dico a me stessa per andare avanti. Perché c'é sempre un dopo.

2 commenti:

guido maurino ha detto...

Letto. Capito.

Francesca ha detto...

Parliamo per blog , non dal vivo. Forse é l'unica cosa che ci resta da fare. L'ennesimo segno di un rapporto falsato e fuori dalla norma. Ti dico solo buona continuazione, il destino deciderà per noi.